lunedì 20 febbraio 2012

Alessandro Siani, l'Accademia della Crusca e la prospettiva di un accento

Ora. La comicità di Alessandro Siani può piacere o non piacere. Oppure può piacere a volte sì e a volte no. Sul "Corriere del mezzogiorno" di ieri, Antonio Fiore ha scritto che sul palco del festival l'attore napoletano ha concesso "un quarto d'ora di spasso intelligente" - anche se con qualche battuta non originalissima - chiudendo poi con la retorica del siamo tutti italiani, e il nord, e il sud, la stessa barca, eccetera eccetera.

Sempre ieri, sul "Corriere della sera", contemporaneamente, Aldo Grasso gli dava 4 nelle sue pagelle, con il seguente giudizio: "Riesce nella difficile impresa di fare un monologo senza azzeccare nemmeno una battuta. Strappa l'applauso dell'Ariston solo quando cede al demagogico e perora il tema dell'unità nazionale. Ma il primo dovere per un'Italia unita non sarebbe quello di parlare una lingua unitaria?".
Dunque Grasso dedica a Siani tre periodi. Che vogliono essere rispettivamente un giudizio, un dato di cronaca e un quesito da dibattito.
Il primo - il giudizio - è soggettivo. E' un'opinione. In quanto tale contestabile. Ciascuno avrà la sua. A Grasso, Siani non fa ridere. Pazienza. Ora lo sappiamo.
Il secondo - il dato di cronaca - è falso. Non è vero che Siani ha strappato l'applauso dell'Ariston solo nell'appendice patriottica.
Il terzo - il quesito da dibattito - è la cosa più interessante di tutte. Rileggiamo.
Ma il primo dovere per un'Italia unita non sarebbe quello di parlare una lingua unitaria?
Intanto: dovere. Dovere perché? L'Alto Adige è parte dell'Italia unita, ma nei suoi atti amministrativi adotta anche il tedesco. La Valle d'Aosta è parte dell'Italia unita, ma nei suoi atti amministrativi adotta anche il francese. Lo stesso Stato unitario italiano riconosce che sul suo territorio si parlano anche altre lingue romanze come il sardo, il catalano, l'occitano, il friulano, il ladino, il franco-provenzale.
Per alcuni linguisti esiste inoltre un gruppo di lingue non riconosciute e non assimilabili ai dialetti d'Italia, dei quali - per inciso - si fa spesso uso rozzo e strumentale. Sono: la lingua piemontese, la ligure, la lombarda, la veneta, la napoletana, la siciliana.
Potrebbe sembrare incredibile, eppure è vero, ma i padri della Costituzione repubblicana sorvolarono sulla necessità di dare una lingua ufficiale - una lingua doverosa - alla Repubblica italiana. Non parve a loro un'urgenza di fronte a quel meraviglioso impasto che è il tessuto linguistico italiano, la cosiddetta "lingua tetto", nata spontaneamente dalle comunità locali, partendo dall'opera di Dante, e Petrarca, e Boccaccio; con l'apporto della Sicilia, del Veneto di Bembo, dei bolognesi, del Piemonte, degli illuministi napoletani, e poi certo la cucitura ottocentesca di Manzoni. Questo è l'italiano. Se non questo, cosa?
I padri della Costituzione repubblica non se la sentirono lo stesso di codificarne l'ufficialità politica. Perché? Probabilmente perché la lingua unitaria era stata un'ossessione molto molto radicata e molto molto viva negli anni Venti. Sei anni fa, sul tema, l'accademia della crusca venne interpellata dalla commissione affari costituzionali della Camera, che chiedeva un parere sulla modifica dell'articolo 12 della Costituzione, proprio in riferimento al riconoscimento dell'italiano quale lingua ufficiale. L'Accademia scrisse che il riconoscimento sarebbe stato di certo un gesto opportuno a auspicabile, ma avvertì: "Di questa particolare mobilità dell'italiano, risultato della sua singolare storia di formazione, sarà piuttosto il caso di ricordarsi quando si dovessero riaffacciare i propositi, inaccettabili, di sottoporre la nostra lingua a una sorta di normazione ufficiale". (la sottolineatura è mia)
Del resto, l'ultimo grande italiano premiato con il Nobel per la letteratura è stato Dario Fo, che non è proprio un simbolo di lingua monolitica, non è esattamente il primo parlante che mi verrebbe in mente per la lingua monofona cui accenna Grasso. Che lingua è quella di Pasolini? Quella di Gadda, di Verga, di De Filippo, di Fenoglio, di Camilleri?
E allora. Alessandro Siani può non piacere, ma il punto non è la sua lingua. Perché alla fine va pure detto che in realtà Siani si è esibito proprio in quello che chiamiamo italiano nell'Italia unita, facendo delle battute in un dialetto/lingua non riconosciuta. Come peraltro da lunga tradizione comica.
A meno che il punto non sia un altro.
A meno che il punto non sia il suo accento.
Non voglio credere.
Per i curiosi: Alessandro Siani.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Il grande Totò ed un museo per lui con un semplice voto...

http://www.iluoghidelcuore.it/login/segnala/rione-sanita-casa-di-toto

bastano pochi istanti per un gran gesto...Totò nel cuore....il principe della risata conta su di NOI...