Il primo passo dell'alcolista per guarire è ammettere la propria malattia: Best l'ha ammessa da sempre ma non è mai guarito. Raccontava del suo ingaggio ai Los Angeles Aztecs, un'altra umiliazione, non umana ma tecnica, e del fatto che gli avevano trovato una casa vicino al mare. "Ma per arrivare all'Oceano dovevo passare davanti al bar. Non sono mai arrivato all'acqua". [...]
E' facile pensare che la pressione su di lui, l'attesa delle sue meraviglie, alla fine l'ha travolto e che la sua magia, come spesso capita nel calcio, ha dato più agli altri che non a lui. Non l'hanno salvato gli amori, i suoi negozi di vestiti della swinging London, la sua Jaguar, non sono stati sufficienti a farlo diventare un uomo maturo. Il suo sogno, raccontato mille volte, era quello di superare in dribbling tutta una difesa, saltare anche il portiere, arrivare sulla linea di porta, fermare il pallone, chinarsi in ginocchio e sospingerlo in rete con testa. "Nella finale di Coppa dei Campioni contro il Benfica c'ero quasi riuscito. Avevo lasciato per terra il portiere, ma poi non ho avuto il coraggio di completare il piano. Temevo che al boss venisse un infarto". (Corrado Sannucci, 8 febbraio 2001)
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Tanti calciatori bevono, ma si disintossicano a forza di crossare dal fondo o di respingere di testa palloni destinati all'incrocio dei pali. Lui no. Era troppo bello. E troppo autolesionista. La storia del calcio inglese è piena di centrocampisti che si sono riempiti la pancia di birra, di stopper alticci e di attaccanti con la fissazione dei pub, ma Best fu più degli inglesi, più degli irlandesi, più degli altri che come lui vinsero il Pallone d'Oro. Era un brasiliano travestito da irlandese. Aveva la follia innocente di Garrincha e il senso di colpa di un europeo. Non gli ci volle molto per dimostrare agli altri il proprio valore. Però gli fu impossibile dimostrarlo a se stesso. Vinse, ma non se ne accorse. Perse, ma non se ne accorse. Una notte fece l'amore con sei donne. Un giorno al Northampton fece sei gol. La sua carriera vera, prima di emigrare negli Stati Uniti, durò sei anni. Poco, tutto velocissimo, come un rock' n' roll di tre minuti.
(Enrico Sisti, 7 maggio 2002)
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George Best con suo figlio |
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E' finita questa lunga agonia, trentatré anni, perché George Best ha cominciato a morire quando a 26 anni, nel ' 72, già aveva deciso di ritirarsi, soffocato dal proprio talento, braccato dal proprio successo, annoiato dalle donne che poteva avere nel suo letto, compresa la Miss Universo con la quale fu sorpreso da un cameriere impiccione che si rivendette subito la storia, precisando che su quel letto oltre a Best e alla donna c'erano sparpagliate anche 20mila sterline, circostanze delle quali George non ricordava nulla. [...] Era il giocatore che Manchester aspettava da quando l'aereo si era schiantato sulla pista di Monaco nel '58 uccidendo otto giocatori, era il giocatore che fu esaltato dalle prime dirette della Bbc, che poco dopo il suo arrivo avrebbe cominciato a trasmettere il Match of the Day, e le sue magie arrivarono in un istante in ogni angolo d'Inghilterra. Fu un'esplosione di meraviglia, che nutrì e fu nutrita dai cambiamenti degli anni '60, così che si trovò a interpretare, applicata sul campo di gioco, la parte che altrove recitavano Mary Quant, Carnaby Street, i Beatles (e si tagliò i capelli a caschetto intorno al '65, con i baffetti ricorderà un po' Ringo Starr e un po' George Harrison, fino a diventare appunto il "quinto Beatle"), i capelloni, il sesso, le droghe e l'alcool: una parte terribilmente pericolosa, dispendiosa, logorante per chi come lo sportivo ha bisogno di altri supporti, l'allenamento, l'autocontrollo, la disciplina, difficili da mantenere mentre il postino ti rovescia a casa migliaia di lettere di fan alla settimana, le offerte degli sponsor (e fu tra i primi a fare il testimonial, "Mangiate Cookstown Sausages", le Best-sausages, le salsicce migliori), le proposte di mettersi in affari (e aprì un negozio di vestiti con Mike Summerbee, un giocatore del Manchester City). "Ma come volevo strafare in campo così volevo strafare fuori" ammise più tardi, rivedendosi seduto sul cofano della sua Jaguar, la sua macchina preferita, probabilmente per distinguersi da James Bond che guidava l'Aston Martin.
