sabato 31 agosto 2013

Il senso di Guardiola per l'abbraccio

Li ha abbracciati uno per uno. Tutti. Sul campo, in tribuna, di nuovo sul campo. Non era un rito anonimo quella stretta di Guardiola ai suoi uomini, i primi a dargli un titolo senza Messi. C'era intimità, c'era l'esibito piacere di un gesto di cui Pep ha raccontato di avere un terribile bisogno. “Per convincerli che l’idea è una”. Così raccontò a maggio scorso, quando in pieno anno sabbatico volò in Argentina per un ciclo di conferenze sulla sua idea di calcio, una coerente appendice della sua idea di mondo. Parlò dell'abbraccio e del suo metodo d'insegnamento, la sua maniera di costruire un gruppo, di gestirlo, brutta parola, meglio dire di viverlo. E parlò di Messi, l'uomo che forse più di tutti gli è capitato di abbracciare. Ne parlò sorprendendo gli argentini. Ora che si è scollato di dosso l'ombra di Leo vincendo anche senza di lui, la rilettura di quelle frasi racconta un Guardiola privato. Venti frasi. Eccole:

I manuali del tifo

Il tifo, si dice. Come se fosse uno. Indistinguibile. Come se fosse una polpa, uguale ovunque, mentre niente più di una bandiera d' una squadra di calcio racconta la coerenza verso un' identità. Un conto è tifare per chi oscilla tra successo e tracollo, chi vive di crepacuore «sulle montagne russe della grandezza», un altro stare dalla parte di chi ritiene che «vincere sia l'unica cosa che conta». Essere interista significa convivere con l'idea che «anche la sconfitta di oggi può divenire un trampolino di lancio verso la vittoria di domani», essere juventini prevede l'esclusione dal proprio orizzonte di ogni altro titolo che non sia il dio risultato, «tutte queste scemenze qua, a noi non interessano niente». Finezze e sfumature di ogni partigianeria sono raccontate in quattro manualetti su Inter, Juve, Napoli e Roma mandati in libreria da Fandango con dei titoli che sono altrettanti hashtag (la stringa con cui su Twitter sono contrassegnate le parole chiave). Più in là arriveranno quelli su Genoa, Lazio, Milan e Palermo.

martedì 27 agosto 2013

Italia-Germania di Cesare Pavese

Sessantatre anni fa, il 27 agosto 1950, Cesare Pavese si tolse la vita nella camera di un albergo a Torino. Un gigante della letteratura che tra la sue pagine seminò passaggi dedicati al calcio, o forse sarebbe più corretto dire alle partite di pallone. Al gioco. Ai suoi odori, alle sue atmosfere, all’incredibile gioia che sa dare. Eccole:
Ho sentito urlare, cantare, giocare al pallone; col buio, fuochi e mortaretti; hanno bevuto, sghignazzato, fatto la processione; tutta la notte per tre notti sulla piazza è andato il ballo, e si sentivano le macchine, le cornette, gli schianti dei fucili pneumatici. Stessi rumori, stesso vino, stesse facce di una volta. (La luna e i falò)
Ma dopo quei primi giorni, finita la festa e il torneo di pallone, l’albergo dell’Angelo si rifece tranquillo e quando, nel brusìo delle mosche, prendevo il caffè alla finestra guardando la piazza vuota, mi trovai come un sindaco che guarda il paese dal balcone del municipio. (La luna e i falò)
I commessi parlavano eccitati della partita di calcio del giorno dopo. Partita internazionale, Italia-Germania. Masin non s’era più occupato del gioco da tre mesi e, a sentir nominare un portiere che non conosceva, gli andò il sangue ancor più alla testa. (Ciau Masino)
I ragazzi vociavano e giocavano al calcio. Nel cielo chiaro – quel mattino aveva smesso di piovere – vidi nuvole rosee, ventose. Il freddo, il baccano, la repentina libertà del cielo, mi gonfiarono il cuore. (Prima che il gallo canti)

sabato 24 agosto 2013

Il 24 agosto e l'amore pompeiano di Gautier

Ma in quale epoca della vita di Pompei era stato trasportato? Un'iscrizione edile scolpita su un muro gli fece capire, dal nome dei personaggi pubblici, che si era all'inizio del regno di Tito, cioè nell'anno 79 della nostra era. Un pensiero improvviso attraversò la mente di Octavien: la donna di cui aveva ammirato l'impronta al museo di Napoli doveva essere viva perché l'eruzione del Vesuvio nella quale era morta era avvenuta il 24 agosto di quell'anno. Poteva dunque ritrovarla, vederla, parlarle...
Il desiderio folle che aveva provato vedendo quella cenere modellata su forme divine poteva essere soddisfatto, perché nulla doveva essere impossibile a un amore che aveva avuto la forza di far tornare indietro il tempo e di far passare due volte la stessa ora nella clessidra dell'eternità.
(Théophile Gautier, Arria Marcella, 1852)

mercoledì 21 agosto 2013

La leggenda nascosta di Van Beveren

La scultura dedicata a van Beveren è piazzata lungo la Coen Dillen Promenade, dentro lo stadio del Psv Eindhoven, avversario del Milan per la qualificazione ai gironi di Coppa dei Campioni. Van Beveren, chi? Jan van Beveren, uno dei più grandi portieri di sempre in Olanda, forse il più grande.Nessuno lo direbbe perché Jan faceva parte della generazione d'oro degli anni Settanta, eppure non giocò né i Mondiali di Germania '74 né quelli d'Argentina '78. "Peccato, perché con lui in porta non avremmo perso in finale", dissero un giorno i gemelli René e Willy van de Kerkhof, leggende del Psv e dell'Olanda di allora. In nazionale Jan era arrivato a soli 19 anni, dopo aver tolto allo Sparta Rotterdam il posto da titolare a Pim Doesburg. Un predestinato, una testa dura. "Molti vanno in porta perché non sono bravi in attacco. Io ho sempre voluto stare lì. Mi piacevano le foto in cui si vedevano i portieri saltare sotto la traversa per deviare il pallone".