lunedì 15 giugno 2015

Il sospiro di Enzo Gragnaniello


Non ce ne sono molti di dischi al mondo che si chiudono così. Con un grugnito. Un rantolo che pare di sottomissione, di rinuncia, e che arriva in coda a undici canzoni da cui invece fino a un attimo prima si è sporta la rabbia. Un’insurrezione spirituale. Enzo Gragnaniello dice che non è un sospiro di arrendevolezza, anzi, “semmai di fierezza, di voglia di vivere, perché se il dolore lo hai provato, alla fine lo avverti come un premio”. Il pezzo che in modo tanto singolare chiude Misteriosamente, il suo disco numero 23, a quattro anni dal precedente, si chiama Il viaggio di un amico, nessuna radio d’oggi avrà mai il coraggio di trasmetterlo e ha un’ispirazione così privata quanto evidente.

giovedì 11 giugno 2015

Da Pinochet a Pinilla. La Generazione Democracia va alla Copa América

santia Pulirono tutto in un giorno, il sangue era sparso ovunque. La giunta militare portò via i prigionieri politici e addobbò l'Estadio Nacional di Santiago come se niente fosse, per giocare l'ultima partita di qualificazione ai Mondiali del '74. Alla Fifa andò bene così. Finsero di non sapere che lo stadio era diventato un campo di concentramento per i dissidenti e gli avversari di Pinochet. Non era il solo.Un centro di torture era diventato anche l'Elías Figueroa Brander a Valparaíso, la città de La Sebastiana di Neruda e il luogo in cui era nato don Augusto, al potere da soli due mesi. L'Urss, avversaria di quel Cile, non ne volle sapere di giocare. Non si presentarono. I cileni batterono la palla al centro e nell'altra metà vuota del campo fecero gol, trasformando la tragedia in farsa.


Fu il primo passo di un lungo periodo buio. I giornalisti Carlos González Lucay y Braian Quezada hanno raccontato cosa accadde al calcio nel loro libro "A Discreción. Viaje al Corazón del Fútbol Chileno bajo la dictadura militar". Scrivono che con Pinochet capo supremo della nazione per tutto il '74 e poi presidente del Cile fino al 1990 "il clima di impunità che esisteva in Cile sul piano politico economico e sociale, doveva per forza contagiare il calcio (...) Nel governo militare si impose la formula del fine che giustifica i mezzi, senza codici morali né etici, il che generò accondiscendenza da parte di alcuni dirigenti di calcio verso il regime". Arrivò lo scandalo dei passaporti falsificati per il campionato sudamericano under 20 del 1979. Arrivò il grande imbroglio del portiere Rojas, la cosiddetta vergogna del Maracanã.


Già nel '91, a democrazia appena conquistata, il Cile aveva ospitato la manifestazione. Ora riapre i suoi stadi e si mostra al mondo per la prima volta dopo la morte di Pinochet, privo del tutto della sua ombra nera. Sia l'Estadio Nacional di Santiago sia l'Elías Figueroa Brander di Valparaíso sono tra i nove stadi di questa Copa América 2015. Paese e popolo si sono rialzati, la politica ha sostenuto il processo per la candidatura alla Coppa con investimenti rilevanti: Sebastián Piñera dispose a suo tempo un budget di 61 milioni di dollari, il costo finale è salito a 163 milioni. Santiago nel frattempo è stata eletta città più vivibile del Sudamerica (The Economist) e il rapporto del Cile col calcio è tornato gioioso. Un anno fa, prima della partenza della squadra per i Mondiali, i trentatré minatori intrappolati nel 2010 a San José diffusero un video con il quale spingevano la squadra: "Per un cileno niente è impossibile". I tifosi partiti per il Brasile misero paura al Maracanã cantando l'inno senza musica, poi al Brasile mise paura anche la squadra, la Roja, fermata prima da una traversa divenuta un tatuaggio sul corpo di Pinilla , poi dai calci di rigore, con il doppio shock per Gonzalo Jara: autogol e tiro sbagliato.
In queste settimane si stimano introiti nel Paese per 143 milioni di dollari grazie all'arrivo di almeno 80mila turisti. Come già in Brasile un anno fa per Dilma Rousseff e come spesso accade nel calcio, i risultati della nazionale di casa avranno un riflesso sullo stato di salute del governo: il gradimento di Michelle Bachelet è in calo. Ma soprattutto il Cile non ha vinto mai la Coppa. Ci riprova con la prima Generazione Democracia, un gruppo di calciatori che sono stati bambini senza la cappa nera di Pinochet sulla testa.
(la foto, dall'archivio de La Nación, è tratta da una gallery pubblicata sul sito del quotidiano cileno, qui: http://www.lanacion.cl/estadio-nacional-fotos-de-cuando-fue-centro-de-detencion/noticias/2013-09-06/141754.html)
il documentario Estadio Nacional (da youtube)

