sabato 26 luglio 2014

Le vite immaginarie di Optì Pobà



Optì Pobà è nato in Ghana, in Senegal, forse in Brasile. Avrà vent’anni, ventuno, ventisei, chi lo sa, conta poco, anche questo alla fine è un dettaglio.

Optì Pobà gioca a calcio perché gli piaceva molto da bambino, giocare in fondo gli riesce abbastanza bene già dai tempi in cui il pallone era un ammasso di stracci e gli mancava il verde del prato sotto le scarpette. Ha scoperto col tempo che il calcio lo avrebbe reso benestante, gli avrebbe fatto girare il mondo, perciò alla passione Optì ha aggiunto l’impegno. Per farcela. Per arrivare dov’è adesso.

lunedì 21 luglio 2014

Vedrai che uno arriverà

NON c'è in Italia sport più del ciclismo adatto alla pagina scritta, al racconto puro, a quel registro che per intendersi negli Stati Uniti il cinema riserva alla boxe. All'epos della bicicletta si sono dedicati, tra gli altri, Vasco Pratolini, Alfonso Gatto, Dino Buzzati e Anna Maria Ortese. Ora, i giornalisti Giorgio Burreddu e Alessandra Giardini ricostruiscono una geografia ragionata del ciclismo componendo una sorta di atlante dei suoi luoghi immortali: la foresta di Arenberg che è il cuore della Parigi-Roubaix, il paesaggio lunare del Mont Ventoux, lo strappo esile e farabutto del Poggio, dove si decide chi perde la Milano-Sanremo. Un suggestivo intreccio di strade e di campioni, con la fatica di stabilire chi ha reso celebre chi, e una raccolta di definizioni e frasi celebri su ogni colle, montagna o circuito narrato. Un lavoro pieno di cura e di dettagli, del resto il ciclismo è passione. Prefazione di Mario Sconcerti.

(Repubblica, 20 luglio 2014)

sabato 12 luglio 2014

Kroos, ultimo figlio della Germania est

tonikroos18 Il Signor Ultimo si chiama Toni Kroos. Due mesi dopo la caduta del muro di Berlino e nove prima che la Germania diventasse una sola, Kroos nasceva a Greifswald, un tempo borgo di pescatori sul Baltico, oggi città universitaria, anzi un'Università con una città cresciuta intorno. Gioca contro l'Argentina per diventare il primo calciatore tedesco dell'est a vincere il mondiale, il primo e l'ultimo insieme, a essere precisi.

giovedì 10 luglio 2014

I gol di Chilavert

chilav2 La cosa è più comune di quanto si pensi. State prendendo la rincorsa, andate verso la palla per calciare un rigore - o una punizione - e dietro di voi spunta di corsa un altro ragazzino che batte al posto vostro. Batte e ride.
Io quelli così li odiavo e vi confesso che li odio ancora. Vuoi battere al posto mio? Dimmelo. Ti ho detto di no e vuoi calciare lo stesso? Bene, allora corri, fai lo scorretto: arriva alle spalle e batti. Ma non devi ridere. Io non ci trovo niente da ridere. Questa era la cosa che mi piaceva fare da bambino. Tirare i rigori. O le punizioni. Invece mio fratello mi sbatteva sempre in porta, José stai lì, diceva,ne basta uno di Chilavert in attacco. Bastava lui. Questo intendeva. E se sono diventato un portiere è tutta colpa sua.

mercoledì 9 luglio 2014

Taffarel e le nuvole di Pasadena

taffarel Dio mi permette di sopportare qualsiasi tempesta. Mi fa guardare avanti aspettando la prossima schiarita. La bufera mi avvolse che ero campione del mondo, incredibile a dirsi. Avevo vinto la Coppa e non avevo più una squadra.
A 23 anni, se fai il calciatore, non sai molto di come vanno le cose nell'economia mondiale. Giocavo nell'Internacional, avevo i fulmini nelle gambe grazie al beach volley, i balzi da fermo mi avevano fatto bene, quando mi dissero che una squadra italiana mi voleva dall'altra parte dell'Oceano. Era stata promossa in serie A. Il Parma. Passavo da un guadagno di un milione l'anno a 250. Pensateci un attimo e ditemi se non è una cosa che può far perdere la testa.

martedì 8 luglio 2014

Tony Meola e quella faccia da Hollywood

meola3 Il primo elogio me lo fece Dino Zoff, che allora allenava i portieri della Juve. Non mi conosceva nessuno. Erano i giorni in cui sognavo di giocare la Coppa del mondo: se da bambino mi avessero chiesto in quale Paese, avrei detto Italia e Usa. E andò così.
Vincenzo, mio padre, era arrivato in New Jersey nel '65. Io sono nato quattro anni dopo. Raccontava di aver giocato con l'Avellino in serie B. Forse qualche partita, di sicuro era la serie C. Era partito da Torella dei Lombardi, il posto in cui era nato anche il papà del regista Sergio Leone, negli anni Sessanta stavano andando via in molti: più o meno il 10 per cento della popolazione.

