lunedì 28 aprile 2014

Jongbloed, il portiere della grande utopia

jan1 Mi chiamarono un mese prima dei Mondiali. Jan, riproviamo. Mancavo in nazionale da dodici anni, mica cinque minuti, e stavo entrando a far parte della Grande Olanda. La Grande Olanda, sì, anche se non abbiamo vinto niente di niente. Noi siamo semplici calciatori, sono gli orafi che misurano il valore delle cose dal loro peso. Noi possiamo permetterci altro, possiamo apprezzare un gesto, un momento, una giocata. Possiamo stabilire cosa sia la grandezza senza fondarci su alcuna unità di misura. Possiamo goderci il privilegio della soggettività, la sontuosa meraviglia di stabilire quale calcio ci piace di più, e trasformarlo in un totem, in una leggenda. Questo siamo stati noi, gli olandesi degli anni Settanta. Altri molto più di me.


Io sono entrato per caso dentro questo epos senza trionfi. Ero il brutto anatroccolo della storia. Giocavo in una piccola squadra di Amsterdam, il Door Wilskracht Sterk, diciamo pure il DWS, nei giorni in cui il calcio ad Amsterdam era soprattutto l'Ajax. Loro vincevano le Coppe dei Campioni, noi andavamo verso il declino e verso la fusione con altre due squadre, dopo il picco toccato con il titolo olandese del '64. Ero basso, tozzo, dicevano sgraziato. La nazionale mi aveva dato un'occasione nel '62 perché davvero evidentemente ne davano una a tutti, presi quattro gol dalla Danimarca e finì lì. Anche per questo, non mi ero fatto troppe illusioni sul conto del calcio. Certo, giocavo in serie A ma senza perdere di vista la mia vita, la tabaccheria di famiglia da mandare avanti. La sigaretta è il tipo perfetto di un piacere perfetto. È squisita e lascia insoddisfatti. Che cosa si può volere di più? Lo diceva Oscar Wilde, che sia benedetto. Quando ripenso alla sua frase, al piacere squisito e insoddisfatto, ecco, io penso anche a noi. Al '74 e al '78, ai nostri due campionati mondiali persi in finale, tutt'e due contro la squadra di casa, la Germania e l'Argentina. Rinus Michels cercava un titolare. Quelli che in squadra avevano voce in capitolo, e intendo dire Crujiff, non si fidavano di Jan van Beveren: la conoscete la sua storia, vero? Dodici anni dopo la mia sola apparizione in nazionale, il ct tornò a chiamarmi per un'amichevole con l'Argentina. E poi per i Mondiali. Be', mi dissi, non sarà la fine del mondo se per un'estate lascio la tabaccheria in altre mani. Ma la pesca no, la pesca non l'avrei mai trascurata. Era l'altra mia grande passione. A parte il calcio, dico. Così, quando partimmo per la Germania, portai con me la canna, le esche, tutto: non si sa mai, pensai, magari ci scappa un giorno al lago. Michels mi disse che avrei avuto le mie occasioni, spiegò cosa si aspettava dal portiere della sua Olanda, voleva che fosse una specie di libero alle spalle della difesa. Bisognava saper giocare con i piedi, e io sapevo farlo. E se cercava quello, allora ero sicuro che non sarei andato in Germania a fare il terzo.
Jongbloed con Crujiff
Jongbloed con Cruyff
Crujiff spinse. Vogliamo Jongbloed in porta, disse a nome della squadra. Era lui il leader. Quando distribuimmo le maglie, fu l'unico a poter scegliere il numero. Volle il 14. Noi altri andammo tutti in ordine alfabetico, dall'uno di Geels al ventidue di Vos. Forse la 14 a Crujiff andava negata. Non ne faccio una questione di privilegi, immaginatevi solo la potenza dell'immagine di Cruijff con il numero 1 dietro la schiena. A me andò il numero 8. Tutti a ridere. Un portiere con l'otto. Ma non era la prima volta che accadeva. Era chiaro che si rideva di me. Per i miei recuperi, le mie uscite, la mia maniera di stare in campo. Ok, ridete pure. Ma fino alla finale avevo preso un solo gol, e me lo aveva segnato Ruud Krol, il mio amico Ruud Krol.

Il rigore segnato da Breitner a Jongbloed nella finale del '74
Il rigore segnato da Breitner a Jongbloed
 Quando perdemmo la finale giocando il calcio più bello che un Mondiale di calcio ricordi, pensai che avevamo provato a sovvertire l'ordine delle cose, ma l'ideologia dominante è sempre stata l'ideologia della classe dominante. E le idee, le idee non possono realizzare nulla, c'è bisogno degli uomini che mettono in gioco una forza pratica. Discuto di calcio con le parole di Marx, certo, perché mentre negli anni Settanta voi aspettavate l'utopia della Grande Olanda, io aspettavo l'affermazione dell'altra utopia: quella con la U maiuscola. In nazionale ho giocato 24 partite in tutto, pochine, ma la metà ai Mondiali, fra i 34 e i 38 anni. Se fossimo andati pure al Mondiale del 1982, probabilmente sarei stato anche lì. Ma il nostro ciclo era finito, cadde prima l'Olanda e poi il comunismo. Io però non mi sono arreso. A 44 anni ero ancora su un campo di calcio in serie A, con il Go Ahead Eagles. Il 23 settembre del 1984 eravamo a Rotterdam per giocare contro lo Sparta. Ero già pronto, la maglia, i guanti, le ginocchiere. Quando mi vedo venire incontro il mio allenatore, la faccia stravolta, dice Sali in macchina, corriamo ad Amsterdam, guido io. Di quella domenica non ho mai voluto parlare. Qualche mese più tardi ho avuto un infarto e la mia carriera è finita, a 45 anni. Me ne sono tornato alla mia tabaccheria, ogni tanto vado ancora a pesca, e so che il lavoro non è la fonte di ogni ricchezza.  

Il 23 settembre del 1984 Erik Jongbloed, figlio di Jan, giocava in serie D con la vecchia DWS, stesso stile del padre, bravo in uscita e con i piedi. Aveva 21 anni, avversario quel giorno era il Rood-Wit. Il tempo peggiorò all'improvviso, il sole sparì, arrivarono le nuvole, poi un acquazzone, una tempesta. Erik andò al rinvio dalla sua area piccola. Di solito calciava Rob Stenacker, un difensore. Erik gli disse Va' fuori, rilancio io, e così gli ha salvato la vita. Sul campo si abbatté un fulmine, si sentì un bang, una nuvola di fumo si alzò dentro l'area di rigore ed Erik era là, a terra, senza vita, accanto alla porta. Avvertirono subito Jan, e nessuno sapeva cosa fare.

(Come per l’intera serie, le parole liberamente attribuite a Jan Jongbloed ono state ricostruite attraverso libri, interviste e altre fonti storiche, e sono tutte ispirate a fatti realmente accaduti)

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