martedì 31 dicembre 2013

Combi, il Lord che portava i maglioni


Tutti noi della nazionale italiana ci presentammo intorno al letto di Ceresoli. Meazza, Rosetta, Orsi, io. Il ct Pozzo sperava in un angolo, in silenzio, poi in ospedale arrivò il medico e Pozzo smise di sperare. Toccò il braccio sinistro al portiere dell'Inter e disse che era rotto. "L'omero. È spezzato". Se lo era fratturato in allenamento per parare un tiro di Pietro Arcari. Lanciandosi. Del resto si buttava anche quando non serviva. Ceresoli non parlò, lo fece Pozzo al posto suo, mi guardò e sussurrò che sarebbe toccato a me. In piemontese. Mancavano 12 giorni al Mondiale del '34 e io, Gianpiero Combi, mi misi a piangere.

L'isolamento di Mughini

Le mani che si muovono nell'aria, la risata gonfia che rimbomba dentro un appartamento mai banale in ogni suo oggetto. Giampiero Mughini, 74 anni, è Mughini in ogni parola, immerso dentro quelle stanze che sono il cuore del suo libro di memorie, Una casa romana racconta (Bompiani, 288 pagine, 18 euro). Dove Trastevere diventa Monteverde. Il dramma dei vicini ebrei durante il rastrellamento del '43, la Bologna del '77, Kate Moss, la passione per il collezionismo di volumi antichi. E poi la politica e i giornali: i suoi vecchi amori. Pagine solo in apparenza senza un filo, viene spontaneo accostarle a La casa della vita di Mario Praz (Adelphi, 1960). "Sarebbe stato folle gareggiare con un libro inarrivabile", dice Mughini. 

domenica 29 dicembre 2013

Quanto è buono il cattivo Suárez

Gli inglesi conoscevano Shylock, Iago e Aronne il moro. Più cattivi di loro chi c'era? Poi è arrivato Luis Suárez, e tutti i villains di Shakespeare sono spariti dalla scena.
Il perfido Luis. Il ragazzo che si tuffa in area per ingannare gli arbitri. Quello che prende la palla con la mano sulla linea di porta durante i quarti di finale dei Mondiali e scatena il dramma di Asamoah e del Ghana. Il razzista che insulta Evra. Il violento che morde Ivanovic come se all'improvviso si sentisse il peggior Tyson e si becca 10 giornate di squalifica. Soprannome: il Pistolero. Come chiudere un cerchio.

sabato 28 dicembre 2013

Oscar Bonfiglio e il primo rigore parato

Una parata di Bonfiglio in Argentina-Messico del 1930

Erano le tre del pomeriggio, faceva freddo e pioveva. Battemmo noi la palla al centro e poi passarono diciannove minuti. In 19 minuti si combattono poco più di sei round di boxe, in 19 minuti Paavo Nurmi correva sette chilometri, in 19 minuti io presi il primo gol della partita, segnò un tale Lucien Laurent, Francia 1 Messico 0, il primo gol nella storia dei Mondiali di calcio. Voi oggi ancora impazzite per i Mondiali, io impazzii dietro quel pallone lì. Lo raccolsi dalla rete e pensai a mio padre, Manuel Bonfiglio García. Anzi. Il generale Manuel Bonfiglio García. Prima che partissi per l'Uruguay mi aveva detto: il Messico lo puoi servire con le armi ma anche parando un calcio di rigore. Lui aveva scelto le armi, io invece avevo preso gol. Mio padre si occupava della paga delle truppe di Álvaro Obregón, eravamo nel pieno della nuestra Revolución. Obregón si era unito a Carranza contro Zapata e Villa, poi era stato presidente fra il '20 e il '24, riforme agrarie, alleanza con gli Usa, politica anticlericale, ecco chi era Obregón. Noi, i Bonfiglio, di chiare origini italiane, stavamo tutti dalla sua parte.

giovedì 12 dicembre 2013

Federico Fellini e i 40 anni di Amarcord


Fellini (ritratto di Tullio Pericoli)
Quarant'anni fa in questi giorni usciva Amarcord. Non è che sia un film di nicchia, ci sono abbastanza saggi in giro sul capolavoro di Fellini e su tutta la sua opera, aggiungere altre parole non sarebbe per nulla un'urgenza. Infatti non lo è. Ma girando per archivi ho trovato una bella chiacchierata con Fellini fatta dal New York Times per l'occasione. Erano giorni in cui i critici americani mettevano il suo film in connessione con Proust, Balzac, Sherwood Anderson. Le risposte che dà Fellini sono tutte bellissime. Sono il riflesso di un artista puro, un uomo che non avverte alcun bisogno di spiegare quel che sta facendo, come se dicesse La mia opera è qui, parla da sola, che cosa posso aggiungere? L'ulteriore meraviglia è che lo fa senza pose, con una leggerezza e un'ironia che andrebbero insegnate. Insomma, leggete.

lunedì 9 dicembre 2013

Dove le strade non hanno nome: la recensione di Marino Niola


"Dietro il Congo è all'altro pizzo di Napoli". Senza una scuola, una cassetta della posta, una palestra. La gente attacca fogli di carta al posto delle targhe stradali, poi il vento d' inverno se li porta via e allora bisogna ricominciare a nominare quella periferia dell' uomo, quel buco nero della cittadinanza
È la Napoli di Angelo Carotenuto che, nel suo primo romanzo, Dove le strade non hanno nome, racconta proprio una città in bilico tra due nomi volati via col vento. Tangentopoli e Rinascimento. Un momento in cui tutto il tempo è sospeso sulla lama di coltello di una settimana di luglio del 1993, alla vigilia del concerto degli U2 al San Paolo. Siamo tra il crollo della prima Repubblica e le speranze del bassolinismo. In questo time out della storia si incrociano, come in un istante messianico taroccato, i destini dei personaggi. Il politico di lungo corso, un metro e novanta di scaltrezza, che buca la pancia al territorio.

