giovedì 7 novembre 2013

"A Napoli un personaggio normale non può esistere"

«UN UOMO del resto si riconosce da ciò che gli fa orrore». E Napoli oggi, nel 2013, di che cosa ha paura, deve avere paura? "Dove le strade non hanno nome" è il primo romanzo di Angelo Carotenuto, edito da "Ad Est dell'Equatore" e da oggi in libreria. Carotenuto, giornalista di "Repubblica", napoletano, oggi vive a Roma, da dove osserva la sua città con il distacco di un innamorato ingannato, che non riesce proprio a rassegnarsi al tradimento. "Dove le strade non hanno nome" racconta una settimana del 1993, quella che si conclude con il concerto degli U2 al San Paolo. In questa settimana (con una costruzione narrativa che procede a ritroso) i personaggi di una Napoli grottesca e terribilmente vera si incrociano e incontrano, tutti a proprio modo sognando un "rinascimento napoletano".


A vent'anni dal 1993, oggi Napoli di che cosa deve avere paura?
«Adesso che vedo la mia città da lontano e spesso la vivo attraverso i social network, vedo una città molto più cattiva, a tratti feroce. Credo che oggi la vera paura di Napoli sia la consapevolezza di non poter più riuscire a cambiare».
"Dove le strade non hanno nome" racconta una settimana del 1993. Perché questa data?
«Nel 1993 sembrava che Napoli avesse toccato il fondo, dopo gli anni del pentapartito e le giunte travolte da tangentopoli, l'acqua contaminata e il latte infetto. Volevo raccontare il momento in cui una città in ginocchio, che davanti a sé vede solo buio, comincia a credere nel riscatto, grazie a qualcosa di imprevedibile e imprevisto. Nel 1993 con la elezione di Bassolino a sindaco si mette in moto un circuito virtuoso, che fa diventare Napoli un brand conosciuto in tutto il mondo. Forse è avventata la definizione di rinascimento napoletano, se pensiamo a che cosa è Napoli oggi. Ma io ricordo che cosa accadde tra il '94 e il '98, in quegli anni era bello sentirsi napoletani, era bello vivere a Napoli e parlare di Napoli. Oggi tutto questo si è perso».
Perché? A vent'anni da quel 1993, che cosa è successo?
«Quella spinta propulsiva, di compromesso in compromesso, si è tradita. Il tradimento del futuro. Il rinascimento di Napoli è stata un'esperienza brevissima».
Come sono stati scelti i personaggi: Carmelino che ha 14 anni e una passione smodata per i vulcani, Orlandini l'onorevole che non è mai stato in Parlamento, Gerri Ghibli con la sua singolare ditta di messaggi e tutti gli altri?
«Volevo che questi personaggi fossero grotteschi. Molte volte per parlare di Napoli ci si accontenta del criterio della verosimiglianza. Mi ha colpito la storia del video di Caivano Cardito (quello del parcheggio folle). A nessuno è venuto il dubbio che potesse essere falso: era una storia così napoletana nei suoi segni che tutti l'hanno presa per vera. Questo teorema della verosimiglianza toglie a Napoli ogni possibilità di esprimersi. Mi sono perciò divertito a trovare dei personaggi per ironizzare su questo modo di vedere Napoli: a Napoli un personaggio normale non ci può essere».
Non è mai stata usata la parola camorra in questo libro, ma la camorra c'è eccome.
«Dopo "Gomorra" nessuno è più in grado di parlare veramente di camorra. Ma non puoi neanche scrivere di Napoli senza parlare di camorra. A me premeva raccontare come la camorra sa essere affascinante anche quando non si presenta come tale. Gerri è il volto subdolo della camorra, quella che si ammanta di belle parole e che parla di filosofia, è la zona grigia che a Napoli è molto estesa. Gerri è un grande fetente, ma seducente, come tanti altri con le mani lorde e il vestito bello».
C'è tanta politica in questo libro, cronaca e piccoli aneddoti come quello dell'asse attrezzato lungo 33 chilometri e tutto curve, perché così le ditte hanno "mangiato" di più, ma c'è anche una forte dose di speranza.
«Questo libro racconta la favola di Napoli che è morta prestissimo. Ma è anche un libro pieno di speranza».
Ultima domanda: perché questo titolo?
«Il motivo immediato è la canzone degli U2. Il secondo, perché gran parte delle scene sono ambientate in "quel posto lì" dove le strade non hanno nome, il torneo dei clan, il ricevimento del matrimonio di Andreina. E "quel posto lì" esisteva veramente a Napoli, in quel periodo l'ufficio toponomastica non aveva dato un nome a molte strade. Ma soprattutto questo titolo è la metafora della disperazione: un posto che non ha neppure un nome e tutti i personaggi finiscono lì, il ragazzino corrotto dalla malavita, il politico che si suicida. Per Bono, il leader degli U2, le strade senza nome avevano un significato positivo, erano il simbolo di una cittadinanza fatta di uguaglianza. A Napoli le strade senza nome sono il simbolo di un sogno tradito» 

(di Cristina Zagaria, Repubblica Napoli, 6 novembre 2013)

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