giovedì 30 giugno 2016

La Germania e la promozione del talento

Draxler e Goetze

QUELLI con la maglia bianca. Forse ci siamo visti già. Dov'era: Messico, Madrid, Dortmund, Varsavia? Rivera aggrappato al palo, Pablito che spunta dalla polvere, Pirlo che di tacco trova Grosso. La pipa di Pertini e i muscoli di Balotelli. Si sa come sono fatti. Li conosciamo. Ci conoscono. Noi estrosi, loro assennati. Noi l'ingegno, loro la saggezza. Noi la follia, loro l'equilibrio. Li abbiamo spesso battuti con la creatività, sabato andiamo a Bordeaux per capire se Conte saprà farlo con una mano diversa di carte. Quelli con la maglia bianca ora sembrano i latini, più latini di quest'Italia che gioca su organizzazione, corsa, efficienza.

Questa nuova Germania ha invece abbracciato la strada che una volta piaceva al nostro calcio. La veronica di Draxler fra due slovacchi e i suoi dribbling feroci sono le ultime manifestazioni di un mutamento. La fantasia è la cifra della Goldene Generation, una banda di ali e mezzepunte che fa dire al vecchio interista Hansi Mueller di «non aver mai visto una cosa del genere nella nostra storia». Quando il portoghese Sergio Conceicao segnò tre gol agli Europei del 2000, aprì una crisi nera. I tedeschi uscirono dal girone con un solo gol fatto e con la certezza che c'era una tendenza da invertire per la sola nazionale capace di perdere dall'Inghilterra negli ultimi 34 anni. Il modello attuale di giocatore ha le sue radici in quella disfatta. I Reus, i Goetze, gli Özil, i Draxler sono nati così perché così li ha voluti la Germania. Per rompere una stagnazione, negli anni in cui pure l'economia del paese era immobile. Gli U. 23 in campionato erano all'epoca il 6%. In nazionale era ancora titolare Matthaeus, a 39 anni.
La federazione varò una riforma. Le squadre professionistiche dovettero darsi una Academy e strutture nuove, il regolamento prevede pure il numero di luci artificiali da montare. Nacquero 121 centri regionali per ragazzi dai 10 anni in su. Lo scopo era che tutti ne avessero uno nel raggio di 25 km da casa. I tedeschi si misero a studiare i centri di formazione di Francia e Olanda: 600mila ragazzi ogni anno sono sotto gli occhi di 1300 tecnici. È un movimento che investe 96 milioni l'anno nei vivai, il prezzo dell'ultimo mercato del Milan. La vera rivoluzione c'è stata nei metodi, con il "Programma di promozione del talento". Joerg Daniel che lo avviò, disse: «Se qualche ragazzo di talento dovesse nascere in un villaggio sperduto fra le montagne, noi lo troveremo ». Volevano dei Conti e dei Del Piero. Meno corsa, più pallone. Fra i 10 e i 13 anni, nel reclutamento il fisico non conta. Viene incoraggiata la libertà. I trequartisti di Loew che si scambiano le posizioni sono gli ex bambini a cui insegnavano a essere spensierati in campo. I vivai sono pieni di Footbonaut, una macchina che spara palloni dagli angoli, bisogna indirizzarli dopo uno stop in uno dei 64 quadranti che si illumina. Si toccano più palloni lì in 10 minuti che in una settimana nei vivai italiani. Riflessi e tecnica. Il paese in cui Littbarski era un'anomalia e dove Olaf Thon, trequartista da 1 metro e 70, venne convertito in difensore centrale, ha costruito genietti che hanno portato cinque titoli giovanili e un Mondiale. Andiamo a Bordeaux, allora. Noi gli operai stavolta, loro gli estrosi. Che mondo sarebbe senza Italia-Germania.

(su Repubblica il 28 giugno 2016)

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