sabato 30 novembre 2013

Dove le strade non hanno nome: la recensione di Davide Morganti

In certi libri il tempo riprende la sua tensione emotiva, non corre più accelerato in avanti. Il romanzo di esordio di Angelo Carotenuto, giornalista di Repubblica, Dove le strade non hanno nome (Ad Est dell'Equatore, pag. 220, euro 12), torna indietro di venti anni, quando a Napoli si annunciava il Rinascimento napoletano. Carotenuto lo fa con una scrittura piana, sussurrata, facendo un uso mai smodato del dialetto e delle fraseologie consuete di Napoli, anzi incastrandole nel tessuto narrativo con abilità.


mercoledì 27 novembre 2013

Nilton Santos, addio all'enciclopedia

Addio a Nilton Santos, detto A Enciclopedia. Lo chiamavano così perché tutto sapeva del calcio e tutto sapeva fare, difendere e attaccare. Se ne va nello stesso anno di Djalma, il suo "gemello", l'altro terzino del grande Brasile campione del mondo nel 1958 e nel 1962. Lo ha rincorso veloce, come faceva sulla fascia, e lo ha raggiunto. Anno triste per chi ama i terzini. "Non invidio i terzini di oggi per i soldi che guadagnano, ma perché possono attaccare. Ai miei tempi, se stavi in attacco e prendevi un gol ti mandavano alla forca". Però ai Mondiali del '58 fece gol all'Austria, il 2-0, spingendosi in attacco mentre il ct Feiola gli urlava di passare la palla.

martedì 26 novembre 2013

Klopp, il monello Borussia


DORTMUND. Il tunnel che porta al campo è stretto e basso. Jürgen Klopp china la testa. Ci passa a stento. «Qui sotto si sta tutti pigiati, ventidue calciatori, i bambini tenuti per mano, due allenatori, cinque arbitri». Fa un trillo, Klopp è anche un formidabile imitatore di fischietti. «L'arbitro dice "andiamo" e noi camminiamo schiacciati uno all'altro». Indica la luce là in fondo. «Quando il tunnel finisce e sbuchiamo sul prato, bam, pare di essere di nuovo partorito da mia madre». Ride forte, ride spesso. «È come rinascere. In campo si simula la lotta per la sopravvivenza». 

lunedì 25 novembre 2013

Un giorno al Borussia

Dalla Hohe Strasse allo stadio sono dieci minuti a piedi, si attraversa un sottopassaggio e sei di là, oltre la Rheinlanddamm, un rettilineo su cui le macchine sfrecciano indifferenti alla magia del Westfalen Stadion. Signal Iduna Park si dovrebbe dire, lo sponsor che dà il nome all’impianto del Borussia. Il viaggio nel modello Borussia, il famoso modello Borussia, comincia da qui. Da una società che stava fallendo e che ora tutti vorrebbero imitare.Imitare poi perché? Sono stato a Dortmund per intervistare Juergen Klopp: il servizio è sulle pagine di Repubblica oggi (ora anche online). “Responsabilità degli uni verso gli altri”, questo è per lui il senso della formula. Tifo, società, staff, squadra. Una cosa sola. Ma anche detto così potrebbe sembrare soltanto uno slogan.

sabato 23 novembre 2013

Il derby dei Beatles

Everton o Liverpool? A George non gliene fregava granché. "A Liverpool ci sono tre squadre, io tifo per l'altra". La terza erano loro. I Beatles.

Harrison amava le automobili e la Formula uno, al calcio semmai era più legato John. Il suo papà era stato tifoso dei Reds, lui da ragazzino - a 11 anni - aveva disegnato su un foglio un'azione della finale di Coppa d'Inghilterra fra Arsenal e Newcastle (1952), per farne anni dopo la copertina di Walls & Bridges. Era un omaggio a Jackie Milburn, pare, il Wor Jackie con il nove in bianconero dietro la schiena. Nove, numero cui Lennon finì per legarsi, come si deduce dalle canzoni Revolution 9, The One After 909 e #9 Dream.

lunedì 18 novembre 2013

Eduardo De Filippo e l'Inghilterra, la traduzione delle sue commedie / 1

Quarant'anni fa, proprio in questi giorni, le commedie di Eduardo De Filippo cominciavano a conoscere uno straordinario successo in Inghilterra, nell'interpretazione di Joan Plowright e Laurence Olivier, con la regia di Franco Zeffirelli. Metto qui, un po' alla volta, i 4 capitoli di uno studio che feci nel 1993 sulla traduzione in inglese dei suoi lavori: le scelte fatte, i motivi del successo. Sperando che possa essere utile a qualche studente.

***


1.     L'universalità del teatro di De Filippo
                                
                              “Il teatro è lo sforzo disperato che compie l'uomo nel
                                                           tentativo di dare alla vita un qualsiasi significato”
                                                           (Eduardo De Filippo)

Tutta l'opera di Eduardo si presenta come un'interminabile notte di convalescenza, la stessa che pesa sul finale aperto di Napoli milionaria! Partono da una debolezza, da un'ingiustizia, le sue commedie. Partono dalle vicende di una città, la sua città, e finiscono per rappresentare le fragili convenzioni del mondo, smascherandole. Quando Eduardo riesce ad evadere dai confini nazionali, è subito evidente che di strettamente localistico, nel suo teatro, c'è davvero poco. Il linguaggio, certo. E poi, l'ispirazione, i personaggi, gli ambienti. Tutto qui. Il resto appartiene alla sfera delle esperienze universali. Non sarebbe possibile, altrimenti, spiegare il successo mondiale delle sue opere: dei suoi testi, oltre che delle sue rappresentazioni. Un successo, ovviamente, di pubblico, ma non solo. Gli studiosi e i critici percepirono immediatamente quanto fosse fuori luogo il tentativo di imprigionare Eduardo all'interno di una tradizione regionale. Il significante, quello è inequivocabilmente dialettale. Il respiro del suo teatro, no. E' dal secondo dopoguerra in avanti che l'universalità di Eduardo invade il palcoscenico ed entra nelle sale. Prima d'allora, era rimasta pura teoria.

