domenica 5 luglio 2015

L'Argentina e gli angeli senza la faccia sporca


Perdere due finali in due anni ammazzerebbe chiunque. Se la cosa succede all’Argentina, la squadra che vale 600 milioni di euro e che può permettersi tutti insieme Messi Agüero Di Maria Tevez Lavezzi e Higuaín - senza segnare neanche un gol nei 240 minuti (4 ore) delle due finali – bisogna provare a chiedersi che cos'è successo a Rio e a Santiago.
Bisogna prima di tutto avere il coraggio di rispondersi che certezze non ce ne sono. Spesso la ragione più comune si chiama caso. Se fra sei mesi rigiocasse contro Germania e Cile, magari l’Argentina le vincerebbe tutt’e due. Ecco. A voler abbozzare un’indagine, bisogna partire proprio da questo sospetto, dall’idea che la squadra dei 600 milioni può davvero battere chiunque, ma non sempre: un giorno non è uguale a un altro, una partita non è uguale a un'altra per questa generazione di campioni che in un decennio ha giocato otto tornei, arrivando cinque volte seconda. Una squadra “senza fuoco” sintetizza stamattina Walter Vargas su Olé, il quotidiano sportivo d’Argentina. La colpa è sparire quando la sera diventa speciale. Una squadra che ha messo insieme una collezione di fotografie di lacrime e teste chine. Nel frattempo si sono alternati sette ct: Bielsa, Pekerman, Basile, Maradona, Batista, Sabella, Martino. Con gli stessi risultati. All’Argentina manca un titolo da 22 anni. L’Argentina era per la generazione degli anni ’50 la nazionale degli “angeli con la faccia sporca”. Sivori Maschio Angelillo. Il trio che vinse il Sudamericano in Perù. Bravi e canaglie. Gli angeli in Argentina abbondano ancora, sono le facce sporche che il tempo ha slavato. I cattivi sono spariti dalla scena. Non di mascalzonate si parla, non di quell’Aguirre Suarez che arrivò a farsi squalificare trenta giornate per aver colpito Combin in una finale di Coppa Intercontinentale; ma di spietati. Di crudeltà agonistica. Dei Passarella, i Tarantini, i Ruggeri: questi non ci sono più. Tre anni fa la Bild ha compilato la lista dei 15 calciatori contemporanei più implacabili: neppure un argentino. Nelle statistiche dell’ultima stagione relative ai cinque principali tornei europei, fra i venti giocatori più fallosi non c’è neppure un argentino. Forse è una traccia per capire. Forse. L’Argentina d’oggi vive nel grandioso Messi, che quando mette la maglia della patria da cui è andato via bambino perde i super poteri. Ai Mondiali in Brasile la nazionale ha passato il girone aggrappata a lui. In Cile l’ha trascinata lui contro Colombia e Paraguay. Ma arriva il giorno dei giorni e pure Messi s’acquatta, si diluisce, diventa opaco.
ole Passare dal podio alla terra è la regola per Messi, ha scritto Enrique Gastañaga sul Clarìn, ed è inutile gettargli addosso “l’eroismo fisico che ci metteva Maradona", perché Messi è diverso: “Pensa in modo diverso. Vive in modo diverso”. Leo Farinella, sempre su Olé, sostiene che “essere il migliore non dà solo diritti, ma obblighi”. L’Argentina d’oggi vive nel buco dentro cui s’è infilato Higuaín, magnifico campione che ora mostra un limite nel temperamento. Ha un filotto ancora aperto di errori, una galleria che parte dal gol sbagliato nella finale Mondiale, passa per i gol divorati nella semifinale europea con il Dnipro, il rigore decisivo sbagliato all’ultima giornata con la Lazio, fino all’occasione avuta al 93’ col Cile e a un altro rigore calciato in cielo. La stampa argentina lo ha scaricato. Lo chiama un anti-eroe, “la sintesi dell’impotenza in area”. Gli altri? Agüero, capocannoniere in Premier League, è stato annullato dai cileni senza problemi, senza neppure ricorrere al Metodo Jara sperimentato con Cavani. Pastore ha avuto 3 in pagella. Lavezzi 4. Gira e rigira il rimpianto rimane Tevez, fuori contro il Cile così com’era stato escluso dai Mondiali. Ma Carlitos, che in teoria sarebbe calcisticamente il più empio di tutti, ha trascorso lunghi anni in Europa senza riuscire a segnare nel torneo più importante, la Champions. A questa generazione che si scioglie quando le gambe non dovrebbero tremare, insomma lui stesso non è estraneo. “Voglio scappare in un posto dove non vedere nessuno”, dice adesso Mascherano, l’unica figura accostabile al prototipo che a questa squadra manca. Lo sponsor che veste la Selección aveva comprato pagine di pubblicità sui quotidiani per il giorno dopo la finale. Scegliendo uno slogan neutro. Vago. “Sempre orgogliosi di voi”. Nel dubbio. Conoscendoli.

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