lunedì 30 novembre 2020

L'ultima volta ch'è morto Maradona


Quante cose è stato, tutte insieme, nell'unico posto al mondo che l'ha reso martire e sovrano, dove si vive toccando il cielo e ci si converte in un secondo al pessimismo. La città che prima mise un suo capello sotto una teca nella vetrina di un bar e poi rinchiuse direttamente lui sotto una cappa morbosa di venerazione. La città che lo ha costretto a vivere di notte e che in periferia gli aveva intitolato una Rotonda. La città che lo ha trattato come una divinità, mai come un divo, venerandolo più dei suoi cinquantadue santi patroni e il loro sangue sciolto. La città che quando giurava diceva ha da muri' mammà, iniziò a giurare su Diego Maradona, detto qualche volta O Nennillo, come il bambino Gesù, oppure O Masto, il maestro, per i più anziani la parola che indica il datore di lavoro, dunque il guadagno, il benessere, la riconoscenza. Era Diego, semplicemente. Diego solo con il nome, alla maniera di Eduardo, anzi come Eduardo diceva che meritassero di essere chiamati i re e i parrucchieri. È stato anche Dieco, con la c, anzi Thiechíto. È stato il nome di battesimo per 527 bambini nati in città, provincia esclusa, in quei 7 anni irripetibili, 12 dei quali Diego Armando e uno per intero Diego Armando Maradona. Fa il pizzaiolo in un comune nei pressi del Vesuvio. Vengono ancora gli inviati dall'estero per parlare con lui.


Diego è arrivato come Mowgli che cercava una famiglia e se n'è andato come Simba che dalla famiglia scappa. C'erano ottantamila persone al San Paolo per accoglierlo e nemmeno uno che lo accompagnasse il giorno dell'addio all'aeroporto. Ha scambiato con gli abitanti di Napoli ogni tipo d'amore, spirituale e fisico. Disse: «Quando me ne andrò porterò con me la voglia di battere la Giuve». È stato un angelo vendicatore, un sovvertitore dell'ordine costituito. Ha fatto l'unica rivoluzione riuscita alla città e i più pigri che ancora lo chiamano Masaniello. Lo scudetto era un'evenienza così distante che i vecchi speravano non arrivasse mai, dicevano: non sia mai Dio — che significa: Iddio non voglia — non sia mai Dio perché se no viene la fine del mondo. Diego fece il miracolo e subito un secondo, quando disse non invadete il campo vogliamo festeggiare con voi, e non uno entrò. È stato potente come a Napoli riescono a essere solo il dialetto e le canzoni, un ponte tra la parte alta e la parte bassa della città, i ricchi e i poveri, la cartolina e i vicoli, le case di cemento armato e il tufo, la superficie e le catacombe, i vivi e i morti, con i primi che dopo lo scudetto sul muro del cimitero fecero trovare agli altri la scritta: Che vi siete persi. È stato come il padreterno per gli umili e la legge per gli avvocati. È stato una canzone diventata un modo di dire, Maradona è meglio 'e Pelé, musica del maestro Campassi. È stato materia di studio per antropologi e sociologi. È stato un musical (di Tato Russo), un comitato di intellettuali (Te Diegum), un pezzo di Pino Daniele (Un angelo vero). È in un murale ai Quartieri spagnoli e in uno a San Giovanni a Teduccio. È stato nella dedica di Paolo Sorrentino agli Oscar. È stato un padre inseguito per una vita da un Diego junior. Era un ospite da avere alle feste, ai circoli da inaugurare, ai battesimi, nei ritrovi della città indicibile e della zona grigia, la città porosa, dove tutto passa senza ostacoli da una parte all'altra. Era una foto da scattare e da esibire, sorridi Diego, sorridi, negli anni in cui Napoli aveva ministri al governo che si facevano garanti con le banche. Un giorno tornò da Torino e raccontò meravigliato che era uscito dall'albergo per comprarsi un dopobarba, nessuno lo aveva fermato, lui che ogni giorno a Napoli dimostrava d'essere sia vulnerabile sia indistruttibile. Si è mischiato con la vita e c'è un solo pensiero oggi che vale una carezza. Questa è l'ultima volta che Maradona muore.


[uscito su Repubblica il 26 novembre 2020]

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