domenica 17 novembre 2013

Dove le strade non hanno nome: la recensione di Francesco Durante

L’unica cosa che non mi piace del romanzo d’esordio di Angelo Carotenuto è il titolo Dove le strade non hanno nome. Lo so che ha una sua ragione, anzi: più d’una. Però non mi piace. Non tanto perché è uguale al titolo di un romanzo per “giovani adulti” di Randa Abdel-Fattah pubblicato appena un anno fa da Mondadori. Quanto perché mi pare velare dietro una promessa di malinconico squallore la strepitosa vitalità della scrittura dell’autore e la funambolica struttura con cui ha costruito un libro che, a mio modesto avviso, è tra i più interessanti dell’anno.

lunedì 11 novembre 2013

Il Pulcinella di Patrizio Oliva



Una maschera l'aveva sul ring. "Fingevo". Le braccia basse, lo sguardo fiero. "Sicurezza, spavalderia. Ma non ero io, ero quello che sembravo. Non c'è stato un solo match che abbia iniziato senza tremare. La paura saliva le scalette con me". Un oro olimpico e il mondiale dei welter junior. Nessuno se n'era mai accorto, recitava già combattendo, Patrizio Oliva, prima di darsi al teatro per davvero. Una nuova vita da attore adesso, a 54 anni.

venerdì 8 novembre 2013

L'ultima partita con il Muro di Berlino

Quando mancava un quarto d'ora alle otto di sera, l'arbitro Peter Weise fischiò la fine della partita, senza sapere che il giorno dopo avrebbero fischiato la fine di una storia. Otto novembre 1989, Dynamo-Stahl Eisenhüttenstadt 0-0, l'ultima partita a Berlino prima che cadesse il Muro.

Nove novembre. Il Muro non c'è più. Undici mesi dopo la Germania è unita. L'unificazione nel calcio non fu meno lenta. All'est i club erano legati all'apparato statale. Lo sport doveva provare la grandezza della nazione. Gli ori nel nuoto e nell'atletica a quello servivano, a quello serviva il doping di Stato.

La donna che dormiva in libreria

Pensavo qualche giorno fa a un regalo da fare. Un regalo per una donna. Di certo non un libro perché pare ne legga tanti, e per una persona del genere alla  fine non sai che titolo scegliere, magari ce l'ha già, magari non le interessa. E' una donna che conoscete, ne avrete sentito parlare. Ne hanno scritto la settimana scorsa i giornali locali veneti, poi la sua storia è stata ripresa dai quotidiani nazionali, anche online. E' una signora che ogni giorno entra alla libreria Feltrinelli di Padova, getta uno sguardo alle ultime uscite, sfoglia qualche pagina, poi va a farsi un riposino sul divano (dettaglio che già me la rende simpatica). Lo fa da dieci anni. Dieci anni.

giovedì 7 novembre 2013

"A Napoli un personaggio normale non può esistere"

«UN UOMO del resto si riconosce da ciò che gli fa orrore». E Napoli oggi, nel 2013, di che cosa ha paura, deve avere paura? "Dove le strade non hanno nome" è il primo romanzo di Angelo Carotenuto, edito da "Ad Est dell'Equatore" e da oggi in libreria. Carotenuto, giornalista di "Repubblica", napoletano, oggi vive a Roma, da dove osserva la sua città con il distacco di un innamorato ingannato, che non riesce proprio a rassegnarsi al tradimento. "Dove le strade non hanno nome" racconta una settimana del 1993, quella che si conclude con il concerto degli U2 al San Paolo. In questa settimana (con una costruzione narrativa che procede a ritroso) i personaggi di una Napoli grottesca e terribilmente vera si incrociano e incontrano, tutti a proprio modo sognando un "rinascimento napoletano".

lunedì 4 novembre 2013

Letteratura dell'anti-madridismo. E dell'anti-juventinismo

Tutto comincia nelle Asturie. La scintilla si accende con un coro. "Asì, asì, asì gana el Madrid". Così vince il Madrid. Così come? Grazie all'arbitro: questo significa il coro che ormai accoglie il Real su quasi tutti i campi di Spagna. Il 25 settembre del 1979 è la data di nascita universalmente accettata dell'antimadridismo. Il pretesto è un episodio come tanti, l'espulsione al sesto minuto di Enzo Ferrero, numero 11 dello Sporting Gijón allo stadio El Molinón. Ferrero è marcato da San José, scatta, i due si ostacolano, si mettono le mani addosso, ci scappano un paio di spintoni, San José cade. Rosso. L'arbitro manda fuori Ferrero. Asì gana el Madrid. Sul prato arriva di tutto. Quando la gente asturiana vede il rosso a Ferrero, si scatena ripensando all'anno prima. Il Gijón era stato avversario del Real per il titolo. Aveva perso lo scontro diretto in casa, giocandolo senza Dória né Ferrero, espulsi la settimana prima a Salamanca.

sabato 2 novembre 2013

Neymar e il colpo dello spiedino

Era un'azione come tante. Fino a un momento prima. Era un banale passaggio di Busquets dal centro del campo verso sinistra, un'apertura ordinaria, per provare a sbloccare la partita, con il Barça ancora sullo 0-0 contro l'Espanyol. Certe azioni si prevedono. Suggeriscono sbocchi obbligati, certe azioni se le aspettano finanche gli avversari. La palla che viaggia da Busquets a Neymar era attesa anche dai difensori dell'Espanyol, che verso quel lato si sono spostati in due. Pensavano di fare bene il loro lavoro da travet della linea a quattro, senza sapere che si stavano infilando dentro un'azione storica. Segnatevi questi nomi. Raúl Rodríguez e Sidnei. I primi nella storia del calcio a essere trafitti contemporaneamente da un tunnel. Lo stesso tunnel. Con un solo tocco di palla. Il tocco di Neymar. Che quel tunnel ha così trasformato in assist per Sànchez. Gol. Vittoria. Maravilla.

