giovedì 27 ottobre 2022

Gli anni di piombo raccontati da chi non c'era

Matteo Leonardi e Camilla Giuliani non hanno fatto le vacanze. Hanno rinunciato al mare e sono stati in giro per la città a girare. Lui ha diciotto anni, lei sedici, nessuno dei due immaginava che Roma potesse essere stata un tale teatro di morte. Questa è la storia di ragazze e ragazzi che usano i pollici sui loro telefoni e che hanno iniziato a fasi domande sui coetanei, quelli che cinquant’anni fa usarono invece gli indici, premendo i grilletti delle pistole. Sono usciti dalla memoria dei loro computer e sono andati a cercarla tra le strade, tra le lapidi, tra le parole scolpite sulle pietre e i marmi di Roma, nel dolore dei familiari delle vittime, nei ricordi dei testimoni. Questa è la storia di adolescenti che a scuola non trovano risposte sugli anni di piombo, “non ci arriviamo col programma” - dicono così - e il viaggio l’hanno fatto allora con una macchina da presa.

Studiano per fare del cinema il loro futuro all’istituto Roberto Rossellini, liceo artistico con indirizzo audiovisivo. Intanto hanno portato al Maxxi e alla Festa del Cinema un prezioso lavoro, “Divergenze parallele”, titolo che parafrasa e sovverte la formula politica delle convergenze usata da Aldo Moro - con la regia di uno dei loro docenti, Massimo Franchi. Quindici anni della vita di Roma raccontati da chi passa davanti alla stele di Giorgiana Masi senza conoscere la sua storia, la sua e quella di una generazione che ha subito “un furto di tempo, dell’allegria e della speranza”, come dice Walter Veltroni, l’ex sindaco, uno degli intervistati dai tre protagonisti del film, ai quali racconta “la violenza diffusa, la sensazione che potesse sempre succedere qualcosa”, gli anni barbari, la diffusione della droga, una partita di pallone giocata ai giardinetti con uno dei futuri responsabili del rapimento di Moro e dell’omicidio della scorta. Quando la città era bianca e nera, dice la voce narrante di Tiziano Favaretto: bianca per i lacrimogeni, nere per le auto in fiamme.

È la città di Roma che a cavallo del 76 assiste al passaggio dalla stagione delle spranghe all’apocalisse delle pistole, i corpi ritorti, i cerchi di gesso intorno a bossoli sull’asfalto, ogni Capodanno atteso con la speranza che portasse un mondo nuovo. Invece aggiungeva altra morte. Alice Barbato, una delle attrici e delle intervistatrici, si domanda: “A che cosa ci ha portato tutto questo?”. A una democrazia più solida, si risponde, mentre fuori dalla sala racconterà a Repubblica che è stata “un’esperienza incredibile, mi sono accostata a una generazione con la quale spesso capitava di pensare di avere poco in comune. Invece ho sentito una vicinanza”. Loro sono quelli di Change, la generazione di Greta. Conoscono percorsi diversi dalla piazza per farsi sentire. Con lei, Anna Nunzi si dice colpita da “un senso di comunità che nella società esisteva e che mi pare adesso manchi. La mia generazione non si sottrae, fa sentire la propria voce, ma forse ciascuno di noi lo fa nel suo piccolo e nel privato”. Nico Giorno, il terzo volto di questo viaggio, racconta che “a qualcuno l’ideologia ha dato alla testa” e a margine della proiezione aggiunge di avvertire “una nuova consapevolezza”.

“Doveva essere un corto, è diventato un docufilm” spiega Massimo Franchi, la sceneggiatura è di Giordana Giammartino. Chiara Ferro, in arte Nori, un ex alunna, ha scritto la colonna sonora, andando a vedere i murales e i luoghi di Valerio Verbano, una delle vittime. I loro nomi scorrono sui titoli di coda, un attimo dopo che il fotografo Tano D’Amico ha raccontato come andò con una delle sue foto più famose, il poliziotto in borghese che ha appena sparato al corteo fatale per Giorgiana Masi. “Era un’immagine banale, diventò rilevante il giorno dopo, quando in Parlamento negavano che ci fossero agenti infiltrati. Era la prova che il potere mentiva. Si disse che il ministro si sarebbe dimesso. Quello che è stato dimesso da tutto, sono stato io”.

[uscito su Repubblica Roma il 20 ottobre 2022]

Nessun commento: