giovedì 27 luglio 2017

Napule è o ci fa


NAPOLI. E chi lo sa, chi può capirlo, come si tengono insieme le classifiche del Censis che piazzano gli atenei napoletani agli ultimi posti d’Italia con le parole di Lisa Jackson, vicepresidente di Apple, che nel polo universitario ha investito per creare un centro di sviluppo delle App iOS, «la migliore delle esperienze fatte da noi nel mondo». Chi può davvero cogliere il mistero della convivenza tra le stazioni del metrò dell’arte, tra le più belle d’Europa, e l’insofferenza dei napoletani in attesa dei treni, convinti che «non passano per non sciuparle». Questa è la città dove la cultura è diventata attrazione, dove i turisti crescono più che altrove, ma dove tutto resta precario e discutibile.
Gli alberghi pieni, i record dei musei e un’attenzione internazionale che evoca quella di vent'anni fa, quando con Bassolino sindaco si impose il mito del “Rinascimento napoletano”. È fatale che oggi sia Luigi de Magistris a giocarsi la stessa carta, impugnando nell'era dello storytelling la propaganda dei numeri e la retorica del risveglio. L’ultimo rapporto di Bankitalia certifica che dal 2013 i turisti stranieri sono aumentati del 49 per cento, la media italiana è del 15, e sono cresciuti i pernottamenti (+33 per cento). Non è più solo un transito verso Pompei o le isole. Il motore di questa macchina è un fermento culturale che la città vive e vende, nove anni dopo il bando da ogni circuito per la crisi dei rifiuti.

Seduto su un divano nella sala giunta di palazzo San Giacomo, l’assessore alla Cultura Nino Daniele pesa le parole. È stato fra 2005 e 2010 il sindaco del rilancio di Ercolano e dei suoi scavi, in prima linea contro la camorra. Era stato consigliere in Comune a Napoli fra il ’77 e il ’93, e poi in Regione, vivendo tutto il travaglio Pci-Pds-Ds fino al Pd, da cui è uscito. I due Rinascimenti li ha visti dall'interno. «Perciò» dice «questa parola non la uso. Né per allora né per oggi. Descriverei una realtà falsa, a una dimensione. Ma usciamo da un coprifuoco, eravamo avviliti, depressi: alla Bit prima dell’Expo non ci volevano nemmeno ascoltare per l’immondizia in strada. Ora avvertiamo l’orgoglio di poterci dire non più un peso per il Paese ma un’opportunità. C’è più città disposta a credere nel suo futuro. I professionisti non si vergognano di candidare Napoli a sede dei congressi di categoria».

Nemmeno Renzi s’è spaventato di ipotizzarla sede delle Olimpiadi 2028. Quei Giochi sono già in tasca a Los Angeles, ma in questo discorso non conta l’effettiva candidabilità della città, quanto la sua spendibilità cresciuta, la sua realtà aumentata. «Napoli è un baco» diceva Renzi un anno fa «un posto dove entrerò con il lanciafiamme». Parlava così ai suoi dopo le elezioni perdute e dopo le primarie finite a colpi di ricorsi. Le accuse di brogli, il Pd crollato all’11 per cento, una città riconsegnata a de Magistris, il sindaco frutto dell’astensionismo. Amministra con 185 mila voti. Rosa Russo Iervolino s’era spinta a 304 mila, Bassolino ai 400 mila del ’97. La Napoli di de Magistris è una città in cui i consumi familiari sono aumentati dello 0,9 e le esportazioni – pasta e mozzarelle – sono andate su del 2,9. Si vivacchia con un Pil inferiore (-14 per cento) e con un tasso di disoccupazione che nel primo trimestre 2017 s’è impennato al 22,4 per cento e al 49.9 per cento nel segmento anagrafico 15-24 anni. Le imprese non investono. La riconversione di Bagnoli è lontana. I cantieri sono fermi. Ci sono ditte che fanno i conti con l’Antimafia. La programmazione di spesa delle risorse Ue non decolla. Eppure l’aeroporto di Capodichino ha ottenuto il premio come migliore d’Europa nella categoria 5-10 milioni di passeggeri “per la valorizzazione dei beni culturali e per l’incentivo alla valorizzazione turistica del territorio“. E allora la verità su Napoli forse dipende dalla prospettiva scelta, quella di chi ci viene o quella di chi ci vive.

Daniele dice: «Ora ai Quartieri spagnoli si protesta perché di notte c’è troppa gente in strada, locali affollati, piccoli spazi adibiti a teatri, botteghe d’arte: chi lo avrebbe detto. La cultura è un traino, un’uscita di sicurezza». L’incubo del terrorismo sta penalizzando il turismo in Egitto, Marocco e Tunisia. I crocieristi a Napoli lo scorso anno sono stati un milione e 300 mila, per il Rinascimento del ’97 furono 236 mila. Le rotte mutano. «Ma non soffrivamo la ristrettezza di mercato» spiega Daniele. «Casomai perché il 60 per cento non scendeva sotto Roma. È cambiata l’immagine. Uno studio dell’Università Federico II rivela che arrivano viaggiatori colti. Siamo dentro il nuovo concetto di turismo esperienziale. Il successo dei libri di Elena Ferrante porta in città persone che vogliono vivere per qualche giorno come i napoletani».

