venerdì 24 giugno 2016

L'ultima corsa di Ibra santo e canaglia

NIZZA
LO SPACCONE, lo sbruffone, l'Ibrahimovic gradasso è rimasto fuori. Quest'uomo di 35 anni che abbassa gli occhi riesce perfino a fare tenerezza. «Non voglio giocare alle Olimpiadi. La mia ultima partita con la Svezia sarà l'ultima della Svezia agli Europei. E non voglio che sia già arrivata». Lo dice fissando il vuoto, o forse la moquette nera nella pancia dello stadio di Nizza, una città dove in genere non si viene per lasciarsi. La domanda che ha scatenato la confessione gli è giunta in olandese: la lingua del paese in cui è cominciato il suo cammino internazionale. Senza accorgersene Ibra ha chiuso un cerchio rispondendo in inglese, la lingua della sua prossima sfida, quando si sarà sfilato questa maglia gialla. «Non mi piace restare deluso, non mi è mai piaciuto. Porterò per sempre la bandiera della Svezia dentro di me con orgoglio e gratitudine, nella mia ultima partita vorrei che non ci fosse rimpianto».
Allora mettici finalmente del tuo, Ibra, stasera contro il Belgio. Non possono bastare i tre tiri scarsi visti con l'Irlanda e l'Italia, nemmeno un passaggio da ricordare, nemmeno una traccia del giocatore che contende a Ronaldo la possibilità di diventare il primo della storia a far gol in quattro Europei di fila.
La Svezia è Zlatan, l'ultimo santo canaglia del pallone, e Zlatan lo sa. «Bisognerà che mi sbrighi a tirare di più». Gli scappa un mezzo ghigno, quello che nei film hanno i cattivi. Quindici anni di Nazionale, dal gennaio del 2001 a oggi, sono stati riempiti da 64 gol. Quindici sono serviti a vincere, nove sono bastati per non perdere. Fa il 37 percento di gol decisivi, meglio che nei suoi anni spesi a Parigi (35%) meglio che in quelli passati al Milan (30%). L'Ibra svedese ha sempre avuto un peso, anche se adesso se ne va senza aver mai segnato in un Mondiale, anche se la Nazionale e tutti i suoi compagni di Champions non l'hanno mai portato fra i primi tre del Pallone d'oro e solo una volta fra i primi cinque.
Ha preso tutti in giro per mesi. «Scrivete, topolini, scrivete. Mi diverto a leggervi. Tanto decido io cosa dire e quando». Eccolo qui, da Malmoe a Nizza, gli capita sempre qualcosa davanti al mare. Il ct Hamren racconta che sapeva, «non è una decisione presa oggi e non inciderà sulla nostra partita, me ne aveva parlato a febbraio o marzo. Ho cercato in questo periodo di fargli cambiare idea. Ho capito di non esserci riuscito. Non avremo presto un altro Ibra ma i giovani che possono dare un futuro alla Svezia non mancano». Molti sono proprio un frutto suo, sono i figli degli immigrati che per essere come Zlatan si sono avvicinati al calcio. L'Under 21 ne è piena. Così ha vinto l'Europeo. Loro sì che andranno a Rio. È l'eredità che Ibrahimovic lascia alla sua Nazionale, non è un dono da poco. «Vorrà chiudere in bellezza » dice Wilmots, il ct del Belgio che stasera se lo trova di fronte. Non passa per un grande stratega e ha le idee confuse pure stavolta. Se chiude non c'è bellezza, se c'è bellezza Ibra non chiude. La Svezia balla ancora tra l'ipotesi di un secondo posto in caso di vittoria e l'eliminazione. Ibra ha l'ultima cartuccia per restare dentro il calcio gioioso delle Nazionali, oppure uscire e dedicarsi a domani, a Manchester come si dice, e dunque a un calcio di livore, di risse verbali, di schiuma, di battaglia, al fianco di Mourinho e contro l'antico nemico Guardiola, nella sua stessa città, dove dovrà cercare di evitare tutti i posti che frequenta e che conosce anche lui, come se di una canzone di Battisti si trattasse. Vediamo allora se la storia finisce o se può avere un'appendice, vediamo se fra i piedi di questo prestigiatore di scudetti è rimasto ancora un coniglio da tirare fuori, o se stasera verrà via dal campo con un cilindro vuoto in mano.

(su Repubblica, il 22 giugno 2016)

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