L’ultima partita giocata ai Mondiali dalla Nazionale finì con un morso di Luis Suárez a Chiellini. Eravamo nel punto più orientale del Sudamerica, a Natal, più o meno dove arrivò Vespucci a inizio Cinquecento, la terra dei Pitaguary, i leggendari mangiatori di gamberi. L’Italia si stava infilando in un cono nero che durerà almeno fino al 2026, dodici anni senza vedere la Coppa, senza questo rito collettivo che scandisce la vita di un paese in ogni aspetto, la cultura, l’economia, il cibo. Inconsapevole allo stesso modo, l’Uruguay stava invece per perdere la voce che ha raccontato questo incantesimo meglio di chiunque altro al mondo, un tipo che nei giorni dei Mondiali appendeva un cartello sulla porta di casa, cerrado por fútbol, chiuso per calcio.
Eduardo Galeano sarebbe morto nell’aprile del 2015, dieci mesi dopo il gol di Godin a Buffon. Messi gli aveva fatto arrivare poco tempo prima una sua maglia. Aveva letto un giudizio espresso sul suo conto, se ne era innamorato. Galeano sosteneva che Maradona tenesse sempre la palla attaccata al piede, ma Leo di più, Leo non se la staccava mai dall’interno, un fenomeno oltre la fisica, impossibile per la scienza, eppure vero. Perché l’aveva detto Galeano. È lo scrittore più citato da chi non vuole vergognarsi di confessare la propria sbandata per il calcio, un bel paradosso per un intellettuale insofferente verso la santa madre chiesa della letteratura, dove da sinistra - con Jorge Luis Borges per primo - si snobbavano e si snobbano i moti del pallone, per via di quella storia dell’oppio dei popoli. Gianni Mura ha detto: “A cosa serve, in definitiva, leggere Eduardo Galeano? A non smettere di sognare, di lottare e di stare, per quanto è dato, dalle parti del cuore”.
Arriva a fine mese in Italia una sua raccolta di pensieri e riflessioni su questa malattia infantile che non ci lascia nemmeno da adulti, si intitola proprio Chiuso per calcio, Cerrado por fútbol in originale, tradotto per Sur da Fabrizio Gabrielli, a sua volta autore di un recente libro su Messi [edizioni 66thand2nd]. Ospita il Galeano più puro, fatto di schegge e di frammenti, di sentenze affilate, memorabili quanto quelle più celebri in cui si definisce cacciatore di sogni e mendicante di bellezza, dentro “uno sport specchio del mondo”, eppure consapevole del suo “triste viaggio dal piacere al dovere”, dove l’utile avrebbe preso il posto dell’allegria, sostituendo “quella follia che rende l’uomo bambino per un attimo”.