martedì 9 giugno 2015

Le vittorie seriali

BERLINO . Un'impresa rimane per sempre, ma quelle di oggi durano un attimo. Un record porta nella storia, eppure a guardarlo mentre accade rischia di apparire ordinario. Quanto è successo a Berlino racconta che l'età contemporanea dello sport ha imposto il format della vittoria seriale e l'ha digerito come un'abitudine. Il Barcellona di Luis Enrique si è adeguato alla nuova tendenza. Viene infatti da chiedersi come sia possibile che passino 52 anni, dal 1956 al 2008, per vedere quattro Triplete, e solo sei stagioni fra 2009 e 2015 per contarne altrettanti. L'alta frequenza dell'impresa epocale non è un fenomeno che riguarda solo il calcio. Il Nuovo Millennio sta trasformando il nostro concetto di gloria. Il valore dell'unicità è sostituito dal principio dell'accumulo. Ogni impresa ne esige un'altra. Ogni vittoria singola pare monca. La Formula Uno dovette aspettare 36 anni per trovare un altro pilota in grado di vincere almeno quattro Mondiali come Fangio, ci riuscì Prost, era il ‘93. Ne sono invece bastati dodici, dopo il Duemila, per veder raggiunto lo stesso traguardo da due campioni, Schumacher nel 2001 (poi arrivato a sette nel 2004), Vettel nel 2013. Come non bastasse, ora incombe Hamilton. Non è diventata più facile la via del trionfo, è solo diventata più battuta. I soldi sono un buon motivo. L'eccezionalità arriva più spesso perché viene sollecitata e premiata. Nei contratti sono una norma i bonus, moltiplicatori di guadagni. Il marketing pretende l'assoluto, qualcosa che profumi di storia: per nove anni nessuno tenta il record dell'ora, negli ultimi 10 mesi lo hanno battuto in cinque.

lunedì 8 giugno 2015

De Laurentiis e il Napoli che non sa cosa vuole


Mentre la Juve giocava la finale di Coppa dei Campioni, il Napoli incontrava il suo nuovo allenatore, Maurizio Sarri, uomo preparato, colto e circondato di simpatia diffusa per le sue idee e il suo modo di porsi. Le due cose quasi non sembrerebbero avere alcuna relazione apparente, se non fosse per il fatto che negli ultimi due anni il Napoli è stato il solo club che ha portato via dei trofei (una Coppa Italia e una Supercoppa) alla squadra più forte d'Italia e vicecampione d'Europa.

Che cos'è questa mania del Triplete

Manuale catalano. Come si rimane un anno intero con la stessa voglia del primo giorno, come si conserva la stessa fame pur avendo la pancia piena. Come si ritorna a essere il Barcellona del Triplete, sei anni dopo il primo, sei anni dopo la squadra che fece una rivoluzione nel gioco e nel lessico del calcio, latinizzando quello che s'era fin lì chiamato 'Treble', all'inglese, e imponendo la sua egemonia culturale con il guardiolismo, il falso nueve e il tiki taka. È divertente, mentre Xavi solleva la Coppa, ripensare a cosa si diceva di questa squadra un anno fa. Ciclo finito. Era uscita ai quarti, aveva perso campionato e Coppa del re. E adesso, a piacere, li chiamiamo invincibili, cannibali, insaziabili.

sabato 6 giugno 2015

Berlino, la capitale senza Champions

Lo stadio An der Alten Försterei
L'ULTIMA partita prima che cadesse il muro finì alle otto meno un quarto di sera dell'8 novembre ‘89. La Dynamo fece 0-0 con lo Stahl Eisenhüttenstadt e dentro quel risultato c'era la mediocrità che sarebbe arrivata. Berlino ha vinto 16 campionati a est e 5 a ovest, più niente da allora. La Champions torna grazie alla finale. Manca da 15 anni. È una grande anomalia, l'unico settore della vita pubblica in cui Berlino è assente. La prossima sarà la Coppa delle capitali: Madrid e Londra avranno due squadre, come Roma Lisbona Istanbul e Atene; saranno presenti Parigi Mosca e Bucarest. Eppure Berlino no, non può permettersela. 

venerdì 5 giugno 2015

La Livorno di Max Allegri

E ADESSO che arriva la bella stagione, a Livorno o si va agli scogli o si va ai Bagni Fiume. Non solo per il mare. C'è un campo in cemento che è un pezzo di storia, le sbarre intorno, una gabbia da cui il pallone non esce mai. Le porte sono proprio due porte. Con le maniglie. Si aprono, si chiudono, si para coi piedi. Cinquant'anni fa, d'estate Armando Picchi chiudeva qui dentro i compagni della Grande Inter. Bedin, Burgnich, Suarez. Sfidavano i giovanotti della dolce vita locale e spesso le prendevano, 4 contro 4, oggi come allora le partite le chiamano gabbionate . Intorno a questa reliquia, si vantano d'aver inventato il calcetto prima del calcetto. «Era come al Palio di Siena, per trovare un posto si arrivava tre ore prima», racconta Armando Neri, uno dei titolari. Qui s'affolla la Livorno vera, proletaria e ruspante. Gli Allegri hanno ombrellone e cabina, dentro la gabbia Max entra con gli amici di sempre. Una volta guardavano insieme le finali di Coppa in tv, vederlo a Berlino gli pare un premio.

mercoledì 3 giugno 2015

L'arte di sbagliare i rigori


CI SIAMO tanto innamorati della solitudine del portiere da ignorarne un'altra più tremenda. Quella del rigorista. Uno che ha la porta spalancata sotto gli occhi, undici metri di campo davanti e tutto da perdere. Dovrà far gol per sentirsi dire che nel suo gesto non c'era niente di speciale. La scienza s'è messa al suo servizio. Gli studi sul rigore perfetto non si contano più. Si va dal consiglio di calciare centrale perché i portieri si lanciano di lato nel 93% dei casi (come sostiene l'economista Steven Levitt) a una rincorsa di massimo cinque-sei passi (John Moores, Università di Liverpool); dalla velocità ideale del tiro di cento chilometri all'ora (Università Ben Gurion di Eilat, Israele) al suggerimento di avere una traiettoria prestabilita in testa sin dal principio (Ignacio Palacios-Huerta, altro economista). Perfino Stephen Hawking s'è dedicato alla materia e c'è pure una sorta di antistudio dello psicologo Gerd Gigerenzer, il quale in sostanza dice fate un po' come vi pare, affidatevi all'istinto, più si pensa e più si sbaglia.