mercoledì 27 gennaio 2010

Hanno sparato a Cabañas


Pregate per lui, il nostro centravanti, implora l'intero Paraguay, col presidente della Repubblica in testa. Pregate per lui, per il mio Salvador, scongiura alla radio Maria Alonso, la moglie di Cabañas, trent'anni ad agosto. Hanno sparato al pallone d'oro sudamericano del 2007, l'attaccante che ai prossimi mondiali minacciava di spaventare l'esordio dell'Italia di Lippi coi suoi colpi di testa. È alla testa che l'hanno colpito, nei gabinetti di un bar alle cinque del mattino, qualche ora dopo una partita persa, 2-0 dai Monarcas all'América di Mexico City, la squadra in cui Cabañas è arrivato 4 anni fa, e con la quale è stato per due volte capocannoniere della coppa Libertadores, la Champions del Sudamerica, lui che di gol ne ha segnati 150 in quasi 300 partite, gli ultimi due il 17 gennaio al San Louis.



Cabañas era al Bar-Bar, il più cool fra i locali di Città del Messico, il primo a trasmettere videomusic negli anni Ottanta, lo stesso in cui i tifosi si riuniscono per vedere le partite di calcio dai giorni di Mexico '86, quelli di Diego y la mano de dios. Certe notti ci puoi trovare Bon Jovi o Madonna, ed è il posto preferito dalle stelle del fùtbol. Vanno lì la sera a bere dopo la partita all'Azteca. Per festeggiare o per consolarsi. Salvador si consolava. Era con sua moglie Maria, ormai quasi all'alba, ben oltre l'orario previsto di chiusura (le tre del mattino), e per questo al Bar-Bar ora hanno messo i sigilli. Non c'è traccia dell'arma con cui gli hanno sparato, in testa non c'è il foro d' uscita del proiettile. Calibro 22 o 25. È rimasto dentro. E a sentire Miguel Angel Mancera, il procuratore di giustizia del distretto federale, non c'è neppure un perché. «Non era una rapina. Procediamo per tentato omicidio», l'ultimo aggiornamento. Un testimone si è presentato spontaneamente. Le prime 4 persone fermate sembrano estranee. Michel Bauer, il presidente dell'América ha smentito l'ipotesi di morte cerebrale per Cabañas dopo aver parlato con sua moglie. «Ha accompagnato lei in bagno, lui è entrato in quello degli uomini. Lei ha sentito uno sparo. Non l'hanno lasciata uscire subito, sono passati due o tre minuti, e dopo ha visto agenti, medici e Salvador sul pavimento». Quel che si sa, attraverso l'agente del calciatore, è che Cabañas puntava a lasciare il Messico: c'erano voci di interessamento dall'Inghilterra (il West Ham di Zola e il Sunderland) o dalla Spagna (il Villarreal di Rossi, dove gioca il suo amico Justo Villar). Cabañas è grave. «Ce la faremo», ha sussurrato a Maria mentre lo trasportavano in camera operatoria. Ce la faremo, dice, a restare fuori dall'imbuto di sangue dentro cui passano le vite spericolate dei calciatori del Sudamerica, fenomeni o no, che cosa conta. Nel ' 94 in Colombia uccisero Andres Escobar, il difensore della nazionale che alle spalle aveva 27 anni e la colpa dell'autogol dell'eliminazione ai mondiali. Anchea lui spararono in un bar, era a Medellin. Poi toccò ad Arley Rodriguez e Omar Canas. Faustino Asprilla, l'idolo di Parma, se la cavò chissà come. Una sparatoria fra bande in una discoteca di Belo Horizonte ammazzò il brasiliano Dutre. In Bolivia, sei anni fa, inseguirono l'auto del portiere Leo Fernandez e gli tirarono addosso tre colpi di pistola, perché tre erano i gol che Leo aveva preso, e volevano spaventarlo. Pallone e pistole anche a novembre, quando in un sobborgo di Buenos Aires l' ex nazionale argentino Caceres rischiò la vita in un tentativo di rapina. «Ce la faremo», dice Salvador. «Pregate per lui», chiede il Paraguay, nella drammatica attesa di notizie, loro che fino a ieri aspettavano solo i mondiali e la sfida all' Italia campione.

(la Repubblica, 26 gennaio 2010)

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