giovedì 24 gennaio 2013

Il cinematografo di Ciccio e Peppuccio

Alla fine, quando di pagine non ce sono più, rimane una parola sola. Peccato. Peccato che sia concluso il colloquio tra Francesco Rosi e Giuseppe Tornatore (alla Hitchcock-Truffaut), peccato che Francesco Rosi abbia smesso di fare film. Peccato che tanti dei progetti di cui parla nel libro "Io lo chiamo cinematografo" siano rimasti incompiuti. Ci siamo persi non so se dei capolavori, certamente  altri momenti di discussione. Li ha persi soprattutto l'Italia, che negli anni '60 si fermava a dibattere sui grandi temi sollevati dal regista; addirittura dopo i suoi film nascevano commissioni d'inchiesta in Parlamento.
 "Il cinematografo è troppo serio per essere solo uno spettacolo".
Forse questa è la frase chiave, il passaggio definitivo sulla visione che Rosi ha del suo mestiere, quelli che parlano bene direbbero che è la sua estetica. Ci sono un po' di libri che Rosi cita e indica come desideri, come storie di cui avrebbe voluto occuparsi, spunti non approfonditi, raccolti solo parzialmente. "La nave morta" di Traven; "La galleria" di Burns; "Il contesto" di Sciascia. Avrebbe voluto farne carne viva per i suoi film, così da dividere la verità dalla realtà, per raccontare.
Dice Rosi: “Non tutti hanno capito che per raccontare la criminalità non occorre evidenziare la violenza. La violenza può entrare per un momento, ma per raccontare davvero la criminalità bisogna far capire cos'è il potere. E spiegare che alcuni, specialmente meridionali, per mantenere il potere sono disposti a farsi uccidere. Magari solo per dire una parola che fa tremare chi gli sta intorno o per allungare uno sguardo che sa di minaccia. Lì si gioca la supremazia, si gioca il potere". E ancora: "Coi libri di Gaetano Salvemini, di Guido Dorso o di Carlo Levi, capisci immediatamente perché il Sud è diverso. Capisci la diversità da cosa deriva, a chi puoi addebitarla, che tipo di speranza puoi nutrire nel domani, come devono modificarsi l’uomo e i suoi bisogni. Ti mostrano che i bisogni del Sud, fino a oggi, sono quasi sempre stati ignorati". (...) Io sono del Sud e non lo dimentico mai. Mi sono sempre reso conto dell’arretratezza del Mezzogiorno, della perseveranza delle istituzioni nel non intervenire. Una delle tragedie dell’Italia attuale è ancora questa".
Ma tutto il Rosi privato che trova spazio nel libro è altrettanto meraviglioso. Non ve lo dico, sennò poi che cosa vi leggete? Però mi sono sottolineato due cose.
La sua idea di paternità:
"La vita di un figlio ti appartiene fino a un certo punto. Specialmente la vita di una figlia femmina. Tu hai una bambina, preparati. Non è facile. Perché una ragazza che si innamora... Sì, il padre è il padre, però l’amore è l’amore".
E la sua idea di corteggiamento:
"Ho fatto quello che si fa quando ti piace una donna. Ho cominciato a parlarle".



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