sabato 22 febbraio 2014

La battaglia dei poeti tifosi

Finì male, finì malissimo. Accuse all'arbitro dalla Real Sociedad e accuse al Barcellona. Avete rubato, la Coppa era nostra. Una delle prime grandi polemiche nella storia del calcio. Ma poiché siamo nel 1928, la polemica la fanno due poeti. Rafael Alberti e Gabriel Celaya. A colpi di versi.
Le cose vanno così. Real Sociedad e Barcellona giocano a Santander la finale della Coppa del re. È il 20 maggio 1928. Piove. Scenario di quelli che si tramandano con i toni dell'epica. I giornali raccontano di una partita violenta. Solo a sette minuti dalla fine la Real Sociedad riesce a pareggiare con Mariscal l'iniziale vantaggio catalano segnato da Samitier. In onore del portiere del Barça che si è opposto agli attacchi quasi per la partita intera, il poeta Rafael Alberti - presente allo stadio - scriverà "Ode a Platko". Ferenc Platko, o Francisco, o Franz, è il portiere ungherese del Barcellona. Alberti inizia così:

giovedì 20 febbraio 2014

Kelsey e il primo gol mondiale di Pelé


Ho conosciuto il diavolo. Si presentò davanti a me in un pomeriggio di metà giugno, ci mise un attimo, aveva il pallone tra i piedi e diciassette anni addosso. Io ne avevo ventotto, e come al solito avevo fumato in campo prima che la partita cominciasse. Certo che Jack Kelsey è un bel tipo, dicevano intorno a me. Un bel tipo io, solo per una sigaretta posata tra le labbra prima di dare calci a un pallone.

venerdì 14 febbraio 2014

Il kamikaze Ghezzi e le notti di Cesenatico


Mike insisteva: Edy parla di più. Edy era così, non faceva nulla per mettersi in mostra. Non le occorreva. Modesta, serena, discreta. Elegante. Bellissima. Parlava poco, perché già avevano congedato Maria Giovannini da "Lascia o Raddoppia" dopo poche puntate. Ma lei era lei. Un incantesimo di gentilezza. La mia fidanzatina. La fidanzatina di Giorgio Ghezzi, portiere dell'Inter, detto il kamikaze.Quel nome lo meritai dopo un derby in cui mi gettai a faccia in giù sulle scarpe di Schiaffino. Spata-bam. Un'uscita folle. Servì. Fu lui a colpirmi, mi venne addosso, rimasi a terra a contorcermi, seguirono giorni e giorni di polemiche sui quotidiani. In realtà non mi feci niente, mi piaceva provocare Schiaffino. All'epoca, comunque, fidanzata era una parola impegnativa. Meglio fare larghissimi giri intorno alle parole. Un giornale scrisse che esisteva "una favorevole disposizione d’animo di Edy nei miei confronti". Favorevole disposizione d'animo. Che cos'erano gli anni Cinquanta.

lunedì 10 febbraio 2014

Beara, il ballerino con le mani d'acciaio


Girava una barzelletta in Jugoslavia. Un bambino si presenta da Tito e gli chiede due autografi. Il maresciallo tira fuori la penna dalla tasca e subito glieli firma, orgoglioso, sorridente. Ma la curiosità è forte. Vuole capire. Domanda perché. Insomma: perché proprio due. Perché per due autografi tuoi, gli risponde il bambino, a scuola me ne danno uno di Beara. Vladimir Beara sono io.

venerdì 7 febbraio 2014

Trautmann, il prigioniero adottato dagli inglesi


Quando gliene parlai occhi negli occhi, Sepp Herberger fu subito drastico. Mi disse che in nazionale non poteva chiamarmi, non c’era posto per me, anche se ero uno dei migliori portieri di tutta Europa. Se avessi giocato nel campionato tedesco, ecco, forse una soluzione si sarebbe potuta trovare, o neppure, chi lo sa, lui all’inizio disse così. Forse era una scusa. Sepp non trovava opportuno che il numero uno della Germania fossi io, dopo tutto quello che era successo. Di certo non potevo immaginare che un anno più tardi la Germania sarebbe diventata campione del mondo e che io, Bert Trautmann, avrei saputo la notizia soltanto dalla radio.

martedì 4 febbraio 2014

Grosics e i piedi fuori area


Ho sempre fatto il tifo per il Ferencvaros. Anche da bambino. Prima ancora di sapere che fosse la squadra della destra nazionalista. Il mio sogno era diventare grande perché potessi giocarci anch'io. In porta, si capisce. Facevo le telecronache finte e l'urlo dello stadio. Numero uno Gyula Grosics. Eeeeeeh. Così cominciai, sognando quella maglia nera. Ho giocato per il Dorogi Bányász. Ho giocato per il Mateosz Budapest. Ho giocato per il Teherfuvar. E a 24 anni, quando già mi avevano soprannominato Pantera Nera, perché tutto di nero vestivo dalla testa ai piedi, mi dissero che ero pronto. Pronto per una squadra vera. Una grande squadra. Io pensai che fosse giunta l'ora, invece mi dissero che la mia grande squadra era il Kispest. L'esercito gli stava cambiando nome. Stava diventando l'Honved. La squadra del ministero della difesa. Lì giocava Puskas. Lì giocava Kocsis. Lì giocava Czibor. Lì giocavano tutti i migliori calciatori dell'Ungheria, lì il governo aveva stabilito che dovessi andare anch'io.

La mascotte Guagliò e i dischi di Bossi

La mascotte dell'Expo che si chiama Guagliò e fa arrabbiare la Lega Nord, mi fa venire in mente quella volta in cui Massimo Troisi parlò di Bossi e dei dischi nascosti dietro un pannello.


sabato 1 febbraio 2014

Castilho, il portiere che si fece amputare il mignolo


Mancavano sette giornate alla fine del campionato e il mignolo della mia mano sinistra si piegò per la quinta volta in pochi mesi. Il dottore Newton Paes Barreto non sapeva come dirmelo. Una questione di cattiva calcificazione, il dito era ormai irrimediabilmente storto. Sarei dovuto rimanere fuori due mesi e pensare a guarire, avrei dovuto lasciare la porta a Caetano da Silva Nascimento detto Veludo, un ex scaricatore di porto che era la mia riserva. Con il Fluminense in corsa per il titolo, risposi al medico, non se ne parla proprio. Quanto è vero che mi chiamo Carlos José Castilho.