lunedì 28 ottobre 2013

Tre papere in una partita, il record di Baumann

A uno che dà una risposta così, il coraggio di certo non manca. "Meglio che mi siano capitate tre cose del genere in un giorno solo che una alla volta in tre giorni differenti". Cose del genere, noi le chiamiamo papere. Sono il terrore di ogni portiere, hanno finanche una loro poetica tragicità. Ispirano poeti e narratori. Il portiere ne è assediato, anche il migliore di tutti sa che prima o poi gliene toccherà una, figurarsi se il migliore non sei.

giovedì 24 ottobre 2013

Ibra lo sfacciato e i suoi colpi di tacco


Gol contro l'Italia agli Europei. Poi all'Atalanta, al Bologna, adesso addirittura due gol di tacco in quattro giorni. Al Bastia sabato in campionato e ieri sera all'Anderlecht in Champions. Il segno di Zlatan, la Z di Zorro oggi sulla prima pagina dell'Equipe. Il tacco è lui, fine delle discussioni.Il senso di Ibra per il tacco va oltre il colpo in sé. Quel colpo ce l'ha Totti nelle corde, lo fa a centrocampo, sulla tre quarti e apre il campo per i compagni. Il tacco lo usava Roberto Mancini, eccome se lo usava. Solo che quando da allenatore ne vide fare uno a Balotelli si infuriò. Vieni qui, ragazzo, viene a sederti in panchina affianco a me.

venerdì 18 ottobre 2013

Canaglie contro lebbrosi, il folle derby di Rosario

Le canaglie contro i lebbrosi. La squadra per cui tifava Che Guevara e quella di Messi. La folle storia della rivalità più accesa che ci sia. 



Celtic-Rangers? Sbagliato. Lazio-Roma? No. Olympiakos-Panathinaikos? Nemmeno. Il derby più derby che esista al mondo si gioca domenica in Argentina, dove molti credono che il massimo sia Boca-River, il Superclàsico di Buenos Aires. Illusi. Dimenticano cos'è il calcio a Rosario. La città di Messi. Sul fiume Paranà. Dove tutto parla del Central nella zona nord, dove tutto è Newell's Old Boys nella parte sud. I marciapiedi e i muri hanno i colori dei due club: giallo e blu di qua, rosso e nero di là. Non c'è nel mondo una città più malata di calcio di Rosario. Quando arriva il derby, i bambini vanno a scuola con la maglia della loro squadra sotto i grembiuli. Immaginate ora che il derby torna dopo tre anni. Il Central è risalito dalla B, il Newell's nel frattempo è tornato campione.

lunedì 14 ottobre 2013

Il fantasma di Tomaszewski

Unthinkable. Che l’Inghilterra non vada ai Mondiali è assolutamente fuori da ogni logica. Questo dicevano Londra e la nazione nell’ottobre del ‘73, loro, inventori del calcio e campioni del mondo sette anni prima. Mai avevano mancato la qualificazione da quando nel 1950 avevano deciso d’esserci, rompendo lo splendido isolamento. Mai potevano immaginare di essere eliminati dalla Polonia, una sola partecipazione, nel lontano ’38. Come finì, si sa. “Puoi giocare per vent’anni in nazionale, puoi giocare mille partite e non essere ricordato da nessuno. Ma arriva una sera in cui hai la possibilità di scrivere il tuo nome nei libri di storia”, fu il discorsetto fatto dal ct Kazimierz Gòrski ai suoi giocatori prima di andare in campo. Polonia ai Mondiali, Inghilterra a casa.

sabato 12 ottobre 2013

La telenovela che racconta la Colombia del '90


Dopo sedici anni la Colombia torna al Mondiale di calcio. Con il nuovo idolo Falcao. Ma l'amore per Valderrama, Higuita e la nazionale degli anni '90 resta ancora insuperato. Ai campioni di quella squadra è dedicata una telenovela. Che vuole dimenticare il narco-traffico.

La Juve e il libro ritirato

C'è un libro che non leggeremo. Massimo Astio è uno scrittore esordiente. Si dice nato a Gambatesa, in provincia di Campobasso, giura che il calcio è la sua passione, «il sentimento anti juventino la mia fede». Massimo Astio, ovviamente uno pseudonimo, ha compresso questa sua fede in un volumetto di un centinaio di pagine. «La bibbia del tifo anti bianconero», lo chiama così. Una galleria di battute e barzellette, di quelle che regolarmente circolano sul web. Nulla di originale. I rigori regalati, l'arbitro che per osservare il galateo non si presenta mai a mani vuote alle partite della Juve, il canale YouRube su cui vederei video. Cose così. Un libriccino che si presenta come «irresistibile catalogo con le peggiori malefatte della Vecchia Signora». Quali? La solita ricostruzione storica degli episodi (il gol di Turone, il rigore di Iuliano, l'arbitro Wurz), un po' di oleografia contro, qualche battuta estrema sui muscoli di Vialli e Del Piero.

venerdì 11 ottobre 2013

La certezza brutale dell'11 ottobre

Tornando nel laboratorio sentì l'odore di lucignolo del focolare che stava accendendo Santa Sofia de la Piedad, e aspettò in cucina che bollisse il caffè per prendersi la sua scodella senza zucchero. Santa Sofia de la Piedad gli chiese, come tutte le mattine, che giorno della settimana era, e lui rispose che era martedì, undici ottobre. Osservando la impavida donna illuminata dal riverbero del fuoco, che né in quel momento né in nessun altro istante della sua vita sembrava esistere completamente, si ricordò d'un tratto che in un undici di ottobre, in piena guerra, lo aveva risvegliato la certezza brutale che la donna con la quale aveva dormito era morta. Lo era, in realtà, e non aveva dimenticato la data perché anche lei gli aveva chiesto un'ora prima che giorno era.

