giovedì 7 ottobre 2010

Eravamo io, Vargas Llosa e Maradona

SCINTILLANTE - Quando nel giorno della prima partita col Belgio giocò maluccio, molti si chiesero il come, il quando e il perché del mito Maradona. Ma dopo la partita fra Argentina e Ungheria, che la piccola stella illuminò dall'inizio alla fine con i fuochi d'artificio della sua saggezza, non c'era più nessuno che avesse dubbi: Maradona è il Pelè degli anni Ottanta. Un grande giocatore? Di più: una di quelle divinità viventi che gli uomini creano per adorarsi in esse.
TRA I MOSTRI - Per un periodo che fatalmente sarà breve - siamo nel più assoluto e nel più fugace dei regni - all'argentino toccherà essere per milioni e milioni di persone al mondo quello che nei loro turni imperiali furono Pelè, Cruyff, Di Stefano, Puskas e qualcun altro: la personificazione del calcio, l'eroe che di questo sport si fa cifra ed emblema. I 1000 milioni di pesetas che - si dice - abbia pagato il Barcellona per averlo, sono la prova che Maradona ha già avuto accesso al trono, e a giudicare dalla sua partita contro gli ungheresi, dall'eco che ha avuto fra la gente, questo mondiale dimostrerà che il Barça ha fatto un investimento redditizio. Dieci milioni di dollari sono molti soldi per un semplice mortale che gioca a pallone, ma non è niente se ciò che si sta comprando in realtà è il mito.

QUESTA FACCIA NON SI DIMENTICA - Maradona è un mito perché gioca meravigliosamente, ma anche perché il suo nome e la sua faccia ti restano impressi nella memoria all'istante, e perché - per una di quelle indecifrabili ragioni che nulla hanno a che vedere con la ragione - d'istinto ci sembra intelligente e simpatico. Questa impressione c'entra qualcosa con la sua statura? Nella partita contro l'Ungheria, vedendolo giocare tra quei difensori grandi e grossi che si manifestavano pateticamente inefficaci per contenerlo, si aveva l'incoraggiante sensazione che una giustizia terrena esiste, che nel calcio è sicuramente più importante la destrezza che la forza, e che nel momento di calciare la palla non contano le gambe, ma idee e fantasia.
PICCOLO MOLTO FORTE - A dispetto della sua statura, Maradona non dà la sensazione di essere fragile, anzi, forte e solido, forse per via di quelle gambe robuste e di quei muscoli che resistono senza infiacchirsi ai contrasti coi difensori avversari, non importa quanto siano alti e forti. Questa faccia da sognatore ingenuo pieno di buone intenzioni gli serve per lusingare quei poveri bipedi incaricati di prendersi cura di lui, perché di sicuro c'è che se deve giocare duro, sa fare anche quello e con un impeto che si direbbe incompatibile col fisico che ha.
UN ALTRO PELE'? - Non è facile definire il gioco di Maradona. E' di una tale complessità che nel suo caso ogni aggettivo merita una postilla, una nota. Non è brillante e memorabile come il superbo Pelè, ma la sua efficacia è categorica quando lancia da angoli inverosimili, quando fa gol con tiri potentissimi, o passaggi chiari e precisi come un teorema; mette in moto un'irresistibile operazione che sarebbe ingiusto non chiamare spettacolo, un giocatore che trasforma una partita in una esibizione di genio individuale (o in un recital, come disse un critico).
GLI IDOLI - I popoli hanno bisogno di eroi contemporanei. Non c'è paese che sfugga a questa regola. Colta o no che sia, ricca o povera, capitalista o socialista, tutta la società avverte questa urgenza irrazionale di mettere su un trono idoli di carne e ossa davanti ai quali spargere incenso. Politici, militari, stelle del cinema, sportivi, cuochi, play-boy, grandi santi o banditi feroci, sono stati elevati agli altari dalla popolarità e convertiti al culto collettivo in quello che i francesi con una buona immagine chiamano i mostri sacri. Bene. I calciatori sono le persone più inoffensive tra quelle a cui si può attribuire questa funzione da idolo.
IL CULTO - Sono, ed è chiaro, infinitamente più innocui dei politici e dei guerrieri, nelle cui mani l'idolatria delle masse si può trasformare in uno strumento temibile, e il culto del calciatore non possiede la stessa frivolezza rarefatta degli artisti del cinema. Il culto dura lo spazio del loro talento calcistico, svanisce con esso. E' effimero, perché le stelle del calcio si bruciano presto sul prato degli stadi e i fedeli di questa religione sono implacabili: nelle tribune non c'è nulla che sia più vicino all'ovazione dei fischi.
UN ARTISTA - E' il meno alienante dei culti, perché ammirare un calciatore è come ammirare qualcosa di molto vicino alla poesia o alla pittura astratta. E' l'ammirazione della forma per la forma, senza alcun contenuto razionalmente identificabile. Le virtù calcistiche - la destrezza, l'agilità, la velocità, il virtuosismo, la potenza - difficilmente possono essere associate a comportamenti disumani. Per questo, se ci devono essere degli eroi, viva Maradona.
(Mario Vargas Llosa, 1982)

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