domenica 27 aprile 2014

Boskov il napoletano

boskov Di domenica. Il giorno migliore per salutare dopo una vita come la sua. Di domenica. Perché quando Boskov era Boskov non c'erano gli anticipi e neppure i posticipi. Di domenica. Come dovrebbe sempre accadere a chi le domeniche ce le ha riempite. E' una gigantesca processione laica, questa che tra le maglie della Rete accompagna l'addio di Vujadin Boskov: "navigare" si cominciava a dire negli anni in cui "rigore è quando arbitro fischia". Le sue frasi celebri sono immortali, come lo scudetto alla Sampdoria e prima ancora la sua regia a centrocampo in una delle più grandi nazionali jugoslave della storia. Aveva gli occhi piccoli che si accendevano con poco. Una mattina, passeggiando lungo via San Gregorio Armeno, la strada napoletana dei presepi, Vuja si ritrovò sotto gli occhi una statuina alta una quarantina di centimetri. "Ma kvello sono io". Era lui sul serio. Napoli lo aveva accolto con grande simpatia e un rispetto ancora più grande. Anni durissimi, una società che per non fallire vendeva ogni estate il suo giocatore migliore, 1994, la sua esperienza servì a non perdere la bussola. A non perderla subito, almeno. Aveva una sua idea della città: "Napoli ha bisogno di poliziotto olandese. Poliziotto olandese è poliziotto più cattivo del mondo".


Chi lo sa se era vero, non importava a nessuno saperlo, importava ascoltarlo. Non c'era partita che il Napoli potesse perdere, ascoltando Boskov alla vigilia. Trasferta a Bari? "Napoli non può perdere in Bari. Bari ha trecentomila abitanti, Napoli un milione di abitanti". E così era per Vicenza, Cremona, Padova, Piacenza, Bergamo. Ovviamente non si poteva perdere neppure in Roma o in Milano, perché "Roma y Milano y Torino hanno due skvadre, in Napoli hay una sola skvadra, tutti i bambini di Napoli devono giocare in Napoli e fare tifo per Napoli". Anni in cui Napoli non poteva permettersi il grande campione con cui sognare. Boskov lo predicava con chiarezza. Diceva che bisognava scoprire nuovi talenti. Una sera un cameriere in un ristorante lo avvicina e gli dice, Mistèr lo so io il centravanti che serve al Napoli, ve lo posso dare un consiglio? Avanti, fa lui, sentiamo. Mistèr, insiste il cameriere, ci dobbiamo comprare a Batistuta. Lui gli mette una mano sulla spalla: Ecco, Batistuta, bravo. O almeno lui lo raccontava così, e ne rideva, e faceva ridere. Così come si divertiva a raccontare che uno dei suoi giocatori stava ore e ore allo specchio a sistemare i riccioli, e lui gli aveva promesso una bottiglia di champagne al primo gol segnato. "Vale anche gol in allenamento", e rideva, "non solo in partita". In quel Napoli, che pure portò a sfiorare una qualificazione per la Uefa, adorava Pecchia. Lo chiamava l'Avvocato, perché a quei tempi Pecchia studiava giurisprudenza. Gli piaceva la sua serietà, il fatto che avesse deciso di abitare all'interno del centro Paradiso di Soccavo, per non distrarsi. "Napoli gioca come gioca Avvocato. Si Avvocato gioca male, Napoli gioca male. Si Avvocato gioca bene, allora Napoli gioca bene". I giovani lo seguivano, ce ne sono tanti che hanno imparato molto da lui. E lui sentiva di avere tra le mani una squadra con tanto futuro davanti. Fermò il mercato della società perché potesse lanciare in serie A Carmelo Imbriani, il povero Carmelo. Un giorno, parlando a Soccavo, fa: "Abbiamo una skvadra di promesse. Cannavaro ha venti-uno anni, Pecchia venti-uno, Taglialatela venti-kvattro, Rincon venti-kvattro". Dal gruppo che lo ascolta gli fanno notare che no, Rincon in realtà ne ha già ventotto". Non se ne parla. Lui insiste: "Rincon venti-kvattro". No, Vuja, non per scortesia, ma Freddy Rincon ne ha ventotto. Allora Vuja tira fuori un foglietto che conservava sempre in tasca, c'era scritta l'età di ciascun calciatore. Lui controlla e ammette: "Hai ragione, Rincon ne ha già venti-otto". Poi fa una pausa in cui ci mette tutto il suo talento teatrale e aggiunge: "Venti-otto. Ma hai età migliore per un calciatore?". Buona domenica, Vujadin. La domenica non finisce mai.

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