venerdì 2 dicembre 2011

La scomparsa della fanciulla e altri misteri femminili

La soave Mimì aveva il dolce viso di mite circonfuso alba lunar, mentre Violetta custodiva in sé un candido e trepido desire. Traviata o ricamatrice di fiori finti che fosse, un sogno femminile così si sporgeva dagli spartiti di Verdi e Puccini fin dentro le pagine di Marcel Proust e Matilde Serao. La chiamavamo fanciulla, e ovviamente non c’è più. Svanita, sfumata, insieme alla parola stessa, al massimo sopravvissuta fra qualche riga di Alda Merini. “Un buon matrimonio era il coronamento dell’impegno assunto mettendo al mondo una figlia, nei tempi in cui il telefono pubblico a gettoni era un oggetto sufficientemente losco per fare battere il cuore: entrava nella casistica del peccato. Sono passaggi della società”.
E’ Franca Valeri che parla, da regista ha frequentato il melodramma, da attrice ha portato in scena un ricco ventaglio di signorine. Addio pure a loro, i tedeschi non dicono più Fräulein, i francesi mandano in disuso Mademoiselle. E noi? “E noi signorina non lo usiamo più né per le donne avanti con l’età, né per le ragazze che maturano”, ci ragiona Luciana Littizzetto, che al melodramma ha dedicato la sua tesi di laurea universitaria, come all’osservazione dell’universo femminile un bel po’ della sua carriera “da saltimbanco”, le piace dire così. “E’ diventata signorina: una volta si dava l’annuncio della pubertà. Ora le ragazzine sono le prime a dire: Mi è venuto il ciclo. Portano magliette su cui c’è scritto Erotic Girl, e di lì a diventare una escort il passo è poi brevissimo”. 

Per capire cosa sia successo bisogna riavvolgere il tempo, tornare a quel periodo fra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta, così sostiene Franca Valeri, quando sulle fanciulle d’Italia si abbattono due novità. “La televisione e il divorzio. Senza tv ci si rifaceva al tipo di educazione ricevuto dalle proprie madri, e dunque a una linea che aveva un asse ereditario con l’Ottocento”. Il galateo, l’inchino, il ricamo, le suore. “I nervosismi fra i genitori sfuggivano ai figli, ora le coppie si separano sotto i loro occhi”. E dopo, come dice Luciana Littizzetto, “dopo siamo venute noi, le figlie di Grecia Colmenares, di Sentieri e Beautiful”. Ora, sulla preparazione alla vita di figliole e signorine, Franca Valeri e Luciana Littizzetto hanno scritto a quattro mani un saggio sotto forma di dialogo, L’educazione delle fanciulle. Una racconta gli anni Trenta visti dalla sua finestra aperta sul mondo alto-borghese, l’altra gli avvenimenti più recenti, vissuti in un ambiente popolare, “dove circolava la leggenda che se si faceva l’amore e subito dopo si saltava la corda era molto difficile, se non impossibile, restare incinte”.

“Ci siamo conosciute una ventina di anni fa – racconta Luciana - io aprivo un suo spettacolo al Ciak di Milano. Per me un onore, un’emozione enorme. Franca arriva sul palco, un applauso pazzesco scoppia in sala, e lei lì immobile, davanti al microfono, dice: Beh, un filino me lo aspettavo. La seconda volta ci siamo trovate a un tavolo di un ristorante russo, era in compagnia del suo cagnolino, seduto con noi, abbaiava, e lei gli fa: Roro, smettila, non essere ridicolo”.

