venerdì 15 febbraio 2019

Perché la pallamano in Italia non decolla

Questa è la storia del più grande mistero dello sport italiano e di una Nazionale dimenticata, l’unica a non essere mai andata alle Olimpiadi e ad aver fatto un’apparizione ai Mondiali in 50 anni, con gli uomini qualificati nel 1997 (diciottesimi) e le donne in campo nel 2001 (sedicesime) giusto perché si giocava a Merano. La pallamano non ha saggisti che la ritengano un’esperienza religiosa né scrittori disposti in nome suo a farsi mendicanti di bellezza. Nessun cantore, nessun poeta. A guardarla da vicino possiede solo l’arte della semplicità. In sintesi: si gioca in sette, uno sta in porta, non si può tenere la palla fra le mani per più di 3 secondi senza muoversi, si palleggia, si passa, si tira, tutto a patto di non entrare in area. Due tempi da 30 minuti, chi fa più gol vince. Facile, davvero. Tanto facile che, la federazione portò subito il gioco nelle scuole. Risultato: lo stiamo aspettando.
Quasi tutti i docenti di educazione fisica hanno fatto provare la pallamano ai loro alunni, eppure l’Italia non ha mai avuto una Nazionale da ricordare. “Siamo gli unici sul web senza una memoria da tramandare”, sintetizza Pasquale Loria, salernitano, 54 anni, presidente della federazione dal marzo 2017, quando ha interrotto il ventennale governo di Francesco Purromuto, “durante il quale - dice - abbiamo definitivamente perso terreno dal resto d'Europa che stava sviluppando la commercializzazione del nostro sport. Anni in cui venivano fissati protocolli per le riprese tv e per gli impianti. Ecco, lì noi siamo andati alla deriva. Abbiamo accettato l’idea di una decrescita felice mentre la pallacanestro italiana vinceva ancora le Coppe europee e la pallavolo viveva il suo boom. Le nostre società sono rimaste sostanzialmente in mano a professori di educazione fisica, le poche realtà manageriali hanno avuto vita breve”.

Per convincere gli adolescenti oggi c'è da vincere la concorrenza non solo degli sport di squadra tradizionali ma anche dell'hockey su prato - specialmente fra le ragazzine - del rugby a sette e del cricket, tutte discipline che si sono presentate agli studenti per intercettare abitudini e costumi dei figli dell'immigrazione. Con un progetto approvato dal Miur, la pallamano ora sta rilanciando la sua presenza fra i più piccoli, con la collaborazione di istruttori federali nelle ore di motoria alle primarie. Le Nazionali giovanili cominciano a raccogliere gli esiti della semina fra i nati nel 2000 e nel 2001. La Under 18 ha vinto in estate gli Europei di serie B qualificandosi per la prima volta nella storia a quelli maggiori Under 20: significa essere entrati tra i primi 16 paesi a livello giovanile, nonostante sia difficile trovare campi da 40 metri x 20 perché le indicazioni del Coni per la realizzazione di complessi polivalenti sono spesso disattese. L’unico sport che non ha mai mandato una Nazionale a un'Olimpiade finanzia questo suo sforzo immane con un budget di poco superiore ai 4 milioni l'anno, come dire: un mese e mezzo di stipendio di Cristiano Ronaldo. La dimensione della pallamano italiana è fatta di 33mila atleti, 404 società, 1.200 tecnici, tremila dirigenti. Una comunità da noi marginale, ma nel mondo è fra i primi tre sport per praticanti femminili e quello con più biglietti venduti ai Giochi 2012 e 2016 dopo il calcio. Ai Mondiali appena finiti con la vittoria della Danimarca ne sono stati comprati 500mila.

