lunedì 24 ottobre 2022

Come Roma racconta al cinema i suoi ultimi


Quando nel luglio del ‘58 Alberto Moravia pubblica sul Corriere della sera un racconto che si chiama L'incantesimo, Pier Paolo Pasolini ha esordito con Ragazzi di Vita da tre anni. Lo hanno mandato a processo per oscenità e s’è salvato con la testimonianza di Carlo Bo, perché il romanzo - ha detto in tribunale - “spinge alla pietà verso i poveri e i diseredati". Moravia attaccherà la sua storia scrivendo: "Gli zingari che stanno nelle baracche del Mandrione, vicino a Porta Furba, sono diversi da noialtri romani". Diciassette parole. La rappresentazione di un muro. La linea che separa la città ufficiale dagli ultimi, i giusti dagli espulsi. Siamo alla vigilia di Accattone, il film che apre la stagione delle indagini del cinema nelle esistenze degli irrilevanti, tra Pietralata e il Quarticciolo, dove certe volte si può avere nostalgia solo della morte. Il neorealismo aveva scoperto i proletari, Pasolini mostrerà che c’è un altro strato, un pezzo di mondo che sta di sotto.

Non solo metaforicamente, in questo sotto vivono due nuovi ultimi del cinema italiano, si chiamano Romeo e Callisto, e sono destinati a rimanere indimenticabili con la loro disperazione in Bassifondi, film d’esordio di Trash Secco, con la sceneggiatura poetica di Fabio e Damiano D’Innocenzo, prodotto da 11 Marzo Film con Rai Cinema. Abitano gli argini del Tevere e la città di sopra li ha dimenticati. Hanno le forme opposte di Gabriele Silli e Romano Talevi, alto e magro il primo, riservato, taciturno; basso e irregolare l’altro, sboccato, repellente, l’ultima coppia shakespeariana partorita dalla periferia romana, una catena cominciata con Scintillone e Ruggeretto di Bolognini ne La Notte Brava, ma qui senza nessun compiacimento estetico.

Sono lo scarto degli scarti, emarginati nella stessa comunità dei senzatetto, fanno i bisogni in strada come i cani randagi, mangiano come i gabbiani del degrado, si trovano pancia a terra come il topo che scende le scale e annusa i cartoni, attraversa la monnezza, si strofina contro i piedi di chi dorme sotto i ponti. Salgono nella città di sopra per attaccare il naso e le labbra alla vetrina del Caffè della Scala, guardano come i borghesi mangiano i cornetti e si tolgono le briciole dalla barba. Questa secca dell’esistenza è una fantasia partorita da Trash Secco quindici anni fa, prima che Claudio Caligari mettesse in scena tra Ostia e Fiumicino le dipendenze di Cesare (Luca Marinelli) e Vittorio (Alessandro Borghi) in Non essere cattivo. La dipendenza di cui parla Bassifondi è quella dal calore delle persone. “Una storia di fratellanza e d’amore platonico con un compagno d’avventure” dice il regista. Durante le riprese, suo padre gli ha regalato il dvd del film di Kurosawa che porta lo stesso titolo, “e sul set ce lo ripetevamo spesso, facciamolo alla Kurosawa, nel senso che spesso il teleobiettivo stava lontano dagli attori, quasi a spiarli”.

È dalla metà degli Anni Settanta che il mondo degli ultimi lo diciamo dei brutti, sporchi e cattivi, facendo del titolo di Ettore Scola un‘etichetta. Lo puoi raccontare pure se vieni da Prati. Solo che la sincerità si vede. I gemelli D’Innocenzo sono partiti col loro cinema da un set a Ponte di Nona. Quattro anni fa La terra dell’abbastanza era stata un’immersione in un posto senza una scuola, senza una fermata del treno, senza un parco - un posto dove Mirko e Manolo erano due isole affettive condannate al sacrificio. Cinque Nastri d’argento dopo, con il premio di Berlino alla sceneggiatura di Favolacce, Damiano racconta che prima di scrivere Bassifondi ha voluto rileggere Fame di Knut Hamsun, “per ritrovare quella disperazione che - senza essere falsi - abbiamo perso. Trash Secco conosce la grazia degli ultimi e la malinconia dei primi. È un magnifico illustratore. Frequenta il basso senza paura e lo racconta da lì”.

Fabio dice di non aver avuto “libri sul comodino davanti a me, ma la finestra, la gente fuori, e in casa ho pure qualche specchio. Non ho fatto fatica, casomai ho provato vergogna nell’essere tra quelli che ogni tanto pensano di non appartenervi”. L’imperatore di Roma di Nico D’Alessandria è il film di cui Bassifondi si sente più parente. C’è stato un tempo in cui la periferia romana era oltre le mura, poi è stata inghiottita dentro la città che avanza, ora è trasversale. Quando la morte schiaccia Accattone, gli sentiamo dire “Ah! Mo’ sto bbene”, come Callisto accanto a Romeo mormora di non avere niente, eppure ha tutto.

[uscito su Repubblica Roma il 17 ottobre 2022]

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