[Gabriel Garcìa Màrquez, Cent'anni di solitudine, 1967]

sabato 5 ottobre 2013

Mi metto i tifosi sulla maglia

Il Marsiglia stampa messaggi dei tifosi sulla maglia sotto il logo dello sponsor. Il Nizza mette le foto dei loro volti all'interno dei numeri di maglia, come già in passato il Bastia e come il Real Madrid per l'addio di Raúl. Mentre in tutto il mondo i club cominciano a ritirare la maglia con il numero 12, in omaggio ai tifosi e a quello che si chiamava dodicesimo uomo in campo. Le mosse del marketing per vincere la diffidenza delle curve.

venerdì 4 ottobre 2013

Le anteultime / Django Unchained


i film visti quando li hanno visti tutti
Sessantaquattro morti. Più un cane. Non li ho contati. L'avevo letto da qualche parte. Ma se non avessi avuto il cocco ammonnato e buono, forse mi sarei davvero messo a contare le persone che Quentin Tarantino fa ammazzare in Django Unchained. Una per una. Ho letto pure che in Bastardi senza gloria furono 396, stavolta s'è mantenuto. Vanno contati, quei morti ammazzati, per capire di cosa questo film parla, cosa davvero vuole dirci. Nella sua esibita esplosione di corpi, Django è paradossalmente un film che mette a nudo le reticenze del cinema. Disvela le sue frequenti omissioni. La sua omertà. Guardiamo le pistole scatenate di Django e mettiamo in fila nella nostra mente tutti i morti ammazzati da Jamie Foxx per arrivare dalla sua Broomhilda, per ridarle la dignità e restituirle la libertà, e allora spara Django, uccidili tutti, fallo per lei, fallo per Kerry Washington. Nel darle un'altra vita, Django le regalerà alla fine anche i passi di danza del suo cavallo, e lei gli sorriderà, consapevole, grata, innamorata. Dopo 64 morti lasciati lungo la via. Uccisi per lei. Ma dopo 64 morti è facile amare Django. Troppo facile, Taranti'. Tu invece mi devi raccontare cosa resta di questo amore quando Django torna a casa e una sera fa bruciare i piselli sul fuoco.

giovedì 3 ottobre 2013

I dolori del giovane Hart

La papera di Green
Il tè delle cinque, il cambio della guardia, le papere dei portieri. L'Inghilterra ama le tradizioni. E Joe Hart, portiere del Manchester City e della nazionale, si è allineato. Storia di un numero uno che già pare avviato a diventare la nuova grande speranza perduta.

Eravamo rimasti a Green, Robert Green, londinese fuori porta, di Chertsey, nel Surrey. Eravamo fermi ai suoi guantoni fragili che in una partita degli ultimi Mondiali si piegano sotto il tiro dell'americano Dempsey condannando l'Inghilterra non a una sconfitta, semmai a una sorte peggiore, più sciagurata, all'incubo di non avere un portiere.

martedì 1 ottobre 2013

Il professor Wenger


Vattene, Wenger, liberaci dal male, vattene prima che per l'Arsenal sia tardi. A questo era arrivata la Londra radical chic, quella che impasta il suo tifo liberal al cockney della working class. Addio diversità. Due mesi fa di trasversale c'era solo l' esasperazione per 8 anni senza titoli e per un mercato deludente: persi Jovetic, Higuaìn e Suàrez. Puoi essere la squadra degli intellettuali di sinistra, puoi tenere sotto al braccio tutti i romanzi di Nick Hornby che vuoi e alla fine ragionare come gli altri: non avrai altro dio all'infuori del risultato. 

lunedì 30 settembre 2013

Il calcio di Wenger in quindici frasi

Sessantaquattro anni, da 17 sulla panchina dell’Arsenal. L’allenatore più longevo in Premier League dopo l’addio di Ferguson al Manchester United. Criticato in estate dai tifosi per aver fallito gli obiettivi sul mercato, con 50 milioni ha sottratto Özil al Real nell’ultimo giorno di trattative e riportato Londra in testa alla classifica. Martedì sfida l’amico Benítezin Coppa dei Campioni. Il ritratto dell’allenatore francese attraverso le sue frasi più famose.

Lui e il lavoro
“Ho cominciato ad allenare a 33 anni e qualche volta ho creduto che non sarei sopravvissuto”.

“Nessuno possiede abbastanza talento per vivere di solo talento. Una vita senza fatica non ti porta da nessuna parte”.

“Cosa faccio nel mio tempo libero? Guardo il calcio”.

“Noi all’Arsenal non compriamo superstar, noi le costruiamo”.

venerdì 27 settembre 2013

Papà, perché siamo dell'Atlético Madrid?

Sono da sempre i parenti poveri del Real. I materassai. Vendono i loro campioni. Non vincono un derby in campionato dal 1999. Ma sanno diffondere l'amore per la loro squadra come nessun altro al mondo. E stavolta arrivano al Bernabeu da primi in classifica. Quelli dell'Atlético Madrid. 

 Sono passati dodici anni. Dodici anni dal giorno in cui la macchina si ferma al semaforo, il bambino getta lo sguardo fuori dal finestrino, assorto, poi domanda Papà perché siamo tifosi dell'Atlético? E il papà muto, gli occhi che ruotano verso il sedile posteriore, un mezzo sorriso accennato. "Non è facile da spiegare, però è qualcosa di grande, molto grande", risponde al suo posto una frase scritta sullo schermo, prima che appaia lo scudo di Madrid, dell’Atlético Madrid.

