Non avevo i piedi buoni per giocare a calcio, come tanti un giorno decisi di provare in porta. Imparai a coprire gli angoli e a tenere gli occhi sulla palla. E' quello il segreto del baseball. Così imparai a prenderla. Quasi mai la calciavo lontano, temevo che sarebbe salita in cielo e poi cascata giù alle mie spalle. Preferivo allontanarla con le mani, non so come avrei fatto con le regole nuove, sarebbe stato molto rischioso per me. In tv mi piace guardare il calcio femminile, in fondo ogni tanto mi divertivo pure a giocare a softball.
A Saint Louis, sulla montagna, erano arrivati molti italiani da Cuggiono, tanti altri da vicino Milano. Spesso ci trovavamo nella chiesa di Sant'Ambrogio. Un quartiere operaio. Quando scoppiò la crisi economica del '29, polacchi ebrei e tedeschi lasciarono la città. La Hill si trasformò in un'altra Little Italy. Fu allora che arrivò lui. Dico Joe Causino. Era stato il direttore dell'associazione dei giovani cristiani. Venne e portò lo sport. Non eravamo mai usciti dalle nostre strade. Ci sposavamo fra di noi, gli abruzzesi con le milanesi, i napoletani con le siciliane. Joe ci portò in giro a giocare a calcio contro gli ispanici e gli irlandesi. Vincemmo il campionato del Missouri e poi quello americano, in realtà i più bravi di noi nello sport erano Yogi Berra e Joe Garagiola. Uno andò a fare il ricevitore dei New York Yankees, l'altro finì ai Cardinals. Beati loro.
Era il primo Mondiale della nazionale inglese. Avevano boicottato le edizioni precedenti, non ritenendo che il mondo fosse alla loro altezza, offesi dalla decisione della Fifa di fargli giocare le qualificazioni. Loro, i Migliori, i Re del calcio, e mi raccomando le maiuscole. Avevano vinto 23 partite su 30 nel dopoguerra, tra cui un 4-0 all'Italia e un 10-0 al Portogallo, a Lisbona.
Inghilterra-Stati Uniti. Giocammo a Belo Horizonte, Estadio Independencia, il campo faceva schifo, ma noi eravamo abituati. Gli inglesi lasciarono a riposo un po' di giocatori, compreso il più grande di tutti al mondo, Stanley Matthews. Intendevano risparmiarlo per il turno successivo. Matthews era arrivato in Brasile in ritardo, reduce da una turnée in Canada. Quel giorno, il 29 giugno del '50, rimase a guardare. Bill Jeffrey, il nostro coach, prima della partita disse ai giornalisti che eravamo vitelli pronti per il macello. Il Daily Express scrisse che sarebbe stato giusto darci tre gol di vantaggio e poi cominciare a giocare. Gli inglesi avevano la maglia blu, vinsero il sorteggio e preferirono battere la palla al centro, io scelsi la porta in favore di vento, e lì mi sistemai. Nei primi 12 minuti l'Inghilterra colpì due pali, una traversa e tirò sei volte in porta. Ma in porta c'ero io. Dopo 37 minuti scoprimmo che esisteva pure un'altra metà del campo. Il professore Walter ricevette un lancio da 25 metri e calciò, Joe il lavapiatti si lanciò in tuffo sulla palla, poteva essere a quattordici-quindici metri dalla porta, la sfiorò di un niente, quel tanto per spiazzare il loro portiere. Dio mio, avreste dovuto vedere la loro faccia. Furiosi. E come delle furie attaccarono. Per tutto il secondo tempo. Loro dicevano football, noi dicevamo soccer. Parai tutto. Compreso un colpo di testa di Jimmy Mullen sulla linea di porta, anche se gli inglesi protestarono, convinti che la palla fosse entrata. Tom Finney, alla fine, disse alla stampa che in porta per gli Stati Uniti aveva giocato un gremlin.
Passo davanti ai ragazzini che oggi giocano a Wilbur Park e mi chiedo se sanno tutto questo. Se sanno che il mio amico Joe, quattordici anni dopo il miracolo, venne arrestato ad Haiti dai Tonton Macoutes, la polizia di Duvalier, e da loro ucciso. Mi domando se qualcuno di loro ha mai visto il film sulla nostra storia, The Game of Their Lives. Per la mia parte hanno scelto Gerard Butler. Peccato che gli sceneggiatori abbiano commesso un errore. Si sono inventati che il capitano era Walter Bahr. Invece quel giorno era Ed McIlvenny, demmo la fascia a lui in via del tutto straordinaria perché era scozzese e ci teneva. La povera vedova, quando ha visto il film, s'è molto dispiaciuta. Del resto, da Hollywood, che cosa ti puoi aspettare?
(Come per l’intera serie, le parole liberamente attribuite a Frank Borghi sono state ricostruite attraverso libri, interviste e altre fonti storiche, e sono tutte ispirate a fatti realmente accaduti)
Nessun commento:
Posta un commento