sabato 6 giugno 2015

Berlino, la capitale senza Champions

Lo stadio An der Alten Försterei
L'ULTIMA partita prima che cadesse il muro finì alle otto meno un quarto di sera dell'8 novembre ‘89. La Dynamo fece 0-0 con lo Stahl Eisenhüttenstadt e dentro quel risultato c'era la mediocrità che sarebbe arrivata. Berlino ha vinto 16 campionati a est e 5 a ovest, più niente da allora. La Champions torna grazie alla finale. Manca da 15 anni. È una grande anomalia, l'unico settore della vita pubblica in cui Berlino è assente. La prossima sarà la Coppa delle capitali: Madrid e Londra avranno due squadre, come Roma Lisbona Istanbul e Atene; saranno presenti Parigi Mosca e Bucarest. Eppure Berlino no, non può permettersela. 

L'Hertha non vince il titolo dal ‘31 e per il terzo anno di fila ha dovuto pensare a salvarsi. La Dynamo dall'altra parte del muro dominava. Il vento della Stasi soffiava nelle sue vele, Erich Mielke la controllava di persona. Trabant e case in collina erano i bonus distruibiti in segreto a chi faceva grande la squadra del ministero per la Sicurezza della Ddr. Lo stato decideva pure il calciomercato. quinta nella classifica dei centri con più milionari in Germania. Dirk Zingler, presidente dell'Union, serie B tedesca, spiega: «È stata una città divisa a lungo, è diventata prima un simbolo politico e poi un centro economico. Anche Parigi ha impiegato tanto per vincere e ora ci riesce grazie a investitori stranieri. In Germania non sarebbe possibile». L'Union è un mondo a sé. Rappresenta la working class di Berlino, media di 20mila spettatori, ancora provenienti dai settori orientali della città. È già speciale il nome dello stadio: An der Alten Försterei. Significa: Alla vecchia casa del guardaboschi. Quartiere Köpenick. A Natale i tifosi si vedono lì e fanno il cenone insieme. Per gli ultimi Mondiali, maxischermo sul prato e si portarono i divani da casa. «Possiamo sembrare usciti da un film di Ken Loach o da un romanzo di Hornby», dice Zingler, «ma a me non sembriamo speciali. Siamo noi stessi, facciamo il calcio che ci piace. Piccolo ma felice. Niente show, cheerleaders, niente pubblicità durante le partite. Un calcio birra e salsicce. Cerchiamo di conservare la semplicità, e forse basta per essere speciali». Anche senza Champions.

(la Repubblica, 5 giugno 2015)

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