giovedì 17 aprile 2014

Il calcio di Gabo

Gabriel-Garcia-Marquez-wi-007 Disse che in una partita di calcio, una volta, aveva perso il senso del ridicolo. Perché era diventato un hincha. Un tifoso. "E poi ho deciso di frequentare lo stadio. Poiché era un incontro più importante di tutti quelli precedenti, dovetti muovermi un po' prima. Confesso che mai nella mia vita sono arrivato con così tanto anticipo in un posto, e che da nessun posto sono andato via tanto esausto". (El Juramento).
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"Il mio primo passo nella vita reale fu la scoperta del calcio in mezzo alla strada o in alcuni orti vicini. Il mio maestro era Luis Carmelo Correa, che era nato con un istinto spiccato per gli sport e un talento congenito per la matematica. Io ero di cinque mesi più vecchio, ma lui mi prendeva sempre in giro perché cresceva di più, e più in fretta di me. Cominciammo a giocare con palle di stracci e riuscii a diventare un buon portiere, ma quando passammo al pallone regolamentare mi beccai un colpo allo stomaco a causa di un suo tiro così potente, che fin lì mi arrivarono tutte le vanterie. Le volte in cui ci siamo incontrati da adulti ho constatato con una grande gioia che continuiamo a trattarci come quando eravamo bambini." [...] "Decidemmo in consiglio editoriale che io avrei scritto un reportage centrale su Sebastiàn Berascochea, un altro dei campioni brasiliani del Deportivo Junior, con la speranza di conciliare calcio e letteratura, come tante volte avevo cercato di fare con altre scienze occulte nella mia rubrica quotidiana. La febbre del pallone che Luis Carmelo Correa mi aveva contagiato nei campetti di Cataca mi era scesa quasi a zero. Inoltre, io ero uno dei primi fanatici del baseball caraibico, o il gioco della palla, come dicevamo in lingua vernacola. Comunque, raccolsi la sfida. Il mio modello, naturalmente, fu il reportage di Germàn Vargas. Mi allenai con altri, e mi sentii riconfortato da una lunga conversazione con Berascochea, un uomo intelligente e cortese, e con un ottimo senso dell’immagine che voleva dare al suo pubblico. Il brutto fu che lo identificai e lo descrissi come un basco esemplare, solo per via del suo cognome, senza badare al dettaglio che era un negro nerissimo della miglior stirpe africana. Fu la grande cantonata della mia vita e nel momento peggiore per la rivista. Al punto che mi identificai sino all’anima con la lettera di un lettore che mi definì un giornalista sportivo incapace di distinguere la differenza fra un pallone e un tram". (da Vivere per raccontarla, Mondadori)
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"Quando non aveva più nulla da fare passava ore riempendo schedine di calcio che molto di rado giocava" (da Tramontana, in Dodici racconti raminghi, Mondadori)

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