Il Museo archeologico nazionale è vicino al mezzo milione di visitatori l’anno, nello scorso febbraio è stato il secondo polo d’attrazione dopo il Colosseo. Castel Sant'Elmo, Palazzo reale e il Madre registrano tutti il segno più. Cappella Sansevero è uno dei nuovi luoghi cult: 460 mila biglietti contro i 152 mila del 2009. La mostra su Picasso a Capodimonte ha fatto 100 mila visitatori nei primi tre mesi, in un museo noto per la sua leggendaria inaccessibilità. Entro il 2021 toccherà a Degas e Van Gogh. «Ma il turista arriva qui e non sa dove si trova. Finanche la fermata dell’autobus si chiama in un altro modo: Ponti Rossi». Massimiliano Virgilio, scrittore trentottenne autore di L’americano (Rizzoli), è una delle voci più acute della città. «Napoli non ha visione di insieme. Trovare un’abitazione in centro è impossibile. Chi ne aveva una, ne ha fatto un b&b inventandosi un lavoro. Ma quando la moda sarà finita e le rotte degli operatori cambiate, la città sarà più cara e pochi privati avranno massimizzato i profitti. La liberalizzazione dei tavolini su suolo pubblico, quante risorse garantisce per finanziare i servizi? I turisti nemmeno lo sanno, chiusi dentro un quadrilatero in cui mangiano la pizza e la sfogliatella».

L’amministratore unico dell’Azienda napoletana mobilità se n’è andato per impotenza. C’è un buco di 30 milioni, gli autobus sono vecchi di 17 anni, le periferie servite poco e male. La funicolare centrale è chiusa da undici mesi. Pure il capo dei vigili urbani si lamenta perché la metà dei suoi 1.650 uomini ha più di sessant'anni, così di sera le strade sono deserte e gli abusivi fanno i padroni. La differenziata è bloccata al 30 per cento, eppure è il massimo storico, così chi difende de Magistris ribatte che a Madrid va peggio, non si può confrontare Napoli con standard e parametri di Aosta e Trento. Secondo i dati a disposizione del City Sightseeing (il bus scoperto), la percezione dei turisti è migliorata: la pulizia è un problema per 15 intervistati su 100, tre anni fa erano 52. Così siamo di nuovo al dilemma di “chi ci viene e chi ci vive”. Ci viene il cinema. Qui hanno girato negli ultimi tre mesi Ozpetek, Castellitto, Miniero, Angiulli, Salemme. Tra film, serie tv, spot e documentari, a giugno erano aperti una dozzina di set in città, involontaria metafora su ciò che è reale o apparente.

Il Teatro festival ha appena chiuso con il record di 80 mila presenze, 22 mila biglietti a pagamento, costo fra i 5 e gli 8 euro perché, sottolinea Ruggero Cappuccio, direttore, «il festival era già finanziato con 8 milioni di soldi pubblici, dunque tasse dei cittadini: perché far pagare il pubblico due volte?». La cultura come atto politico. «Portare un individuo in teatro significa chiamarlo alla vita. Una città come Napoli, così ricca di storia e cultura, deve fare un lavoro sull'identità. Più si identifica, più si internazionalizza. Più si riconosce, più dialoga. Non deve dimenticare sé stessa, altrimenti è in pericolo. Da anni si celebra la sparizione del popolo, lo straordinario organismo di fruttivendoli stuccatori restauratori indoratori liutai tipografi falegnami: un mondo in via di evaporazione. Perciò il festival ospitava, fra gli altri, un laboratorio di Brunello Leone, l’ultimo artista a lavorare con i burattini. La città vive un momento felice ma io sono prudente. Può essere una tendenza estemporanea. L’individuo a Napoli è molto più individuo che altrove, un grande pregio. Ma siamo come straordinari disegnatori di cravatte senza un negozio né una vetrina. Il difetto è la “logolamentazione“, lo sport di attribuire le colpe ad altri: al Vesuvio, al sangue di san Gennaro che non si squaglia, al colera, alla Cassa per il Mezzogiorno, all'Unità d’Italia. Uno schema cieco. Di fronte a questo affetto internazionale, è invece il momento di ragionare sulla propria identità affinché i giovani rendano duraturo il risveglio».

Quando ai ponteggi dei lavori per la facciata in Galleria Umberto I sono stati tolti i veli, il giallo scelto dalla ditta per il restauro è apparso più di uno. Mutava nell'arco di pochi centimetri, e nelle sue decine di gradazioni quel giallo si trova ancora là, testimone inconsapevole delle tonalità che possono passare fra l’ipotesi di una rinascita e una réclame.

(Venerdì di Repubblica, 21 luglio 2017)

Nessun commento: