Dovevo fare quel che feci. Per me, per noi, per la nostra comunità, per la mia Irlanda. "Facci adunque un Principe conto di vivere e mantenere lo Stato: i mezzi saranno sempre giudicati onorevoli, e da ciascuno lodati". Lo ha scritto Machiavelli, e quel giorno del resto eravamo in Italia. Palermo, 17 giugno 1990. La nostra seconda partita del girone. Contro l'Egitto. Eravamo in un girone dove pure un soffio avrebbe rotto l'equilibrio. Due pareggi alla prima giornata: noi contro gli inglesi e gli olandesi contro gli egiziani. Passavano le prime due, più le migliori terze. Insomma, sarebbe stato meglio vincere, ma la prima cosa da fare era non perdere. Con ogni mezzo.
Più tardi seppi che Timofte aveva cambiato proprio quel giorno il suo consueto modo di tirare. A metà campo, il suo compagno Lupu, che aveva calciato il secondo, lo aveva convinto del fatto che io avessi mal di schiena, pare che lo avesse dedotto dai miei movimenti sulla linea. Timofte aveva l'abitudine di calciare centrale, forte e dritto, confidando nel fatto che noi portieri ci lanciamo sempre in anticipo su un lato, o di qua o di là. Lupu gli disse Non farlo, guarda che lui se ne sta fermo sulla linea fino all'ultimo, ha la schiena a pezzi, meglio se vai convinto e scegli un angolo. Timofte lo ascoltò, confermando la mia idea che se devi sbagliare, è meglio farlo con la testa propria.
La foto di quella parata è dentro le pareti di non so quanti pub in Irlanda. Se sono Packie Bonner, lo sono per quella parata. Non per i passaggi all'indietro. E' andata peggio al povero Timofte. Gli ubriachi andavano a sfasciargli i vetri delle finestre di casa, in strada i passanti indicavano i suoi genitori, guarda quella è la mamma di Timofte, il cane che ci ha buttato fuori dalla Coppa del mondo. Mi spiace, ma li avevo buttati fuori io, diventando a Dublino una specie di eroe. La nostra economia era debole in quei giorni, eravamo circondati dal pessimismo, essere lì contro il resto del mondo, a batterci, con le nostre piccole mani nude, aiutò gli irlandesi a sentirsi un popolo migliore. Il calcio può essere importante per una nazione, chiamatemi ingenuo, ma io lo credo davvero. Mezzo milione di persone ci accolse quando rientrammo in Irlanda, dopo il quarto di finale perso con l'Italia, 1-0, non crollammo, maledetto Schillaci. Se ripenso al Mondiale del '90, mi accorgo che avevo trent'anni. A trent'anni pensi che sarai sempre così, così in forma, dico, non pensi al tempo che passerà e che ti renderà vulnerabile. Quando morì il mio amico Burns, fu uno shock. E lo stesso fu quando Sheedy mi disse che doveva curarsi, per un cancro pure lui, come Burns, e McLoughlin lo stesso. C'era stato un periodo in cui la mia parata su Timofte mi imbarazzava, tutti volevano parlarne, era diventata un'ossessione. Poi ho capito che quella parata e il mio nome potevano essere spese nelle campagne contro il cancro. Tremila persone si ammalano in Irlanda ogni anno, diciassettemila vivono con il male. Questa è la partita che oggi mi va di giocare. Senza passare il pallone all'indietro.
(Come per l’intera serie, le parole liberamente attribuite a Packie Bonner sono state ricostruite attraverso libri, interviste e altre fonti storiche, e sono tutte ispirate a fatti realmente accaduti)
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