L'unica cosa che Defrel sbaglia, accade dopo il fischio dell’arbitro. Fin lì era stato perfetto. Tocco al volo all’indietro verso Duncan e scatto in profondità per farsi ridare la palla. Quattro passaggi di prima del Sassuolo e il suo bel sinistro pieno, sonoro, compiuto. Ancora non sa Defrel, mentre tira, che ha scritto “gol” sulla sabbia. Sarà pure il più bello della sua vita, ma dura un attimo. Glielo annullano.
L’uomo che in questa storia non ha cuore si chiama Michael Fabbri, fa il geometra progettista edile a Faenza, e a 32 anni avrebbe l’occasione per riscattare un’intera categoria dai cliché sulla natura algida a cui ti costringe la professione. Non lo fa. Del resto viene descritto come un uomo che sorride poco, figuriamoci se si lascia abbagliare. Se poi il geometra è anche arbitro, a cosa deve badare? Alla misura, l’ordine, la norma. E' nelle cose. E allora fischia.
Il guardalinee lo ha messo sulla cattiva via. Cresciuto a Ravenna tra mosaici, mausolei, battisteri e la tomba di Dante, lui - l'arbitro - potrebbe mostrare confidenza con lo splendore, invece niente. Fuorigioco gli dicono con una bandierina alzata, e lui fischia. Senza sapere, poverino, che neanche c’è. Possiamo vederlo noi da casa, con la moviola che non si chiama più moviola, con la riga virtuale e dritta che parte dall'alluce del difensore e separa il bene dal male, la ragione dal torto. Ma l'arbitro è laggiù, da solo, esposto all'errore, e stavolta il più grave di tutti: cancellare la bellezza.
Il guardalinee lo ha messo sulla cattiva via. Cresciuto a Ravenna tra mosaici, mausolei, battisteri e la tomba di Dante, lui - l'arbitro - potrebbe mostrare confidenza con lo splendore, invece niente. Fuorigioco gli dicono con una bandierina alzata, e lui fischia. Senza sapere, poverino, che neanche c’è. Possiamo vederlo noi da casa, con la moviola che non si chiama più moviola, con la riga virtuale e dritta che parte dall'alluce del difensore e separa il bene dal male, la ragione dal torto. Ma l'arbitro è laggiù, da solo, esposto all'errore, e stavolta il più grave di tutti: cancellare la bellezza.
Se negli anni ottanta agli uomini di cinema parve una barbarie veder spezzato un film (“non s’interrompe un’emozione”), che cosa dovrebbero allora dire quelli del calcio, messi ogni tanto dinanzi a un’operazione finanche più estrema e cruenta. L’ingiusta cancellazione di un capolavoro. La prima volta capitò a Rummenigge, capace in un’Inter- Rangers Glasgow (ottobre ‘84) di galleggiare nell’aria per qualche istante e di colpire la palla con un gesto che non si sa ancora definire: spaccata o rovesciata? Senza alcuna pietà, l’arbitro preferì posare lo sguardo sul fuorigioco di posizione di Altobelli, e annullò. Hansi Müller andò a portare conforto con la forza di una di quelle frasi nutrite dallo stereotipo: "Solo un tedesco come noi poteva annullare un gol così". L’arbitro verso il quale si prendeva questa libertà era Volker Roth, grossista d’acciaio e di prodotti sanitari, e veniva da Chemnitz, che stava ancora dall’altra parte del muro: un uomo comunque dotato di una discreta faccia tosta, giacché si presentò poco dopo nello spogliatoio, toc toc permesso, a chiedere la maglia a Rummenigge.
(la Repubblica, 29 settembre 2015)
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