Franca Valeri dice di essere stata “una fanciulla insolita, in una casa dove si respirava una cultura aperta, mica la saputelleria”. Luciana Littizzetto si racconta come “una ragazza svitata, obbediente, ma trasgressiva”. Voleva fare l’attrice, la iscrissero a danza ed è finita a studiare pianoforte, “per non sentirmi più ripetere: e siediti, siediti”. Una ricorda “gli amatori irreali senza volto, assorti, magri, eleganti, discreti: era così il principe azzurro negli anni Trenta”. L’altra confessa il suo debole per Miguel Bosé, Cabrini e Potsie di Happy Days, “Franca, tu andavi alla Scala e ti rifugiavi nella grande letteratura, io Potsie!”. E oggi? Oggi Franca Valeri confessa che di ultime fanciulle in giro non ne vede (Luciana urla: “Non dire la Santanché, per favore”). “Si sono mascolinizzate. Gira e rigira, il simbolo resta un paio di pantaloni”. Rivelazione: “Io non li ho messi mai. Ma proprio mai. Ho la certezza che mi stiano male, un ragionamento che ormai mi pare le donne non facciano quasi più. Mia madre li indossava, invece. Li portava d’estate, al mare. Io la imploravo: Oooh, ti prego, non farmeli neanche vedere. Non li ho mai indossati neppure in scena. Tanto i testi me li scrivevo da sola, i pantaloni non li rendevo mai necessari”. Luciana invece ricorda ancora le zitelle che si presentavano nella latteria dei suoi genitori, “ordinavano la panna e io me le immaginavo in casa che ne davano un po’ anche al gatto, mentre oggi le single provocano anche invidia per la vita movimentata che sostengono”.

La fanciulla ai tempi del Grande Fratello, come dice la Valeri, “pare sia impossibile da tenere alla larga dalla conoscenza dell’amore, mentre un tempo era il tratto caratteristico della sua condizione”. E non parlate di matrimonio in abito bianco, alla Littizzetto: “Se l’hai data via come il granturco ai piccioni di piazza San Marco; se l’hai distribuita a mani piene come quelli dell’Anas quando buttano il sale d’inverno; se bastava darla una volta, e per sicurezza la davi anche due: poi ti metti l’abito bianco?”. La comicità, ecco. “Anche quella è sempre stata un’arma maschile – dicono – a noi donne semmai si addiceva il dramma in teatro, la tragedia, forse anche per questioni ormonali”. Eppure la comicità per loro è stata un richiamo, mica come la politica. Alla Littizzetto, lo dice a mezza voce, qualche candidatura è stata offerta. “A me no”, ribatte la Valeri, “non mi attira, la donna forse ha più bisogno di certezze, certezze che la politica non consente”. Eppure, il potere sarebbe in mani migliori a sentire Luciana, “perché con più donne al comando ci sarebbero meno guerre. Una fanciulla non tirerebbe mai una bomba. Fa polvere. Lascia tutto in disordine. Mi piace la Merkel, mi pare una signora capace di fare il suo mestiere. Forse in Italia noi donne abbiamo perso il gusto di votare altre donne”. Oppure, come giura Franca Valeri, “la politica è diventata a lungo un pretesto, un campo in cui muoversi accompagnate da favoritismi. Lo trovo detestabile”.

L’ultima metamorfosi delle ex fanciulle è in una visione mostruosa della Littizzetto. “Abbiamo già i baffi, ci manca solo la prostata”. Incubo che la Valeri rigetta: “L’uomo ha tante difficoltà, perché accollarsele? A me piaceva quella antica differenza: estetica e poetica”. Luciana le sfila un capello dalla spalla, sono sedute accanto, il divano è quello di casa Valeri sulla collina Fleming a Roma. Si fanno complici: “Noi non abbiamo mai avuto l’invidia del pene. Nostalgia, qualche volta”. Franca sussurra: “Luciana, ma questo è il tuo terreno”. E dalle fanciulle il filo del ragionamento conduce dritto a Silvio Berlusconi, ai giorni in cui Veronica Lario parlò di “figure di vergini che si offrono al drago per rincorrere il successo, la notorietà e la crescita economica”. Per la Valeri “il vecchio governo non c’è più, ma resta la sensazione amara di non fidarsi”, e Luciana ripensa “al più figo del Paese rimasto così solo, senza neppure una nipote di Mubarak accanto”. Mimì e Violetta sono perdute per sempre.

(Il Venerdì, 25 novembre 2011)

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