Battemmo Colombia ed Emirati Arabi nel girone, poi la Spagna negli ottavi, e ci trovammo di fronte i campioni del mondo dell'Argentina nei quarti. Firenze fu la sola città italiana, a parte Napoli, a non fischiare l'inno argentino. Ma quando l'arbitro ci lasciò in dieci per l'espulsione di Sabanadzovic, la folla cominciò a gridare: Camerun, Camerun. Per ricordare agli argentini la loro sconfitta all'esordio. Resistemmo un'ora e mezza. Calci di rigore. Osim mi disse: "Adesso tocca a te". Agli argentini era stato annullato un gol di Burruchaga al 118', l'aveva presa di petto, ma era tanta la paura di un'altra mano de dios che l'arbitro cancellò quel gol. Sbagliò per primo Stojkovic, era andato sul dischetto palleggiando, fingendo una strafottenza che non gli apparteneva. Sul 2-1 per noi, l'Argentina andava al terzo tiro. Con Maradona.
Era la seconda volta in nove mesi che me lo trovavo di fronte. Al primo turno di Coppa Uefa, stadio San Paolo, con il mio Sporting Lisbona c'eravamo giocati la qualificazione sempre ai rigori. Era venuto davanti a me col pallone tra le mani, e allora io lo avevo provocato. Gli dissi, Scommetti che te lo paro? Cento dollari, ci stai? Lui era concentrato, mormorò un sì, va bene e piazzò la palla.
Me lo ritrovai di fronte a Firenze, Argentina-Jugoslavia. Da lontano gli feci segno che avrei voluto scommettere ancora, disse di no stavolta, presi quel no come un complimento che mi faceva. Parai di nuovo, lui tornò verso il centro del campo disperandosi. Aveva cambiato l'angolo del tiro, sicuramente ricordandosi del precedente del San Paolo. Proprio al San Paolo si sarebbe giocato il turno successivo: la semifinale. Volevo tornarci. Volevo sfidare l'Italia. Maradona tirò malissimo, respinsi, eppure vinse ancora lui. L'Argentina viaggiò verso Napoli, noi tornammo a casa. Ci aspettava la guerra. La fine della Jugoslavia.
(Come per l’intera serie, le parole liberamente attribuite a Tomislav Ivkovic sono state ricostruite attraverso libri, interviste e altre fonti storiche, e sono tutte ispirate a fatti realmente accaduti)
Alla partita del 30 giugno 1990, prologo della dissoluzione della Jugoslavia, lo scrittore Gigi Riva ha dedicato il libro "L'ultimo rigore di Faruk", Sellerio, 2016)
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