lunedì 1 febbraio 2016

Il progetto per cambiare la Champions


I signori che cambieranno il calcio si mettono al lavoro fra sette giorni. La Champions e i suoi milioni sono l’epicentro della trasformazione, il resto verrà a cascata: dopo i Mondiali a Natale, potremmo avere la serie A di mercoledì e le Coppe spostate al week-end. Il fantasma che si aggira per l’Europa si chiama Superlega, il campionato riservato alle élite del pallone, un giocattolino di cui si parla da tempo nei corridoi, ora neppure sotto voce. Milano, 13 gennaio, convegno alla Bocconi: Karl Heinz Rummenigge (dirigente Bayern) dice: «Nelle cinque leghe di spicco le grandi diventano sempre più forti. In Italia c’è la Juve, spero che torni la mia amata Inter, forse il Milan. Si va verso una Lega oltre la Champions, sotto l’Uefa o un tetto privato. Con partite anche negli Usa e in Asia». Bum.
Decideranno in due. La European Club Association (Eca), di cui Rummenigge è presidente, si riunisce 8 e 9 febbraio in assemblea; la commissione competente dell’Uefa giovedì 11. Eca e Uefa hanno un accordo che le rende partner per le riforme fino al 2022 ma nessuna certezza che arrivino alleate alla fine del processo di revisione. Le parole di Rummenigge sono giudicate da altri club una “fuga in avanti”, di certo la Champions così com’è non piace più a molti dei potenti. I ricchissimi (Real, Barça, Bayern, United) trovano più utile giocare con un Borussia che con un Bate Borisov. C’è poi chi è scottato da troppe qualificazioni mancate e ne porta le cicatrici sui bilanci. Umberto Gandini, vicepresidente dell’Eca e direttore dell’organizzazione sportiva del Milan, spiega che «non abbiamo un piano già definito, ma sappiamo cosa fare. Ogni tre anni, alla scadenza dei contratti tv, si discute del format. Il dato nuovo è che oggi la Premier cresce più di tutti e distribuisce tre miliardi di euro l’anno. Fuori dall’Europa ha più appeal della Champions. Vedere che il Liverpool contro il Real risparmiava giocatori per la Premier del week-end successivo, è stato un segnale preoccupante».
superlega2Il punto sono i criteri d’accesso. I piccoli sono diventati ingombranti e arrivano a frotte pure dall’interno: Leicester, Atlético Madrid, da noi Napoli Roma Fiorentina. Le big storiche vogliono essere certe di un posto. «Esiste una pulsione dei grandi club», dice Gandini, «per avere più stabilità. È un dibattito legittimo e necessario. L’Uefa conosce punti di forza e limiti dell’attuale formula. Un anno mancò il Bayern, un anno lo United, un’altra volta sono assenti Milan e Inter: brand che fuori dal mercato europeo hanno un peso. Esiste una classifica storica nel mondo che non può essere ignorata, mentre ci sono squadre che vengono da mercati con minor appeal con una via per la qualificazione più semplice. È un’esigenza diffusa. Non vogliamo rinnegare la filosofia attuale, ma cercare un sistema diverso da quello che impone a un’italiana di giocarsi il preliminare con una tedesca o una spagnola. Non è scritto da nessuna parte che solo i primi tre Paesi del ranking debbano schierare 4 club. Discutiamo questo dogma. Certo, la revisione andrà a discapito di qualcun altro».
Con un presidente Uefa sospeso e il suo segretario generale in corsa per la Fifa, l’Eca, nel cui board siede anche Andrea Agnelli, ha campo libero come mai. Così può ri-sventolare come nel ‘99 lo strappo finale: un torneo privato a inviti, un sistema che superi il ranking Uefa nel quale oggi il Milan è 24°, l’Inter 30ª mentre il Basilea è al numero 17 e l’Olympiakos al 21. L’ipotesi delle franchigie neutralizzerebbe i tornei nazionali: la realizzazione su scala europea del teorema Lotito e della A senza un Carpi e un Frosinone. «Una soluzione — media Gandini — va cercata dentro il sistema: una formula che possa portare più ricavi, garanzie e stabilità ai partecipanti senza privarci della bellezza». Ci sarà da riscrivere i criteri. Superando il merito del campo, chi stabilisce se contano i titoli antichi dell’Ajax o le maglie vendute in Asia? Anche la Pro Vercelli ha vinto 7 scudetti e la Steaua più Champions del City: cos’è storia e cos’è archeologia? La tv ha stravolto ovunque gli albi d’oro. La Champions recente ha almeno avuto sei finaliste differenti negli ultimi tre anni e 9 vincitrici diverse in 12 edizioni. Due titoli consecutivi mancano dal 1990 (Milan). La filosofia del futuro sarà: più spazio a club famosi sui mercati asiatici e meno ai Ludogorets; più peso a chi genera maggiori risorse. Ma nel sistema attuale, il market pool (una quota dei ricavi tv divisa su scala nazionale) già riconosce pesi diversi ai singoli mercati. Quando il Porto vinse nel 2004, incassò la metà dello United, uscito agli ottavi. «La Champions è diventata un’aristocrazia che non tollera altre origini », ha scritto Aitor Lagunas sulla rivista Panenka. Nel marzo ‘93 l’allora numero uno Uefa Johansson confessò: «Temo che faremo i ricchi sempre più ricchi».
Diego Tarì, analista di bilanci, fondatore del sito Il tifoso bilanciato, avverte: «Una Champions che dovesse svuotare di interesse i campionati nazionali, farebbe crollare il valore dei diritti tv della serie A fino a 500 milioni. La Champions ha trasformato un gioco popolare in un business, la meritocrazia cucita sulla nobiltà e sul passato sega le gambe ai club emergenti». È il punto su cui si sta spaccando il basket, che dall’anno prossimo avrà due Champions perché quella della federazione mondiale sarà priva di undici club dal grande “brand”, tra cui Milano, messi sotto contratto dall’Eurolega per un torneo privato, indipendente dagli esiti dei campionati. Stefano Sardara, presidente di Sassari, si fa sentire: «La Fiba detiene i diritti, l’Eurolega in questi anni ha supplito con competenza. O si trova un punto di incontro, o chi va di là si mette fuori dall’organizzazione Fiba, creando un pregiudizio per la partecipazione alla serie A. Le spaccature sono dannose per tutti». Lo sa bene il rugby. Treviso e Parma hanno lasciato il campionato italiano per un torneo con irlandesi, gallesi e scozzesi. Marzio Innocenti, ex azzurro e dirigente federale in Veneto: «A fronte di un’esperienza per loro poco formativa e con poche vittorie, abbiamo assistito alla distruzione del campionato, che negli anni ’90 aveva i migliori al mondo». Il calcio europeo è a questo stesso bivio.
(da la Repubblica di lunedì 1 febbraio 2016)

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