venerdì 19 febbraio 2016

I tasti leggeri di Ezio Bosso



BORDIGHERA. L’UOMO che ha stupito il festival è un italiano che gira il mondo in carrozzina e domani dirigerà la Lithuanian Orchestra a Vilnius. Non aveva mai inciso un disco. È arrivato all’Ariston e i telespettatori sono passati da 11 a 13 milioni. Si è svegliato in testa alla classifica di iTunes col suo esordio ( The 12th room), ha acceso il pc e ha trovato 145 mila persone in più iscritte alla sua pagina Facebook. Ezio Bosso dal 2011 fa i conti con una malattia neurodegenerativa che agisce sui neuroni. Mercoledì era all’Ariston, suonava e sorrideva, mentre la violinista dell’orchestra in un angolo piangeva. Seduto ai bordi di una piscina a Bordighera, maglia scura e foulard coloratissimo, la mattina dopo racconta una rivoluzione. Fuma un paio di sigarette. È un uomo sereno. "Forse esiste un bisogno di ascoltare cose meno urlate e più sincere. Forse esiste una necessità di sentirsi meno Superman. Ai miei concerti vengono ragazzi giovani e anziani. Non è vero che la gente non va a sentire Bach e Chopin. C’è qualcuno a cui fa comodo raccontarlo, per paura che i giovani si accostino a certi autori. La musica è un’azione condivisa. Uno come me deve togliere la paura che ne esista di noiosa".
Quanto è speciale il piano che lei suona?
"I tasti del mio amico Steinway pesano quasi la metà rispetto agli altri: 29 grammi contro 56. Altrimenti non ce la farei a suonarli, mi stanco, si gelano le dita. A guardarmi ora sono persino fichissimo. Ho pure un preparatore, Pietro Azzola. Ma fino a poco fa era una discussione continua per avere un piano così".
Perché s’è dovuto trasferire a Londra?
"Perché lì hanno avuto sin dall'inizio meno paura della mia musica. Io sono cresciuto con un fratello più grande di dodici anni e una sorella di sei. Avevamo una chitarrina jazz, un flautino, uno xilofono. I miei erano operai, non giravano soldi veri, presi lezioni da una prozia vecchissima, da bimbo pensavo fosse nata nel ‘600. Quando mi sono diplomato, ho scelto uno strumento che potesse darmi da vivere: il contrabbasso. C’erano più posti liberi nelle orchestre".
Se la ricorda la sua prima composizione?
"Avrò avuto 11 anni, l’età in cui Mozart era già a 300. Era bruttissima, scritta con una penna rossa. Sarà chiusa in qualche cassetto o in qualche cassonetto. A questo punto sospetto che verrà fuori postuma, ne sono certo".
Da dove viene la forza della sua ironia? Su Twitter ha risposto al blog satirico Spinoza che prendeva in giro la sua capigliatura “da coglione”.
"Non mi sono offeso. Spinoza mi piace un casino. Potrei mai prendermi sul serio? Io sono già così, come mi vedete. Se facessi il tronfio, sai che noia. Solo la musica merita tutto l’impegno".
Crede di essere piaciuto perché la sua storia è esemplare?
"Gli esempi veri non si vedono quasi mai. Ho messo in pubblico le mie mani e la mia faccia, Così come ascolto le storie degli altri, ogni tanto provo a raccontare un pezzetto della mia. Sono un essere umano, uno solo, se vi girate a guardare ne trovate tanti".
Lei è credente?
"Sono diversamente credente. Sono così ateo da non sopportare gli altri atei. Qualsiasi cosa riguardi la religione, nasce come un aiuto a vivere. Non è bellissimo? Che noia raccontarsi che tutto finisce. Il mistero è parte della fede cristiana ma può essere usato con ambivalenza. Credere è un equilibrio delicato".
In che cosa trova ristoro?
"Nell'ascolto degli altri, negli sguardi, nella capacità di farsi compagnia. Amo le preghiere. Il Padre nostro è magnifico. Credo nella poesia. In Emily Dickinson, oppure nella semplicità di Prévert. La musica mi ha dato una bella vita, mi ha fatto viaggiare, conoscere la filosofia, la pneumologia, la meteorologia. Mi ha fatto incontrare l’amore".
E cosa le ha tolto?
"Da ragazzo mi impediva di andare a giocare a rugby, sport che amo più del calcio. Col calcio si litiga, col rugby si va a bere una birra. A scuola ero un caprone. La musica mi ha insegnato a incuriosirmi. Un amore non può toglierti qualcosa. Mi fanno ridere quelli che raccontano di essersi sacrificati per amore. Peggio per loro".
Cosa pensa che possa ancora cambiare nella sua vita?
"È strano. Sembra che prima di Sanremo io non avessi mai suonato in vita mia. La differenza è che adesso ve ne siete accorti. Ero su Facebook sin dalla sua apertura. Mi convinse un’amica dicendo che serviva a scambiarsi foto. Io sono gentile e rispondo a tutti. Ora con duemila messaggi al giorno come faccio? Me lo farò spiegare da Morandi. Solo che io devo pure studiare. Sono un po’ spaventato, poi mi dico che le cose succedono quando devono succedere ".
Vale anche per quello che le è capitato cinque anni fa? Doveva succedere?
"Per forza devo crederlo. Mi guardi. Ho forse un’alternativa? Restare fermi non serve. Certe volte muovendo un passo, si scopre una luce più bella".
Che cosa le manca oggi?
"Quei bei viaggi lunghi che facevo una volta. In Vietnam, in Argentina, nella Terra del Fuoco, alla fine del mondo".
Bosso, c’è qualcosa che le fa paura?
"Le paure servono. Non è utile scacciarle. Ho paura che la paura un giorno mi paralizzi. Questo sì. Ma non vale solo per me. Mi spaventa che possa accadere a chiunque".

(la Repubblica, 18 febbraio 2016)

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