mercoledì 2 settembre 2015

Quando un colpo di tacco non è vanità

L'assist di tacco di Meggiorini in Chievo-Lazio
L'assist di tacco di Meggiorini in Chievo-Lazio

IN fondo un assist che cos’è: il punto più alto nella domenica di una squadra riuscita, il segno di un’intesa, della sua concordia. Il narciso dribbla, il generoso passa. Riccardo Meggiorini tutt’e due. Ha due anime in un corpo solo. Vede questo pallone che sta scappando oltre la linea di fondo e interpreta la scena come se fosse dentro una di quelle vite che piacciono tanto a Ligabue. Gonfia polmoni da mediano, lui che sarebbe un attaccante, e si mette a inseguire la palla come l’assoluzione un peccatore. Non solo. Quando s’accorge che l’unico modo d’afferrarla sarebbe lanciarsi in scivolata, una volgarità da stopper di provincia anni Settanta, lui proprio in scivolata si lancia, a costo di perdere ogni traccia di nobiltà e passare per gregario. Ecco. Quello è il momento in cui si sdoppia Meggiorini, l’istante in cui all’estetica della fatica sostituisce la dimensione del sollazzo. Dentro un’azione di fango infila una vena d’oro. Adopera l’unica parte del corpo che nel calcio può farti passare per un genio o per un cretino, il tacco, dipende solo da te, da come lo usi, e quando; la parte che più d’ogni altra s’identifica con l’egocentrismo e la frivolezza; ma trasformando così un colpo colmo di vanità in un gesto d’altruismo. Assist di tacco, di controbalzo e senza guardare. No-look direbbero al basket. Troppo. Il capolavoro è suo, il gol di Paloschi. Come commentò Pablito Rossi a proposito del cross di Bruno Conti nella semifinale mondiale ‘82 con la Polonia, sul pallone c’era scritto: “Basta spingere”.

Come una spalla a cinema o a teatro, l’uomo dell’assist fa da filtro. Accompagna, detta il ritmo, crea l’attesa del gol, della risata. La bravura sta nel prendere il tempo, nell’assecondare l’estro. Intere carriere sono state consacrate alla disponibilità verso il compagno. Carlo Campanini, Mario Castellani, Bombolo. Cosa sarebbero Luke e Leila senza Chewbecca? Carmelo Bene divinizzava il lampo: «Un assist è più interessante di qualunque attimo di teatrante internazionale». Per la verità diceva un assist di Maradona, ma era il passaggio al compagno che Bene trovava ludico: «Recupera l’equivoco del mito». Il calcio riconosce l’arte dell’assist appena da 30 anni. La Fifa iniziò a raccogliere i dati solo dal Mondiale ‘86. Ci scherzò su Héctor Adolfo Enrique, difensore dell’Argentina, quando contro l’Inghilterra appoggiò sciattamente il pallone fra i piedi di un marcatissimo Maradona, obbligandolo all’impossibile. Quello partì per il suo gol più celebre, 60 metri, una veronica e cinque avversari dribblati, e alla fine si sentì dire: «Sfido che hai segnato, con l’assist che ti ho fatto». Quattro anni prima, non ancora censito, Paulo Roberto Falcão aveva servito di tacco al volo un assist per la testa di Pruzzo in un Roma-Fiorentina. Quasi si scusò della sua grandezza: «Era l’unico modo per passargliela».
L’assist di Meggiorini sembrerebbe la foto di un’irripetibilità, lo scatto simbolico di questo momento singolare, in cui il Chievo è primo e la Juve ultima; per giunta una giocata fatta con il 69 dietro la schiena, l’unico numero che si legge nello stesso modo anche al contrario, mentre al contrario ci pare ora di leggere la classifica. Se non fosse per il fatto che già un anno fa Meggiorini usò il tacco per un assist, sempre per Paloschi, contro il Palermo, una delizia al volo, da metà campo. Del resto, si sa, pure Peppino in certe scene era più bravo di Totò.
(la Repubblica, 1° settembre 2015)

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