lunedì 13 aprile 2015

Il progetto nel calcio è una bugia

Mihajlovic, allenatore della Sampdoria
Mihajlovic, allenatore della Sampdoria
"Deciderò il mio futuro in base al progetto che mi verrà sottoposto", così dice Sinisa Mihajlovic, barcamenandosi fra chi lo corteggia. Milan e Napoli con più insistenza. Progetto. Questa parola non è nuova. Ma soprattutto: non è vera. È l'abuso linguistico che più spesso il calcio impone. Un progetto implica un tempo. Solo che tempo nel calcio non ce n'è. Un progetto esige fatica e la messa in conto di un arretramento momentaneo. Il progetto nello sport è pazienza. Nella sua scalata da 5 metri e 85 fino a 6,14 Sergej Bubka impiegò dieci anni. Tre li trascorse per passare da 6,06 a 6,07, saltando nel frattempo misure inferiori. Tre anni per un centimetro.
Quando si è con un piede nell’eccellenza, gli ultimi passi sono i più difficili. Non è un fallimento fermarsi a 6 metri se prima hai fatto 6,06. Anzi. È fisiologico. Non è scontato migliorarsi di un centimetro alla volta in ciascun salto. Questo significa accettare un progetto. Avere una visione a lungo termine. Per quattro anni Ferguson al Manchester non vinse niente, il primo successo in campionato arrivò al settimo anno, quando si dice che i rapporti vadano in crisi. Nell’ultimo quindicennio l’unico allenatore capace di resistere sette anni sulla stessa panchina in serie A è stato Ancelotti al Milan, 2001-2009. Ora il più longevo è Mandorlini a Verona, 4 anni e mezzo, che per i nostri standard già non sono pochi. Cosa sia un progetto oggi nel calcio italiano non si sa. Al Milan ne avevano uno per Seedorf. Portava il timbro convinto di Berlusconi, agli occhi del quale Seedorf aveva tutto: competenza, appartenenza e physique du rôle. È saltato in meno di cinque mesi, il progetto è durato tutto il girone di ritorno, durante il quale peraltro il Milan fece un punto in meno della terza in classifica. "Ho in testa un nome nuovo", diceva già a maggio Berlusconi. Non un nome e basta, ovviamente un nome e un progetto. Inzaghi. Che viene accolto così. “È scatenato, è affamato, è carico”. Contratto biennale. Nel frattempo, stretto tra le visioni differenti di Galliani e dei Berlusconi, ottavo sul campo, anche il progetto Pippo è vapore acqueo. Più o meno lo stesso destino del povero Mazzarri, accolto all’Inter con l’incenso che Milano garantisce alla sua parte e scaricato nello stesso arco di tempo che un Borussia Dortmund concede a Klopp solo per guardarsi attorno e capire dove sia arrivato: in due anni, dal 2008 al 2010, ha avuto la libertà di fare sesto e quinto posto. Poi ha cominciato a vincere.
Uno può credere che una certa confusione regni là dove amministrano più teste. Galliani-Berlusconi, Moratti-Thohir. Sbagliato. Basta guardare Napoli, dove la monocrazia alla guida del club è solida. Pure là c'era un progetto. Internazionale, affascinante, ambizioso. Rafa Benitez. Un uomo che dieci anni fa vinceva la Coppa dei Campioni mentre il Napoli giocava i playoff di serie C. Chi lo avrebbe detto. Benitez si è presentato portando con sé acquisti che senza di lui Napoli non avrebbe concluso, tra cui il centravanti dell'Argentina e altri due calciatori che hanno scelto di lasciare il Real Madrid (il-Real-Madrid). In due stagioni, con un calcio spregiudicato (4 giocatori offensivi puri) che punta a privilegiare la qualità e spesso diverte, Benitez ha messo insieme un po’ di traguardi: 1) un posto fra le prime tre, obiettivo che in 89 anni di vita il Napoli aveva raggiunto 15 volte; 2) la qualificazione alla Champions giocandone nel frattempo una (mai successo a Napoli); 3) un girone di Champions con 4 vittorie su 6 (Arsenal, Borussia, Marsiglia le avversarie); una Coppa Italia; una Supercoppa italiana che il Napoli non vinceva da 25 anni; una qualificazione ai quarti di finale di una coppa europea che Napoli non otteneva da 26 anni. È un idolo? Macché. Ha fallito. I tifosi napoletani volevano 'o scudetto. Lo volevano peraltro con una squadra contestata già ad agosto, dopo l'uscita ai preliminari a Bilbao, perché il mercato non veniva giudicato sufficiente. Un paradosso. Pretendere lo scudetto da una squadra incompleta. A Napoli lo scudetto non l'hanno vinto Sallustro, Vinicio, Sivori, Altafini, Zoff, Savoldi. Volendo, non l’ha vinto nemmeno Maradona: lo ha mancato per cinque anni su sette. Però doveva vincerlo Benitez. In due anni. In un club che non è proprietario nemmeno del campo dove si allena e dove le giovanili ogni anno girano la Campania per cercarsi una casa più o meno fissa. Non basta crescere, rafforzarsi al vertice, saltare sempre 6 metri. Il calcio tempo non ne ha. Non sa aspettare tre anni per un centimetro. Però parla volentieri di progetti, come ci ricorda Mihajlovic, sveglio navigatore delle panchine, cinque squadre diverse in sette anni, due esoneri, migliore stagione della carriera: questa. Forse la verità sta tutta nella definizione che della parola “progetto” dà il dizionario Garzanti: "Ideazione di un lavoro, di un’attività; anche, proposito vago, fantastico, difficilmente realizzabile". Un progetto. Adesso sì.

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