(Corrado Sannucci, 26 novembre 2005)
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Quando uno si chiama Best è già segnato, nella vita. E curiosamente il suo nome contiene l'inizio e la fine della città dove è nato: Belfast. [...] Per il calcio inglese, che pure di ali ne aveva fabbricate, la fantasia era Best. A noi italiani sembrava un parente nordico di Gigi Meroni, con un pizzico di velocità in più. Aveva gli stessi capelli lunghi, lo stesso numero 7 sulla schiena, la stessa barba lunga di tre-quattro giorni e una grande predisposizione al dribbling. E il messaggio che trasmetteva agli spettatori era identico: va bene tutto, ma siamo qui per divertirci. [...] Bob Geldof ha detto di lui che è stato la prima pop star del calcio, ed è vero. Mai viste negli stadi inglesi tante donne come quando giocava Best. Che non era solo pop star ma anche sex symbol, bello e forse un po' dannato, come gli avventori delle taverne di Marlowe. Bello e certamente condannato, ieri c'è stato solo il fischio finale. Best non ha mai cercato di sottrarsi al suo destino: morire alcolizzato e povero lui che da una famiglia povera era nato. Se ne vantava, con battute rimaste famose: "Ho speso una fortuna in donne, alcol e macchine. Il resto l'ho sperperato". [...] Diceva che era più bello il calcio ai suoi tempi, che c'era più fantasia, ancora questa parola che ritorna. Ed è in virtù di questa parola che oggi preferisco rivedere Best in azione, lui giovane e bello, non la cosa senza più voce, gli occhi già spenti, che ci portavano in casa le ultime fotografie. Perché quella di Best è stata una morte in pubblico: di caduta in caduta, di disintossicazione in disintossicazione, di appello in appello, di ricaduta in ricaduta. Col tipico moralismo inglese: guardatelo, è un barbone. Aveva tutto e non ha più nulla. Le più belle donne del mondo, e adesso nemmeno una carezza può fare, da come gli tremano le mani. [...] Mentre si ammucchiano le magliette rosse all'Old Trafford, sotto la statua di Matt Busby, penso che Best, come Meroni, fosse un fiore dopo un disastro aereo, Superga e Monaco. Nel loro essere eroi della fantasia c'era questa saldatura a un lutto, e insieme una musica di speranza in cammino. [...] Non era troppo piccolo e leggero, o non più. Era troppo assetato di volo per non bruciarsi, lui ala, le ali. Che noi chiamiamo questa spinta libertà o autodistruzione ha poca importanza. Anzi, nessuna, per George Best, mani bucate e fegato spappolato. Guardiamolo fintare sulla sinistra e saltare l'avversario sulla destra. Il campo è di un verde magico, la maglia rossa ha il numero 7. In qualche pub canteranno prima o poi una ballata triste (anche più triste di "Danny Boy") e l'inizio sarà più o meno questo.
(Gianni Mura, 26 novembre 2005)
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Suo marito è morto alcolizzato, ora lei lancia un appello affinchè un altro grande calciatore non faccia la stessa fine. Alex Best, l'ex-moglie di George Best, ha preso la parola pubblicamente per aiutare Paul Gascoigne, l'ex-giocatore dell'Inghilterra, del Newcastle e della Lazio che da mesi entra ed esce d'ospedale o di prigione a causa della sua dipendenza dall'alcol. "Ricordo bene quale era il problema con George - ha detto Alex a una rete televisiva britannica - La gente veniva da migliaia di distanza per vederlo bere nei pub che lui notoriamente frequentava. Era una specie di circo, i tifosi gli offrivano da bere, lui si ubriacava sempre di più".
(Enrico Franceschini, 5 giugno 2008)
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Adesso invece siamo nell'era post-politica e post-calcistica, dove regna il modello Beckham, glamour e tatuaggi. E allora su Beckham si può ricordare la definizione che ne diede l'indimenticato genio alcolico di George Best: "Non ha il sinistro, non sa colpire di testa, non contrasta e fa pochi gol: a parte questo è grandissimo".
(Edmondo Berselli, 22 dicembre 2008)
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I talenti sprecati sono talenti limitati che nessuna educazione poteva spingere oltre. E' probabile che i loro possessori lo sappiano e si rifugino nella recidiva per non affrontare la verità. Possono evolversi, cambiare? Cito una frase di George Best: "Nel 1969 ho dato un taglio a donne e alcol: sono stati i peggiori venti minuti della mia vita". Il punto è che gente come Best o Gigi Meroni rappresentava uno scarto, una controcultura, esprimeva la propria ribellione indicando stili e comportamenti alternativi. I loro eredi sono, anche, conformisti. Emettono il loro comunicato sdegnoso abbassando il finestrino di una Ferrari, risollevandolo in faccia alle repliche e sgommando via in una nuvola di fumo: ciò che molto spesso di loro rimarrà. Recuperabili? Denilson, pagato una cifra record dal Betis Siviglia, è stato rifiutato in 3 continenti e ha appena rescisso un accordo con la squadra greca del Kavala, per la quale ha giocato minuti zero. Best se n' è andato lasciando ai ragazzi un messaggio: "Non morite come me". Sarà stato utile? O il fascino della sregolatezza batte ogni strategia educativa
(Gabriele Romagnoli, 22 aprile 2010)
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