Un’ottima squadra maschile per la serie A si fa in Italia con 350mila euro l'anno, 200mila per una femminile. Il budget del Paris Saint-Germain è di 17 milioni, in Francia stelle come Karabatic e il danese Hansen possono guadagnare un milione l'anno mentre giocatori medi vivono con 6mila euro al mese in A e 4mila in B giocando 70 partite a stagione. Gli italiani che vivono di pallamano sono due e giocano in Germania: nel Bietigheim il portiere Domenico Ebner, di padre tedesco e madre pugliese, al Metzingern la terzina Anika Niederwieser, prima italiana a vincere un campionato all’estero con il Thüringer. Ma i club stranieri cominciano a pizzicare qui da noi giovani da far crescere, come i gemelli Marco e Simone Mengon, 19 anni (Montpellier), il diciottenne Leo Prantner (al Flensburg).

Anika è figlia d'arte. Suo padre Michael è stato portiere della Nazionale al famoso Mondiale del ’97. Aveva giocato a calcio finché il suo presidente non si dimenticò di tesserarlo. “Anche lui - racconta Anika Niederwieser - ebbe offerte dall'estero, ma aveva un lavoro e a quei tempi in Italia gli sponsor qualche soldo lo facevano girare. Ora siamo due pianeti diversi e distanti. Sarà sempre difficile avere una Nazionale competitiva, il gap nasce nelle scuole. In Germania i bambini giocano un'ora al giorno e le partite si possono vedere su Sky. In Italia il calcio mangia tutto”.

Il Nord-est è la casa storica della pallamano italiana. Trieste è la città con più scudetti (17), ma la sua grande rivale degli anni 70, la Volani Rovereto, ha chiuso l'attività. Dopo le parentesi di Scafati e Ortigia, dal 2002 lo scudetto se lo giocano l'Alto Adige (Bolzano e Merano) e la Puglia (Conversano Casarano Fasano). Tra le ragazze il nuovo polo è Salerno. Per promuovere lo sport fra i giovani, l'Italia si è fatta assegnare l'organizzazione degli Europei B Under 17 donne del prossimo agosto (in Friuli), la Coppa Campioni di beach in Sicilia per tre anni e i Mondiali di beach del 2020. “Se i bambini non vedono”, dice Loria “in palestra non vengono. Il finanziamento del Coni è legato ai risultati. Negli ultimi 20 anni l’88% dei titoli mondiali e olimpici è andato a paesi dell’Europa, che ai Giochi ha 4 o 5 posti. Significa che per qualificarsi bisogna avere una squadra da podio”.

Dunque le Olimpiadi non le vedremo mai, a meno che non entri nel programma del 2024 la beach handball: l’Italia ha vinto l’argento agli ultimi Mondiali juniores. Giuseppe Tedesco era il vice allenatore nel 1997 ed è il tecnico delle giovanili oggi. Dice che “esisteva un fervore perduto, un buco di interesse che ora paghiamo, non si può essere dopolavoristi a vita. Abbiamo perso il treno del professionismo negli anni in cui l’economia italiana girava meglio di oggi, ma dopo tanti anni rivedo ragazzi che pensano di fare della pallamano la loro vita”. Anche il profilo del giocatore ideale è mutato. Loria ricorda quando si diceva “se sei basso stai all’ala, sei sei grosso fai il pivot, se sei scarso vai in porta. Adesso è tutto run-and-gun: velocità, ritmo, intensità, errori. Non siamo più lo sport che somigliava alla pallanuoto senza l’acqua”. Anzi, per il ct Riccardo Trillini “un nostro giocatore è un vero decathleta che riassume le caratteristiche anche di altri sport, dal calcio alla pallacanestro: siamo il più veloce sport di squadra con la palla".

I tecnici federali che girano le scuole per il reclutamento a questa “atletica giocata”, cercano ragazzi “mediamente forti e alti - spiega Tedesco - perché i terzini vanno dal metro e 95 ai due metri come i pivot, serve forza nel tronco e nelle braccia per il tiro, si tratta di uno sport di contatto e resistenza, ed è meglio avere i mancini a destra. Sono le stesse caratteristiche per volley e basket, lo so, ma è strano che non riusciamo a far concorrenza potendo offrire il fascino della porta e del gol, nella nazione che ha sempre pensato al calcio”. Strano perché i gol di mano, con Silvio Piola, li abbiamo inventati noi.

(Il Venerdì, 8 febbraio 2019)

1 commento:

StevenHWicker ha detto...

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