Campos e i maglioni con i colori del surf

jorge-campos-9 Voi non sapete quanto era forte Adolfo. Ottantuno milioni di persone e cento anni di pallone: noi messicani non avevamo mai avuto un grande portiere, e proprio io mi dovevo trovare davanti Adolfo Rìos. Un mostro.


jorge94Quando arrivai ai Pumas, il numero uno era lui. Solo che non mi andava certo di fare la riserva all'unico portiere buono che il Messico avesse tirato fuori dai tempi di Adamo ed Eva. Lasciate perdere Carbajal, io dico un portiere forte sul serio. Visto che c'era già Rios, chiesi di andare in attacco, me la cavavo anche coi piedi. Mi aveva insegnato tutto mio padre, che aveva messo su una squadretta nel quartiere a cui aveva dato il nostro cognome.
 

lunedì 7 luglio 2014

Goycochea e i rigori parati alle sorelle

goyco2 Diego disse Tranquilli ragazzi, Napoli non ci fischierà. Come potesse esserne così sicuro, non lo capimmo. Anche se lui era lui, e Napoli era sua. Ma di mezzo c'erano l'Italia e una semifinale mondiale.
Sono arrivato a undici metri di distanza dalla Coppa del mondo. Non sono riuscito a parare l'unico rigore che avrei dovuto prendere. Andreas Brehme, 1990, la finale contro la Germania. Feci mezzo passo avanti e mi lanciai sulla mia destra. Poteva tirare solo di là. Ma non ci arrivai. Ai rigori avevamo battuto la Jugoslavia a Firenze nei quarti e l'Italia a Napoli in semifinale. Brehme, in tedesco, per me significa castigo.

Mia figlia spiegata a mia figlia

TUTTO quello che si può sbagliare da genitori, con la falsa pretesa di essere nel giusto. I padri, come i commissari, in libreria non smettono di moltiplicarsi, nella scia dei lavori di Massimo Recalcati e Michele Serra. Ma con Mia figlia spiegata a mia figlia Dario De Marco, nella sua scanzonata citazione di Tahar Ben Jelloun, non teorizza: mostra la realtà. Dall'esordio di quattro anni fa il narratore sperimentale e anticonvenzionale fa un passo avanti e consegna stavolta addirittura un non-libro, una specie di blog di carta, effettivamente nato come costola del suo diario in rete "Solo Papà". È il racconto di un'ossessione quotidiana che danza sulla soglia della paranoia, spiritoso, auto- ironico, profondo senza mai dare l'impressione di pretendere d'esserlo. Un'intera galleria di sfumature psicologiche viene radiografata attraverso tic e nevrosi, per descrivere l'annullamento di se stessi di fronte al bebé. «Ma ce l'abbiamo un nome di battesimo anche noi, da appiccicare su queste occhiaie, su questa giacca sporca di omogeneizzato?».

(Repubblica, 6 luglio 2014)

domenica 6 luglio 2014

Ivkovic e i due rigori parati a Maradona

ivkovic3 Non conta solo il numero 10, non conta solo il numero 1. A calcio si gioca in undici e se quegli undici non funzionano tutti insieme, be', non si va da nessuna parte. Neppure se avete parato un rigore a Maradona, neppure se gliene avete parati due, com'è capitato a me, senza riuscire a batterlo mai. Quando arrivammo in Italia per giocare i Mondiali del '90, il nome Jugoslavia conteneva ansia e paura. La Slovenia aveva proclamato l'indipendenza economica a marzo, e a Zagabria, la mia città, Tuđman pronunciava parole simili. L'ultima amichevole prima della partenza era finita con il pubblico a tifare per l'Olanda: nell'unità garantita da Tito, la mia gente non si riconosceva più. Eppure, dovevamo essere una squadra, un gruppo solo. Si decise che fra di noi non avremmo mai parlato di politica.

sabato 5 luglio 2014

Lo scorpione di Higuita

higuita Dare gioia alla gente, alla fine questo conta. Averle strappato un sorriso con il tuo nome. Averla confortata un po' durante i suoi giorni. Se le persone si ricordano di te, ecco, allora ce l'hai fatta.
È stato un regalo del cielo aver incontrato Maturana. La sua idea del calcio era uguale alla mia. Lui diceva sempre che di pallone ce n'è uno solo, il segreto è conservarlo. Se lo tieni, non possono farti gol. Io l'ho giocato sempre con criterio, tranne quel pomeriggio maledetto a Napoli, contro il Camerun.