mercoledì 24 settembre 2014

Il volo all'antica di Sorrentino


AL MODO in cui cadere pensi dopo, prima viene il volo, che è sempre un po' la scelta della disperazione. La tecnica te l'hanno insegnata anni e anni fa, ma in quell'istante non sai dove sia finita. A parte l'istinto, insomma, non ti rimane niente. Eppure a volte basta. Di certo basta a Stefano Sorrentino, che di domenica sera pesca dalla memoria del corpo l'impulso del colpo di reni, all'età di anni 35, quando la tribù dei sedentari d'Italia comincia semmai a fare i conti con il colpo della strega. Succede che Guarin, con Palermo- Inter ormai al capolinea, metta un pallone dolce al centro dell'area. Succede che Osvaldo su quel pallone ci arrivi con la testa nel miglior modo possibile, solo, elastico, i fotografi tutti per lui, libero e bello, definitivamente rock. E mentre la palombella che ne viene fuori copre il tragitto di metri otto, non di più, verso la porta, Sorrentino scopre di essere troppo dietro per uscire in presa alta e un poco avanti rispetto alla traversa. Ma è il posto giusto in cui trovarsi quando non c'è più niente da fare se non lanciarsi, this must be the place, in volo, e vediamo che succede.
Ruota e slancia il bacino verso l'alto, Nando Martellini avrebbe detto che si inarca. Solleva il braccio destro e spinge su, fortuna che ha dita lunghe da pianista e forti come quelle di chi scala una montagna. La prende. Parata. Come avrà fatto. Osvaldo allora si dispera, mette le mani tra i capelli, senza peraltro guastarseli, questo va detto. È il momento in cui Juve e Roma si sentono più serene e più lontane in testa alla classifica, l'Inter vede sbriciolarsi due punti sul guantone del portiere e Twitter impone l'hashtag #Mazzarrivattene, subito davanti a #Mengonilive2015, ristabilendo così le gerarchie tra le priorità del Paese reale. Questione di centimetri, una falangetta del dito medio un po' più corta e allora sarebbe stato #amala, pazza Inter, può durare una vita o una sola partita. E mentre il povero Walter si immusonisce in tv convinto che il distacco dalla coppia capolista sia aumentato per il gol annullato a Icardi, nell'altra metà del campo l'incredulo Sorrentino si gode il ritorno. Aveva salutato la serie A con una papera da 29mila visualizzazioni su YouTube, aprile 2013, un passaggio rasoterra all'indietro, lui che s'affloscia, la palla gli passa sotto il corpo, Gabbiadini segna a porta vuota. I compagni si guardano e pensano che tutto sia finito. Infatti. Vanno in B. Dove però Sorrentino torna il portiere dei miracoli del Palermo, così numerosi che non finiscono neppure una volta tornati in serie A. Perché di questo si tratta, di un miracolo, un gesto antico nell'era in cui i portieri sono costretti all'aggiornamento professionale del giro palla basso con i piedi. Questo invece è un balzo vintage, di quelli che in bianco e nero erano prodotti un tempo da Ricky Albertosi o Luciano Castellini, non per niente detto il Giaguaro. Oppure Boranga e Malizia, interpreti in provincia. Chiedere per conferma a Roberto Sorrentino, papà di Stefano, anche lui portiere e loro contemporaneo. Nel ‘79 era il numero uno della Paganese: per questo Stefano è nato a Cava de' Tirreni, una sera volle andarci a cena con sua moglie, come in un pellegrinaggio laico. Insieme si sono ritrovati alla Juventus: il padre preparatore dei portieri di Trapattoni, il figlio nelle giovanili. Fino ad andarsene, sempre insieme, quando in società arrivarono Bettega Moggi e Giraudo. «Nelle uscite ero meglio io, più folle», dirà Roberto. Folle forse, ma senza mai parare un rigore. Stefano invece sì, e tanti. Con il Torino, l'Aek Atene, l'Huelva in Spagna, poi a Verona, dove gli sono nati due figli in tre anni. «È stato il flusso di Giulietta». Raccontano che un tempo mettesse il santino della nonna sotto il parastinchi e che sognando la nazionale non abbia intenzione di smettere fino a 40 anni. «Noi portieri », dice, «siamo soli contro tutti». Da qui l'affettuosa invidia per suo fratello Ivano, calciatore pure lui, cinque anni più giovane. «Il mio ruolo è affascinante, ma meglio lui, nel calcio è meglio fare l'attaccante». Sì, certo, vaglielo a dire a Osvaldo.

(la Repubblica, 23 settembre 2014)

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