mercoledì 25 settembre 2013

Tutto quello che sappiamo sul calcio è sbagliato

Angoli, tiri in porta, possesso palla: tutto quello che sappiamo  sul calcio è sbagliato. Ma proprio tutto. Ci rimproverano un ex portiere della serie D tedesca, oggi docente universitario di scienze sociali, e un analista di strategie di gioco. Chris Anderson e David Sally si sono messi a esaminare 8.232 partite tenute fra il 2005 e il 2011 in Inghilterra, Germania, Spagna e Italia. Per giungere alla conclusione che certe cose nel calcio sembrano verità supreme solo perché "si è sempre fatto così". Male. Molto male. Il loro calcio visto al rovescio lo hanno raccontato nel libro "The Numbers Game (ed. Penguin, 12,99 sterline), un volume che in questi mesi ha aperto un dibattito in Inghilterra sul lavoro degli analisti e sulle potenzialità di un'eventuale sabermetrica nel pallone. La sabermetrica è l'analisi del baseball attraverso le statistiche resa celebre dal film Moneyball. Si può leggere il calcio in modo nuovo, scientifico, con quegli occhiali lì? Anderson e Sally dicono che non di rilettura si tratterebbe, ma di una rivoluzione.

lunedì 16 settembre 2013

La tecnologia nello sport

«Ehi, arbitro, sostituzione». Il coach guarda l'iPad in panchina e decide che è il momento di cambiare. Più che decidere, esegue. La sostituzione in realtà l'ha suggerita una app. L'ha consigliata confrontando la scheda sugli infortuni passati del giocatore e i dati. Dopo, un po' alla volta, abbiamo visto calciare palloni con un microchip all'interno verso porte di calcio su cui sono puntate delle telecamere, il campionato inglese ha appena adottato il Goal Decision System: quando la linea bianca è superata, l'arbitro riceve un impulso sul suo orologio. Abbiamo visto tennisti fermare il gioco per puntare lo sguardo all'insù e controllare su un maxi schermo se il colpo era dentro o fuori. Abbiamo assegnato in Italia uno scudetto di pallacanestro con l' instant replay, la moviola a bordo campo. E oggi, tra porte di pallanuoto che si illuminano allo scadere del tempo consentito per il tiro e spade collegate in wireless con la postazione dei giudici di scherma, la frontiera si è spostata un po' più in là. O forse la frontiera non c'è più.

martedì 10 settembre 2013

La dannazione del calcio ceco: una foto sbagliata in una notte storica

Europei 1976. Germania battuta in finale. La notte in cui Panenka inventò il rigore a cucchiaio. L'unica vittoria internazionale del calcio ceco. Ma di quella notte resterà un'immagine sbagliata: la Coppa sollevata con le maglie degli avversari. Per la rabbia degli ufficiali comunisti.

Facile oggi. Si guarda lo schermo e se la foto non ci piace la rifacciamo. Clic. Ecco. Ora va bene. Ma prima dell'era digitale, era la dittatura del rollino a stabilire la caratura dei nostri ricordi. Fissavi l'attimo, ma davvero, e se l'attimo era quello sbagliato, amen, restava guasto nei secoli dei secoli. È la condanna che il calcio ceco ha scoperto di dover vivere dal '76 a oggi, dalla notte in cui per la prima e unica volta nella sua storia vinse qualcosa. La sera che in genere ricordiamo per il cucchiaio di Panenka.

sabato 7 settembre 2013

Il centravanti che avvitava coperchi sui vasetti

Due partite in nazionale, due gol. Lui che ha debuttato solo adesso, a 31 anni, senza aver mai conosciuto la Coppa dei Campioni e dopo tanto cammino in serie C e D. Lui che lavorava per 20 sterline al giorno in una fabbrica di barbabietole. Lui che sboccia nel pieno della crisi di talenti del calcio inglese e gioca al posto di Rooney. Rickie Lambert, il centravanti dell'Inghilterra venuto dal nulla.

Dieci anni fa era solo una riserva dello Stockport e nel 2005 giocava in serie D. Adesso lo chiamano eroe. I giornali inglesi, il suo ct Hogdson, la folla allo stadio. Adesso che di anni ne ha trentuno, e quasi nessuno più s'aspettava che Rickie Lambert da Liverpool potesse diventare il centravanti della nazionale.

mercoledì 4 settembre 2013

Storia di Stiliyan Petrov e del minuto 19

Centosei partite con la sua nazionale, due volte avversario degli azzurri dopo il Mondiale vinto da Lippi, ha lasciato il calcio a marzo 2012 quando gli diagnosticarono la leucemia. Mentre era in cura, i tifosi dell'Aston Villa lo hanno ricordato durante ogni partita in casa con un applauso al minuto 19, il suo numero di maglia. Ma quell'applauso, ora, Stiliyan Petrov non lo vuole più. E torna in campo per beneficenza.

Arteta calciò forte in porta, Given si lanciò sulla sinistra col braccio disteso e non ci arrivò. Stiliyan era piazzato in barriera. Vide passare la punizione di lato e capì che prendere un gol al 93' sarebbe stata l'ultima cosa che avrebbe fatto su un campo di calcio.

sabato 31 agosto 2013

Il senso di Guardiola per l'abbraccio

Li ha abbracciati uno per uno. Tutti. Sul campo, in tribuna, di nuovo sul campo. Non era un rito anonimo quella stretta di Guardiola ai suoi uomini, i primi a dargli un titolo senza Messi. C'era intimità, c'era l'esibito piacere di un gesto di cui Pep ha raccontato di avere un terribile bisogno. “Per convincerli che l’idea è una”. Così raccontò a maggio scorso, quando in pieno anno sabbatico volò in Argentina per un ciclo di conferenze sulla sua idea di calcio, una coerente appendice della sua idea di mondo. Parlò dell'abbraccio e del suo metodo d'insegnamento, la sua maniera di costruire un gruppo, di gestirlo, brutta parola, meglio dire di viverlo. E parlò di Messi, l'uomo che forse più di tutti gli è capitato di abbracciare. Ne parlò sorprendendo gli argentini. Ora che si è scollato di dosso l'ombra di Leo vincendo anche senza di lui, la rilettura di quelle frasi racconta un Guardiola privato. Venti frasi. Eccole:

