martedì 7 febbraio 2012

L'età dell'oro dello sport spagnolo e tutte le ombre intorno

Il ciclista spagnolo Contador
Quando il marciatore Daniel Plaza Montero riuscì a dimostrare che il nandrolone trovato nel suo sangue veniva da una lunga notte di sesso orale con sua moglie incinta, tutta la Spagna si fece una grandissima risata e richiuse gli occhi per sognare con i suoi campioni. Ora che tante di quelle stelle sono coperte d'ombra la Spagna non ride più, e una parola più di ogni altra usa per spiegare che l'età dell' oro non è una patacca. Persecuzione, così dice la potenza del calcio, del basket, del tennis, dell'hockey su pista. L'84% dei lettori dell' edizione online del quotidiano sportivo Marca ieri considerava ingiusta la sanzione per Contador. È la stessa opinione pubblica che si è sollevata a novembre per le illazioni di Yannick Noah sulla pozione magica: «Sono caduti nel pentolone di Asterix e Obelix». La stessa che reagì nel 2007 alle accuse del capo mondiale delle bici, Pat McQuaid: «La Spagna non vuole lottare contro il doping». 

Cinque anni fa. Da uno era esplosa l'Operaciòn Puerto, una gigantesca rete di pratiche illegali guidata dal dottor Eufemiano Fuentes e scoperta dalla Guardia Civil: coinvolti calciatori, tennisti, atleti. I nomi di chi faceva ricorso a trasfusioni e ormoni della crescita erano nascosti dietro innocenti soprannomi: Sansone, il Bufalo, il Nibelungo. Solo 58 ciclisti furono identificati. Se McQuaid disse quel che disse, fu per l'insabbiamento del processo penale. La Spagna non aveva una legge sul doping, se ne è data una successivamente (carcere dai 6 mesi ai 2 anni), senza retroattività, perciò il tribunale assolse tutti e fece persino di più, negando la documentazione al mondo dello sport. Che proseguì per conto suo quando poté, l' Italia fermò Basso e Scarponi, nulla si mosse in Spagna, dove anzi protestarono perché il Coni intervenne sul loro idolo Valverde. Due volte è stato intimato al giudice Serrano di riaprire il caso sull'operazione affossata, e dopo duemila giorni non c'è ancora un giudizio. Così com'è finita in polvere l'Operaciòn Galgo, seconda offensiva della Guardia Civil, 14 arresti a dicembre 2010, tra cui Marta Domìnguez, oro mondiale dei 3.000 siepi, Fuentes di nuovo implicato. Sessantuno atleti firmarono a sostegno dell' indagine, pareva una svolta. È finita con un'accusa di prove manipolate, Marta Domìnguez in qualche modo assolta.

Dietro i refusi della politica e della giustizia, lo sport spagnolo si ripara. Jaime Lissavetzky, segretario di stato del governo Zapatero, firmò un decreto con cui si negava l'autorizzazione a controlli fra le 23 e le 8 del mattino, contraddicendo le indicazioni dell'agenzia mondiale antidoping. Il tedesco Der Tagesspiel scrisse: «Se desiderate doparvi e dormire tranquilli, potete andare in Spagna». Un Paese in cui 20 milioni di persone praticano sport, il 43% due volte a settimana, e che a protezione dell'età dell'oro esibisce le 44 operazioni di polizia condotte; ma i fondi per l'agenzia statale antidoping sono stati tagliati dell'8%. La Liga rivendica i 970 controlli l'anno, 300 a sorpresa, ma non sul sangue, sulle urine, l'ultimo positivo risale al 2004, si chiamava Giovanella e giocava nel Celta. Quelli del Barça invece andarono su tutte le furie e fecero partire querele dopo le congetture di radio Cadena Cope, cavalcate da Mourinho e seguite da una visita degli ispettori Uefa. A Madrid fanno spesso i maliziosi sulla pratica del sangue centrifugato e infiltrato come un gel per guarire tendini e legamenti. È usata diffusamente anche da altri sportivi. Abbatte i tempi di recupero. Per i medici «non sono trasfusioni». È lecita da due anni. E la Spagna sogna con i suoi campioni, a occhi chiusi fino alla prossima persecuzione.

(Repubblica, 7 febbraio 2012)

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