mercoledì 26 novembre 2014

L'attimo fuggito dei mangiatori di gol

calloniDEVE essere stato un omaggio. Compie quarant'anni il primo gol in serie A di Egidio Calloni e allora a San Siro decidono di celebrarlo nel modo a lui più consono. Mangiandosene due. Arriva prima o poi il pallone che aspettavi da una vita. Quando, non si sa. E neppure si fa riconoscere. Arriva e pare uguale a tutti gli altri. È solo quando scappa via che si distingue dai precedenti, quando è già finito fuori, addosso al portiere o contro la traversa. Acquattato fra le pieghe della routine se ne sta il rimpianto, e il lavoro più grande — dopo — è toglierselo di torno. Se ne accorgeranno Mauro Icardi e Stefan El Shaarawy, di anni 21 e 22, uomini del derby milanese per un solo istante: il momento in cui, benedetti ragazzi, hanno pensato soli, solissimi davanti al portiere, che era fatta, erano eroi. Pam. Sbagliato. Poi dice che ai giovani non vengono date le occasioni.
Più speciale è la partita, più un'orma sa diventare solco. Certi gol sono diamanti. E un diamante, si sa, è per sempre. Ghiggia è nell'eternità come l'uruguagio che ha fatto piangere il Brasile nel Maracanaço. La parabola di Charisteas ha un senso quasi per intero nel colpo di testa al Portogallo, Grecia campione d'Europa, il resto non conta. Così come Burruchaga ha le serate della sua vecchiaia già tutte impegnate per parlare ai nipoti del terzo gol argentino nella finale mondiale del ‘90. Il guaio è che pure certi errori sono per sempre. Il gol sbagliato al 120' contro il Brasile agli ultimi Mondiali, il cileno Pinilla se l'è fatto tatuare dietro la schiena. Come dire che sarà pure alle spalle, ma alla fine non lo cancella nessuno. E dalla testa di Palacio nessuno ha ancora raschiato lo sbaglio commesso a Rio con la Germania. Intere carriere finiscono segnate dalla vocazione all'errore. Calloni appunto, «troncone di ottimo legno da sbozzare e scolpire », lo sciagurato Egidio, come lo chiamava Brera citando Manzoni. Tutt'altro che una schiappa, ma il suo attimo fuggente è pieno di rose non colte nel momento giusto, al punto che gli è rimasto addosso il marchio. Un giorno manca un gol pazzesco e in telecronaca Beppe Viola dice: «Il centravanti del Milan sventa la minaccia ». Non c'è stadio che più di San Siro abbia conosciuto quei formidabili artisti di strada che sono i mangiatori di gol. Il povero Stefano Chiodi, un altro. Attaccante prezioso nel Milan della stella, generoso, uomo ironico, ma tormentato dai troppi palloni finiti in curva. Abitava in un residence, nella stanza accanto a quella di Rocco, che la sera passava a bere un bicchiere e a dargli un consiglio. Dopo, molto dopo, sarebbe arrivato Luther Blisset, trasformando ogni tiro impreciso in un'esperienza religiosa. Nel senso che le maledizioni salivano a dio. «Anch'io sono incappato in simili errori». Inzaghi ha consolato lo sciagurato Stefan, ma se fosse stato vero non lo avrebbe ammesso mai. Galliani l'ha messa sul pulp. «Ho ancora negli occhi la traversa di El Shaarawy». Un po' Polifemo un po' Chuck Palahniuk. C'è un treno che passa, la casa che trema e il cielo si piega su rovi d'attesa, come sanno pure i Negramaro. Se non altro, il vantaggio di avere vent'anni sta nel fatto che un altro pallone arriverà, per forza deve arrivare, perché giovanotti il cortile è vostro, ma la prossima volta il pallone sbattetelo in porta. Nel dubbio.

(la Repubblica, 25 novembre 2014)

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