sabato 9 agosto 2014

Storia di Johnny e del rigore parato a Ibra

Zlatan Ibrahimovic psg Johnny crede di non avere cose eccezionali da raccontare, niente che possa lasciare a bocca aperta i nipoti intorno al fuoco, sempre che i nipoti un giorno verranno e che per l’epoca ci sia ancora un fuoco intorno a cui raccogliere la famiglia. Nulla di cui vantarsi, serate meravigliose Johnny non ne ricorda. Fino a venerdì, fino al momento in cui Zlatan Ibrahimovic si presenta davanti a lui, pallone a undici metri, calcio di rigore. Johnny è ancora giovane eppure è tanto vecchio. Ha 26 anni e da quando ne aveva 12 gioca a calcio in Francia, prima a Le Havre, dove ha incrociato Paul Pogba e dove per i portieri hanno un discreto fiuto, se lì hanno cresciuto Mandanda (oggi titolare a Marsiglia) e Boucher (numero 1 a Tolosa).


plac2  La famiglia di Johnny viene da Haiti, lui è nato a Montfermeil, 25 chilometri da Parigi, “una località tranquilla e graziosa, su nessuna strada maestra, vi si viveva a buon mercato quella via contadinesca, opulenta e facile; solo, era scarsa l’acqua, per via dell’elevazione della spianata”. Questa almeno è la Montfermeil di Victor Hugo, che ne fece la sede della locanda dei Thénardier ne “I miserabili”. Poi sono arrivare le rivolte delle banlieu, diciamo quasi 150 anni dopo, e Montfermeil è tornata dentro le nostre teste, giusto per farci dire ma io questo posto l’avevo già sentito. Johnny, per tornare a lui, non è uno che si dà arie. Per dire. Quando a Le Havre lo eleggono miglior portiere della serie B francese, 23 partite in due anni senza prendere gol, lui ci pensa su e dice di sentirsi l’immagine della squadra. “Tutti dicono che ho giocato un grande campionato. Ma io penso che se un portiere gioca un grande campionato, la sua squadra non può piazzarsi quattordicesima, dovrebbe essere un po’ più su, diciamo anche molto più su”. Ora. Sorvolando sul fatto che Johnny in realtà ha torto marcio, nel senso che un portiere può giocare una straordinaria stagione proprio perché sta fra i pali di una squadra da 14esimo posto, e su 10 tiri che gli arrivano ne para 7 e però prende 3 gol, ecco, sorvolando su tutto questo, di Johnny va apprezzato lo spirito con cui dice le cose. Se non il candore, chiamiamola l’onestà. Che suona pure assai meglio. È onesto Johnny anche quando da Le Havre vuole andar via. “Sono arrivato giovanissimo qui, ho fatto tutta la trafila delle giovanili, ho trascorso dei momenti bellissimi, eppure adesso penso due cose. La prima è che mi piacerebbe respirare un’aria differente. La seconda è che sento di doverlo fare senza sputare sul club in cui sono cresciuto”.
Il rigore parato a Villaluz
Il rigore parato a Villaluz
 A parte tanta nobiltà d’animo, Johnny è sempre il ragazzo che fin qui ha poco da raccontare. Certo, potrebbe andare in giro a farsi bello con quella partita giocata contro il Messico quando era nella nazionale olimpica di Haiti, qualificazione ai Giochi olimpici di Pechino. È il giorno in cui il Messico deve vincere con 5 gol di scarto per andare allo spareggio con gli Usa, al posto del Canada. Johhny si mette di traverso. Non si può dire che pari tutto, perché 5 gol li prende, ma i suoi compagni ne segnano uno e i messicani non riescono più a batterlo. Johnny para un rigore a Cesar Villaluz, ex bimbo prodigio che a 4 anni giocava nel Real Angeles, la squadra del suo barrio a Città del Messico. È decisivo, insomma. Ma non per Haiti. Johnny è decisivo per i canadesi. Sai che impresa. Infatti loro, i canadesi, lo coprono di elogi e di ringraziamenti. Di lui dice Mick Dasovic, l’allenatore: “È stato incredibile, non so dove giochi quel portiere, ma merita un contratto in qualunque posto del mondo”.

placide    La Francia Under 21 lo chiama. Lui va. Ma Haiti, la nazionale maggiore, continua a stargli dietro. Lo convincono. Il richiamo delle origini. Ci fregano sempre, con le origini. Johnny del resto è il ragazzo scoppiato in lacrime, in campo, durante un minuto di silenzio per il lutto del suo popolo, dopo il terremoto del gennaio 2010. Piange e veste una maglia ricordo. Se Haiti chiama, John dice sì. Dice sì in tempo per le qualificazioni ai Mondiali in Brasile. Novembre 2011. A Saint John’s, capitale di Antigua e Barbuda, è il titolare della squadra a cui basta un pareggio per passare al turno successivo e continuare a sperare. Fino alla partita precedente aveva giocato Steward Ceus, un ragazzone di New York, naturalizzato haitiano. Il ct pensa che Johnny, con le sue lacrime, il suo senso per la patria, eccetera eccetera, in un giorno tanto importante sia l’uomo giusto per stare lì, in porta, per dare qualcosa in più. Vuoi mettere. L’erede di Francillon. Solo che Johnny, minuto 83, su tiro da lontano di Kerry Skepple, uno che si guadagna da vivere prendendo a calci il pallone nella serie B della Finlandia, fa quello che non deve. Mette il guanto destro e sguish, gli capita l’effetto saponetta. Quel giorno lì. 1-0 Antigua, Haiti fuori, il ct se lo vorrebbero mangiare. E pure Johnny. Al Reims si tappano gli occhi e gli fanno firmare un contratto a gennaio 2013, quando devono prendere uno a gettone perché il togolano Kossi Agassa va un mese in Coppa d’Africa. Johnny gioca 4 partite e al ritorno di Agassa capisce che è finita lì. La prende con filosofia e con malinconia. “È il lavoro della riserva”. Ne gioca altre 4 nel campionato scorso, giusto perché Agassa si infortuna. Entra, la squadra ne vince tre, poi torna a risedersi. In silenzio. Alla Johnny. I giornali lo danno riserva pure per il nuovo campionato, quello che il Reims comincia contro il Psg. Ma dal tunnel, venerdì sera, spunta lui. Titolare. Agassa è in panchina. Stavolta il rigore che para non serve ad altri, ma alla sua squadra. Peraltro stavolta non è Cesar Villaluz che calcia ma Zlatan Ibrahimovic, insomma, capirete che non è uguale. Johnny ci va con il guantone sinistro, lo prende e sulla respinta si butta con tutto il corpo. [il video] Ci sono sere in cui la vita fa belle capriole. Paris non vince, quello Steward Ceus oggi è disoccupato, forse Agassa in porta non ci torna più. O forse sì, magari ci torna, però adesso Johnny, Johnny Placide, almeno una storia per i nipoti ce l'ha.

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