I manuali del tifo

Il tifo, si dice. Come se fosse uno. Indistinguibile. Come se fosse una polpa, uguale ovunque, mentre niente più di una bandiera d' una squadra di calcio racconta la coerenza verso un' identità. Un conto è tifare per chi oscilla tra successo e tracollo, chi vive di crepacuore «sulle montagne russe della grandezza», un altro stare dalla parte di chi ritiene che «vincere sia l'unica cosa che conta». Essere interista significa convivere con l'idea che «anche la sconfitta di oggi può divenire un trampolino di lancio verso la vittoria di domani», essere juventini prevede l'esclusione dal proprio orizzonte di ogni altro titolo che non sia il dio risultato, «tutte queste scemenze qua, a noi non interessano niente». Finezze e sfumature di ogni partigianeria sono raccontate in quattro manualetti su Inter, Juve, Napoli e Roma mandati in libreria da Fandango con dei titoli che sono altrettanti hashtag (la stringa con cui su Twitter sono contrassegnate le parole chiave). Più in là arriveranno quelli su Genoa, Lazio, Milan e Palermo.

martedì 27 agosto 2013

Italia-Germania di Cesare Pavese

Sessantatre anni fa, il 27 agosto 1950, Cesare Pavese si tolse la vita nella camera di un albergo a Torino. Un gigante della letteratura che tra la sue pagine seminò passaggi dedicati al calcio, o forse sarebbe più corretto dire alle partite di pallone. Al gioco. Ai suoi odori, alle sue atmosfere, all’incredibile gioia che sa dare. Eccole:
Ho sentito urlare, cantare, giocare al pallone; col buio, fuochi e mortaretti; hanno bevuto, sghignazzato, fatto la processione; tutta la notte per tre notti sulla piazza è andato il ballo, e si sentivano le macchine, le cornette, gli schianti dei fucili pneumatici. Stessi rumori, stesso vino, stesse facce di una volta. (La luna e i falò)
Ma dopo quei primi giorni, finita la festa e il torneo di pallone, l’albergo dell’Angelo si rifece tranquillo e quando, nel brusìo delle mosche, prendevo il caffè alla finestra guardando la piazza vuota, mi trovai come un sindaco che guarda il paese dal balcone del municipio. (La luna e i falò)
I commessi parlavano eccitati della partita di calcio del giorno dopo. Partita internazionale, Italia-Germania. Masin non s’era più occupato del gioco da tre mesi e, a sentir nominare un portiere che non conosceva, gli andò il sangue ancor più alla testa. (Ciau Masino)
I ragazzi vociavano e giocavano al calcio. Nel cielo chiaro – quel mattino aveva smesso di piovere – vidi nuvole rosee, ventose. Il freddo, il baccano, la repentina libertà del cielo, mi gonfiarono il cuore. (Prima che il gallo canti)

sabato 24 agosto 2013

Il 24 agosto e l'amore pompeiano di Gautier

Ma in quale epoca della vita di Pompei era stato trasportato? Un'iscrizione edile scolpita su un muro gli fece capire, dal nome dei personaggi pubblici, che si era all'inizio del regno di Tito, cioè nell'anno 79 della nostra era. Un pensiero improvviso attraversò la mente di Octavien: la donna di cui aveva ammirato l'impronta al museo di Napoli doveva essere viva perché l'eruzione del Vesuvio nella quale era morta era avvenuta il 24 agosto di quell'anno. Poteva dunque ritrovarla, vederla, parlarle...
Il desiderio folle che aveva provato vedendo quella cenere modellata su forme divine poteva essere soddisfatto, perché nulla doveva essere impossibile a un amore che aveva avuto la forza di far tornare indietro il tempo e di far passare due volte la stessa ora nella clessidra dell'eternità.
(Théophile Gautier, Arria Marcella, 1852)

mercoledì 21 agosto 2013

La leggenda nascosta di Van Beveren

La scultura dedicata a van Beveren è piazzata lungo la Coen Dillen Promenade, dentro lo stadio del Psv Eindhoven, avversario del Milan per la qualificazione ai gironi di Coppa dei Campioni. Van Beveren, chi? Jan van Beveren, uno dei più grandi portieri di sempre in Olanda, forse il più grande.Nessuno lo direbbe perché Jan faceva parte della generazione d'oro degli anni Settanta, eppure non giocò né i Mondiali di Germania '74 né quelli d'Argentina '78. "Peccato, perché con lui in porta non avremmo perso in finale", dissero un giorno i gemelli René e Willy van de Kerkhof, leggende del Psv e dell'Olanda di allora. In nazionale Jan era arrivato a soli 19 anni, dopo aver tolto allo Sparta Rotterdam il posto da titolare a Pim Doesburg. Un predestinato, una testa dura. "Molti vanno in porta perché non sono bravi in attacco. Io ho sempre voluto stare lì. Mi piacevano le foto in cui si vedevano i portieri saltare sotto la traversa per deviare il pallone".

giovedì 25 luglio 2013

Borges e il rosa del Boca

Ride, Ramòn Diaz. Guarda la nuova maglia dei rivali di sempre e ride. Ride con lui tutto il mondo del River Plate al cospetto della nuova divisa del Boca Jrs. Perché è rosa. Sfottò, gente che si dà di gomito, fotomontaggi che girano sui social network: la pantera, un tutù da ballerina, il maiale dei Pink Floyd. E quella risata di Ramòn che ha accompagnato il suo commento: "Davvero è rosa? Che carina. Dal blu e giallo passano al rosa. Carini. Aspetto di vederla...".

lunedì 22 luglio 2013

Dove le strade non hanno nome

C'è un romanzo che esce a ottobre. Romanzo lo dicono gli altri. sarà una convenzione. C'è una storia che esce a ottobre, ecco così mi sento più a mio agio, e quella storia stava dentro la mia testa. Ha abitato lì dentro per qualche anno. Ha fatto qualche giro, ha imboccato percorsi stralunati, alla fine ha fatto in modo che io le dessi un ordine. Questo blog, nel frattempo, mi dava modo di conservare traccia di idee e spunti che sarebbero tornati utili, che sono tornati utili.
La storia ha un titolo. "Dove le strade non hanno nome". Come la canzone degli U2. Ma gli U2 non c'entrano. Cioè. C'entrano. Ma non c'entrano. (Pare che sia una buona strategia per incuriosire, boh, così mi dicono). C'è un link, questo qui, dove si può vedere un'idea di copertina, dove si possono leggere le prime 10 pagine e dove si può sostenere il libro, edito da "Ad est dell'equatore". Sostenere. Nel senso di crowdfunding. Si clicca sul tasto SOSTIENI, e quando il libro sarà uscito, ve lo spediranno a casa.
E' il primo libro al mondo che vanta uno sponsor in rete prima che sia in vendita (grazie a Elena Petulia).
Così adesso almeno sapete cosa facevo quando non aggiornavo il blog.

