mercoledì 3 maggio 2017

Noi e i maccheroni di Ettore Scola

Rotonda Diaz. Scola sul set con Mastroianni e Lemmon
La rappresentazione di Napoli al cinema/1

Quando uscì Maccheroni, Napoli aveva perso da un mese Giancarlo Siani, il cronista del Mattino ucciso dalla camorra. Eravamo nel pieno di una nuova risacca sul tema: la città, la sua "razza", la sua plebe, la sua borghesia, l'industrializzazione fallita, l'immondizia in strada (l'immondizia in strada - 1985), la resa delle giunte di sinistra (per tutti: Mino Fuccillo, su Repubblica). Il sindaco Carlo D'Amato intervenne con una lettera in cui giudicava falsa "l'idea che Napoli sia una specie di caso atipico, di sistema sociale irrazionale, di realtà ambigua e sfuggente in cui mancano le solide certezze vigenti invece altrove... ecco allora che Napoli diviene una città senza classe operaia, una città con una classe politica rifiutata dalla città, con una presenza di massa di agenti camorristici: una specie di arena selvaggia in cui si affrontano protagonisti irreali".
Questo il quadro. Ottobre 1985. E arriva Maccheroni. Regia del maestro Ettore Scola.

Quando al cinema uscì Maccheroni di Ettore Scola, noi ventenni di allora eravamo giovani talebani del troisianesimo, tutti presi dalla foja di combattere accanto al nostro profeta la battaglia contro i cliché e i luoghi comuni. Chi era il nemico? Qual era la rappresentazione di Napoli contro cui venivamo chiamati a scendere in campo con tutte le forze?
Pure se reduci da decenni di sceneggiata e di poliziotteschi, al centro della scena culturale d'allora e dell'industria dell'intrattenimento non dominava già la cartolina nera. Negli anni '80 la satira di Troisi prendeva ancora di mira il racconto di una città fatta di sole, colori pastello, pizza e mandolino. Perciò Maccheroni, sin dal titolo, a noi talebani del ricomincio-da-tre pareva un ammiccamento a una certa idea di Napoli, di facile consumo. Non c'era verso di farci ragionare. Scola nel film mostrava l'eccellenza dell'Aeritalia e le cravatte di Marinella, e noi niente. Magnificava le virtù di un autobus comodissimo con cui arrivare a Bagnoli (doveva trattarsi del 150), e noi insensibili pure a questo. Scola firmava finanche l'atto rivoluzionario di far cadere pioggia su Napoli - su Napoli, nel 1985 - , dopo 86 minuti di film, a vico Anticaglia: ma noi testardi, fermi sul punto, per niente disposti a perdonargli niente, men che meno la scena in cui Mastroianni rimpiange di non aver portato Lemmon a vedere le estrazioni del lotto, il ritorno dei pescatori all'alba, le sfogliatelle di Pintauro. La Napoli con la scolla in fronte e con le botte a muro in tasca. Oi Marì, oi Marì cantata alla Bersagliera.

A rivederlo oggi, Maccheroni non meritava il nostro accanimento e quella nostra furia estremista. Dentro c'è una Napoli vera, verissima, e pazienza se sgradita. La Napoli a cui piace recitare se stessa, la città della auto-parodia che diventa tentazione fortissima quando arriva il momento di mostrarsi. Le macchine ferme nel traffico, quelle che passano col rosso, l'esattore del lotto clandestino che si chiama Palla di Riso. Quelle banali vicende quotidiane che i napoletani descrivono come se fossero il centro del mondo, soltanto un poco meno intense del Vietnam. C'è anche un interessante passaggio in cui viene negata la presenza della malavita: "Quelli non sono napoletani, è gente che viene da fuori, dal nord". Napoli città bella e corrotta, dice Mastroianni, d'amore e di camorra.

Scola scelse Napoli perché gli pareva il luogo perfetto per una storia in cui ci fosse conflitto tra il mondo dell'utilità e il mondo degli affetti. I creativi e i ragionieri. Chi eravamo noi e chi volevamo essere? Persi dietro Troisi, eravamo in quella fase della vita in cui sognavamo di essere meno affabili e più affidabili. Volevamo essere napoletani senza il piatto di spaghetti a tavola. Ma Troisi perse la sua battaglia, oggi è evidente. Con Scola poi fece tre film. Chissà se hanno mai parlato di questi maccheroni.

Ho scoperto, rileggendo certi articoli di trent'anni fa, che Scola girò ogni scena due volte per due edizioni diverse del film. In una delle edizioni Mastroianni parla in inglese con Lemmon e in napoletano con i personaggi napoletani. 

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