mercoledì 5 novembre 2014

Cristina Zagaria legge la Grammatica del Bianco

ABBASSATEVI, in ginocchio, e provate a guardare il mondo dall'altezza di un raccattapalle, uno che vive a bordo campo, che è indispensabile, ma non è mai il protagonista. Provate ad affrontare la vita come un ragazzino di 11 anni, che cerca nella routine quotidiana, fatta di scuola-maestra-mamma- compagni, il suo posto, un posto dove c'è chi lo ascolta e dove lui sa cosa dire, e lo trova grazie proprio a una partita di tennis. "La grammatica del bianco" (Rizzoli, 267 pagine, 15 euro. La presentazione oggi alle 18 alla Feltrinelli di piazza dei Martiri) di Angelo Carotenuto, giornalista di Repubblica, racconta il match del 5 luglio 1980 che vede sull'erba di Wimbledon Björn Borg contro John McEnroe. «Prima che una partita, un evento», spiega Carotenuto, seguendo il filo rosso del uso primo romanzo "Dove le strade non hanno nome" (Ad Est dell'equatore), che ruotava attorno allo storico concerto degli U2 al San Paolo di Napoli. Carotenuto sceglie «prima la partita, poi lo sport e solo alla fine il suo personaggio».

«Nel 1980 avevo 14 anni — spiega l'autore — e il 5 luglio, un adolescente come me poteva fare solo una cosa: vedere quella partita. È stato un evento generazionale». Carotenuto svela così la genesi del suo ultimo romanzo. «Lo sport è un grande contenitore di storie e se è vero che la trama di una storia viene trascinata da un conflitto, cosa c'è di più conflittuale di un incontro sportivo? ». E così il tennis («uno dei miei sport preferiti insieme con ciclismo, pallanuoto e calcio»), vissuto come «lo scontro tra due solitudini», diventa il pretesto per mettere in scena la solitudine del protagonista Warren Favella, un undicenne, introverso e problematico. «Scrivendo poi mi sono accorto — rivela Carotenuto — che una partita di tennis è la riproduzione di uno dei meccanismi narrativi più frequenti: il dialogo. La pallina che rimbalza da ogni parte del campo è un dialogo». E al dialogo, pagina dopo pagina, viene obbligato anche Warren: il dialogo con la madre, con Cicca, con la maestra. E proprio attraverso il dialogo il piccolo protagonista della "Grammatica del bianco" riesce a vincere la sua vocazione alla solitudine.
Un libro che insegna che nessuno è infallibile, che i particolari sono importanti, che si può scegliere, che le parole possono essere un rifugio, che la società impone ai nostri figli di sapere e di dimostrare la propria conoscenza, ma che c'è anche chi, come Warren, si ribella alla vita ordinata («la vita di quelli che attraversano sulle strisce pedonali, con la mano al papà») e si crea un suo mondo. Un libro sui sentimenti e su quanto sia difficile e bello essere vulnerabili.

(su Repubblica Napoli, 4 novembre 2014)

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