mercoledì 17 luglio 2013

I magnifici palloni di Vincenzo Cerami

I pali delle porte erano le cartelle. Il bambino Vincenzo scoprì il pallone per la strada, quartiere Alberone, a Roma, dove avevano steso l'asfalto, e su quell'asfalto le automobili non passavano ancora. Dopo, solo dopo, quando cambiò casa, si poteva giocare sui prati di Ciampino fino a sera. Il professore di lettere si chiamava Pier Paolo. Pier Paolo Pasolini. Bravo pure lui con il pallone, stava a sinistra, correva, correva e calciava forte. Scuole medie. Istituto "Petrarca". Primi anni Cinquanta. Vincenzo si muoveva a centrocampo. Mediano. Mica per scelta. Per obbligo. Anche dopo, anche crescendo.

domenica 23 giugno 2013

Filosofia di Tata Martino


Utopista, ma realista. Hombre vertical, ma pure frontal. Ironico e rigoroso. Offensivista, ma con criterio. Bielsista, nel senso di seguace di Marcelo Bielsa, ma non così loco come lui, non tanto pazzo come il suo maestro. Tutta la filosofia del nuovo allenatore del Barcellona, Gerardo Martino detto Tata, in 15 frasi.

martedì 18 giugno 2013

KEROUAC E L'ADDIO A CHRISTINE

Era la mattina del 18 giugno 1956. Ero sceso a dire addio a Christine e l'avevo ringraziata di tutto e m'ero incamminato lungo la strada. Lei mi salutò con la mano dal cortile erboso. "Come sarà triste qui adesso che tutti se ne sono andati e senza più grandi splendide feste ogni week-end". S'era veramente goduta tutto quello che era successo. Eccola lì ritta a piedi nudi nel cortile, con la piccola Prajna pure scalza, mentre io m'allontanavo lungo il pascolo dei cavalli.
[Jack Kerouac, I vagabondi del Dharma, 1958]

lunedì 17 giugno 2013

HILDA, PASSERO' A PRENDERTI IL 17 GIUGNO

Sul vassoio della colazione c'era una lettera di Hilda. "Papà va a Londra questa settimana, e io passerò a prenderti giovedì a otto, il 17 giugno. Fatti trovare pronta, così potremo partire subito. Non voglio sprecare tempo a Wragby, è un posto orribile. Probabilmente passerò la notte a Redford dai Coleman, perciò dovrei essere da te per il pranzo di giovedì. Potremmo poi partire all'ora del tè e forse dormire a Grantham. E' inutile passare una serata con Clifford. Se gli dà fastidio che tu parta, non gli farebbe piacere".
Ah, così! Ancora una volta la spingevano di qua e di là sulla scacchiera come una pedina.
[David Herbert Lawrence, L'amante di Lady Chatterley, 1928]


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Tutta la serie "una pagina, un giorno"
Francesca Schiavone, Lady Chatterley e la rivoluzione sessuale

La prova dell'otto di Caterina Guzzanti


Comica non si nasce. «Non ero divertente a scuola, non ero divertente con gli amici, non mi piaceva stare al centro della scena». Comica, a volte, non sai neppure come lo diventi. «Io, in realtà, volevo fare la veterinaria. Raccattavo animali in giro, portavo a casa gatti malatissimi. Ho avuto un rapporto assai stretto con l'antimicotico. Ne ricordo uno che usava mia nonna, me lo spalmava addosso, da bambina ero sempre viola». Nel giardino del museo Maxxi, sotto il sole della primavera di Roma, Caterina Guzzanti, trentasette anni appena compiuti, quasi non ricorda come sia finita dentro questo gorgo che ormai maneggia con padronanza.

domenica 16 giugno 2013

JOYCE E LA PIOGGIA DEL 16 GIUGNO

Così, giovedì sedici di giugno, seppellito Patk. Dignam, per colpo apoplettico e dopo gran siccità, Dio piacendo, piovve, un battelliere giunto per via d'acqua da circa cinquanta miglia di distanza con un carico di torba diceva che il seme non buttava, la terra era sitibonda, di brutto colore e putiva fieramente, anche i paduli e le lande. Difficile tirare il fiato e i polloni giovani tutti consunti senza una goccia per tanto tempo che nessuno aveva memoria d'una simile mancanza. I boccioli color rosa tutti abbruniti e aggrumati e sulle colline niente altro che giunchi e ramoscelli secchi pronti ad accendersi al primo foco. A tutti dicevano che, per quel che ne giudicavano, il grande vento del febbraio d'or è un anno che sconvolse la contrada in modo sì miserevole era piccola cosa appetto a questa siccità.
[James Joyce, Ulisse, 1922]

venerdì 14 giugno 2013

I TORMENTI ADOLESCENZIALI DI EVA HERZIGOVA


"Il pezzo sulla Thatcher l'ho scritto seduto sul letto di una camera d'albergo nel Gran Canyon. Mi hanno dato un'ora per scrivere 10 mila parole: e anche se mi piace avere scadenze precise, per tutta quell'ora ho continuato a chiedermi perché stavo lì a scrivere e non ero fuori a far trekking con gli altri". (Ian McEwan, L'Espresso, 7 giugno)

"Essere padre è innamorarsi ogni giorno, e mi piace. Poi certo, mi preoccupa anche". (Benicio Del Toro, Io Donna, 7 giugno)