giovedì 25 marzo 2010

Dalla Quinta di Butragueño alla cantera

Nacque una definizione e nacque un'idea. Julio César Iglesias, giornalista di El País, inventò la formula in un articolo uscito il 14 novembre del 1983.Titolo: Amancio y la Quinta de El Buitre.
Amancio, cioè Amancio Amaro Varela, gallego di La Coruña, terzo posto al Pallone d'Oro del '64 dietro lo scozzese Denis Law e Luis Suarez, gallego come lui. Una delle stelle della prima Spagna campione d'Europa e del Real Madrid anni '60.Nel 1983 Amancio è l'allenatore del Castilla, la filiale del Real Madrid, la sua squadra B. Squadra che sta viaggiando in testa alla classifica della seconda divisione e che sta per consegnare al calcio una generazione di fenomeni, la Quinta de El Buitre, la generazione di Butragueño.
Un pugno di ragazzini che gioca al Bernabéu alle cinque della sera, e in Spagna le cinque della sera non è mai un'ora banale. Quindicimila persone corrono allo stadio per vedere ogni partita. Spettatori che prima di chiunque altro conoscono il Buitre e i suoi amici. I ragazzi di Amancio.
Martín Vàzquez e Sanchís sono i primi che il Castilla consegna al Real allenato da Di Stefano, la casa madre, perché debuttino in Primera División. Succede a Murcia, dicembre 1983. Sanchìs fa subito gol. Al terzo della terribile banda, Pardeza, di mettersi in cammino con i grandi sarebbe toccato la sera di San Silvestro contro l'Espanyol. Solo a febbraio arriva il turno di Butragueño. Il Real sta perdendo 2-0, Emilio entra, fa due gol, vittoria per 3-2, rimonta, l'inizio di una carriera da Buitre. L'avvoltoio. Michel è l'ultimo, esordisce ad aprile contro il Castellòn.
Iglesias, nel giorno in cui inventa la formula, scrive che per Pardeza il gol è un presentimento, che il gioco di Butragueño è cosmico e terzomondista, che Sanchìs è avviato a far dimenticare Stiles e Bobby Moore. L'idea che questa definizione porta con sé è che dopo una generazione del genere può arrivarne un'altra, e poi un'altra, un'altra ancora. Anzi: non arriva. Devi coltivarla. E' quel che la Spagna ha fatto in modo che capitasse, lavorando sui ragazzini, mettendo in piedi un sistema infallibile. Oggi la chiamiamo cantera.
La Quinta de el Buitre non ha mai smesso di esistere, neppure quando ha smesso di giocare. La più sorprendente delle cose è il ricordo che la Spagna tuttora dedica ai suoi campioni: in questi giorni il quotidiano sportivo As ha celebrato il trentennale della loro epifania. Una generazione fenomenale, certo, con cui il Real arrivò a vincere 6 campionati, un paio di Coppe del re, ma mai una Coppa dei Campioni, e mai nulla la Spagna vinse con loro. Eppure, finanche oggi che la Spagna con i suoi club domina la Champions, ora che la sua nazionale è campione del mondo e d'Europa in carica, Amancio e la Generazione Butragueño sono qui.

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