lunedì 9 maggio 2011

Addio al saponaro, l'emergenza rifiuti lo ha cancellato

L'ultima colpa dell'emergenza rifiuti è la persecuzione dei saponari, fra i mestieri più antichi di Napoli. Il saponaro è quella specie di rigattiere ambulante: un tempo barattava oggetti o panni vecchi con sapone da bucato. Ccà stà 'a pezza ccà stà 'o ssapone. S'è continuato a chiamare con lo stesso nome pure quando ha smesso di ricompensare col sapone, continuando però a caricare sul suo carretto i materassi gettati via, le scarpe usate, gli specchi rotti.
Nell'iconografia della città ne compaiono di due tipi. Uno un po' più folkloristico, filone Ferdinando Russo-Raffaele Viviani; l'altro più appartato e solitario, mood Giovanni Capurro. In ogni caso una figura mito, se Achille Campanile in Gli asparagi e l'immortalità dell'anima scrive: "Quanto a Napoli, sentivamo spesso parlare dei saponari. La prima volta che capitammo nella città partenopea, domandammo dei saponari. Capitammo nella Mecca dei cercatori di mobili antichi. Erano mobili immensi".


Gli anni '70. Quando le nostre madri ci davano del saponaro se un cappotto era indossato in modo smerzo. I mobili, i saponari li raccoglievano e li smantellavano: oggi si direbbe differenziavano e riciclavano. Si direbbe, ma non si può più dire. Perché il dramma dei rifiuti ha introdotto l'arresto per chi viene trovato a trasportare materiale di scarto su mezzi non autorizzati tipo il lapariello. Il lapariello è l'Ape, il tre ruote, da cui l'Ape, l'Aperello, l'apariello, il lapariello.
I saponari avevano un loro statuto, ne esiste testimonianza fin dal 1564, un secolo prima che sostenessero con i cenciaioli l'avventura di Masaniello. Nella Napoli della rivoluzione 1799 il loro era uno dei 32 mestieri sotto la giurisdizione dell'Eletto del Popolo. Rientrava nella categoria dei lavori "per lo comodo" insieme con i molinari e gli stallieri, in opposizione alle categorie "per la sussistenza" (bottegari, verdumari, salsumari), "per "lo piacere" (attori, ballerini), "per lo lusso" (orefici, corallari, parrucchieri).
Poi il folklore li ha masticati e sputati via. Carlo Bernari già nel '96 scriveva che l'epoca era cambiata. "La roba in mano ai saponari", gli raccontava uno, "non è mai apprezzata". E così sono finiti (Antonella Cilento, "Non è il paradiso", 2003) nella città delle rate, dei dvd, la città che non va a Galassia Gutenberg e si concede al massimo una farsa al teatro del dopolavoro ferroviario della stazione di Campi Flegrei.
Oggi c'è un articolo sul Roma, segnalato da Napoli Monitor, che racconta di una manifestazione di rivolta degli ultimi saponari nella periferia est della città. Dicono Non ci fanno più lavorare. E alla fine se la prendono coi rom, accusati di riuscire a girare invece tranquillamente a bordo dei loro laparielli.
La guerra fra poveri è sempre il segno della fine.

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