domenica 30 maggio 2010

Nemico Jabulani

I gol. Ne servono di più. Più di quelli visti quattro anni fa in Germania, più che in Corea e Giappone nel 2002, e allora hanno tolto quattro grammi al pallone e gli hanno aggiunto mezzo centimetro di circonferenza. Sarà un po' più rotondo, sarà il più leggero mai esistito e «crescerà la fiducia dei calciatori in se stessi perché aumenteranno le loro possibilità di segnare, e i più bravi ci riusciranno anche in maniera sorprendente», giura HansPeter Nürnberg per conto dell'Adidas, l'azienda tedesca che dal '70 fabbrica palloni per i mondiali.



Ai portieri, come al solito, la cosa è andata di traverso. Nel grande show che si nutre di gol, a loro tocca la parte del cattivo. «Sembra uno di quei palloni in vendita al supermercato», Julio Cesar non l'ha presa bene. E neppure il cileno Bravo: «Pare una palla da beach volley». Il guaio è che stavolta si lamentano anche gli attaccanti. Pazzini l'ha appena provato in allenamento e dice che «arriva un cross, tu vai per prenderlo e il pallone si sposta. È un disastro». E se si lamentano loro, coi gol come la mettiamo? Il pallone incompreso si chiama Jabulani, e per fortuna che nella lingua zulu significa festeggiare, allegria. Ha undici colori, come i giocatori in campo, come le lingue ufficiali del Sudafrica e le sue tribù. Tessuto sintetico e lattice intrecciati, pannelli cuciti insieme col calore, minuscoli solchi lungo la superficie per ridurre l' attrito. Tecnologia grip' n' groove, la chiamano all'istituto di tecnologia sportiva della Loughborough University, dove il team del professor Harland ha testato Jabu in una galleria del vento da 250mila sterline grazie a un robot che ne costa 40mila e che replicava lo stesso tiro 600 volte al giorno. Un automa più preciso di Beckham, e pure più economico.

Dopo due anni di ricerche, scienziati designer e industriali hanno tirato fuori questa specie di Bolt travestito da pallone. Arriva dal futuro, ma a Julio Cesar pare d'averlo già visto sullo scaffale di un discount. Passi per quei brontoloni dei portieri, Jabulani non era un giocattolo per loro. Era l'oggetto super tecnologico che doveva fare i buchi nell'aria e divertire il pianeta coi gol, ma ora pure gli attaccanti lo descrivono come uno di quei cosi che al massimo ti porti dietro in gita a Pasquetta. Se te lo porti. È l'ottavo pallone diverso in altrettanti mondiali. Roba che sta facendo impazzire soprattutto gli americani, che hanno cambiato centinaia di regole nei loro sport-religione, che hanno usato la tecnologia per trasformare l'abbigliamento degli atleti, ma che mai hanno toccato palle, palline e palloni. Basket, baseball, football, tennis, golf, persino il disco dell'hockey su ghiaccio, quelli non cambiano mai. Invece fra Jabulani e il Tango con cui l'Italia arrivò quarta in Argentina nel '78 e vinse in Spagna nel 1982 - per non dire il Telstar di Mexico ' 70, il primo con gli esagoni neri - c'è in mezzo il mondo. Come tra Bambi e Avatar.

A ogni mondiale cambia il pallone, non c'è neppure bisogno di dire perché. Ogni volta che l'Adidas produce un nuovo modello, la Fifa incassa una percentuale sulle vendite: nel 2006 sono andati via 15 milioni di pezzi del Teamgeist. Una cosa in comune coi suoi antenati, il pallone sudafricano ce l'ha. Di Jabulani si dicono le stesse cose orribili già sentite. Perché ogni volta è così. L'allarme, le diffidenze, i portieri che si lamentano. Da quando Zoff finì sotto processo per i gol presi nel '78 da Brandts e Haan, Nelinho e Dirceu. Tutti da fuori area, il Tango svolazzava. Ora si lamentano pure agli attaccanti. Chissà a chi tocca la figuraccia, fra due settimane. Festeggiare. Allegria.

(la Repubblica, 30 maggio 2010)

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