venerdì 26 marzo 2010

Banks e la parata del secolo

banks1 Jairzinho scappò a destra. Veloce. Andò via a due dei nostri e vide che nel frattempo Pelé stava prendendo posto al centro dell'area. La palla fece un volo fino alla testa di 'O Rei. Una questione di mezzo secondo. Pelé staccò allo stesso modo con cui in finale avrebbe punito l'Italia, ma schiacciò a terra, con violenza. La palla picchiò dentro l'area piccola e schizzò verso la porta. Il fatto vero successe lì. In porta. Dove ero io, Gordon Banks. Ero all'epoca il portiere dei campioni del mondo in carica. L'Inghilterra. La sfida col Brasile, quel giorno del '70 a Guadalajara, era stata chiamata la sfida fra titani. Lo sapete come sono i giornalisti, esagerano sempre. Dissero titani perché in campo c'erano i vincitori delle ultime tre coppe del mondo. Brasile '58, Brasile '62, Inghilterra '66. Di me raccontavano che avessi un sorriso che pareva una smorfia. Tipo Clark Gable. Ma senza baffetti.


banksEro scattante, acrobatico, bravo in uscita. Con me l'Inghilterra era rimasta senza sconfitte per 23 partite consecutive e senza prendere gol per 7. Ad avercelo oggi, in Inghilterra, un Banks.   Ho sempre pensato che da bambini i portieri si dividono in due categorie. Quelli che in porta ci vanno perché lo decidono gli altri e quelli che ci vanno perché lo vogliono loro. Quel giorno a Guadalajara, la palla picchiò dentro l'area piccola e schizzò verso la porta. Ero tutto spostato sul palo di sinistra, non potevo scartare l'idea che Jairzinho puntasse verso la porta, ma si defilò. In area c'era liberissimo Tostao, lo avevamo lasciato solo. Se Jairzinho gliela avesse passata, non avrei potuto farci nulla. Invece mise in mezzo una palla lunga. Allora feci due saltelli e mezzo laterali verso destra e mi lanciai. Presa. Non chiedetemi come. Non chiedetemi perché. Ma ce la feci. Se Cruijff è l'autore del gol impossibile, io sono il portiere della parata impossibile. Pelé rimase come una statua. La chiamano ancora oggi la parata del secolo. Ne fui fiero. Non tanto per il complimento in sé, quanto perché ero cresciuto con l'idea che i portieri inglesi fossero i migliori del mondo, e io volevo essere all'altezza della loro fama. Sam Hardy, Harry Hibbs. Quei due giganti lì. Ho un solo rimpianto. Non esultai. Mi sa che dovevo. Rimasi a terra seduto accanto al palo con la testa bassa. Nelle foto sembro uno sconfitto, e una foto è per sempre. Ero esausto e se devo dirla tutta non sapevo neppure dove fosse finita la palla. Non mi ero accorto di aver evitato il gol. Avevo sentito Pelé gridare: Goool. E poi il boato della folla. Non capii nulla fino ai complimenti dei compagni. Fu allora che mi voltai e vidi il pallone sui cartelloni pubblicitari, non in fondo alla rete. Il boato era per me. Cooper mi passò un mano tra i capelli. Pelé disse, Ti odio. Bobby Moore mi fece ridere, Stai diventando vecchio Banksy, un tempo l'avresti bloccata.
 
  Passammo il girone nonostante la sconfitta contro il Brasile, nel secondo tempo ci fece gol Jairzinho. Ma uscimmo nei quarti di finale. Contro la Germania. Quella partita però non la giocai. Non potevo. La sera prima mi mise kappaò una pessima bottiglia di birra. Germania avanti. Pensateci. Senza quella birra, non ci sarebbe mai stato il 4-3 con l'Italia. Ho vinto una Coppa del mondo, eppure sarò ricordato per quella parata su Pelé. Non c'entro io, c'entra il Brasile. La squadra del '70 è stata la più bella macchina da calcio di sempre. Il punto più alto. Avevano almeno cinque fuoriclasse. Eppure uscii dal campo con la sensazione che non avremmo meritato di perdere. Sono cresciuto in una zona operaia dello Yorkshire. Per migliorare un po', mio padre ci portò tutti a Catcfliffe, si era messo in testa di aprire un negozio di scommesse. Ci diede prosperità, ci tolse la gioia. Un giorno assaltarono il negozio per portarci via l'incasso, mio fratello era dentro, fece resistenza, lo lasciarono a terra senza forze. Mio fratello era disabile. Morì qualche settimana dopo. Per dare una mano, lasciai la scuola e cominciai a lavorare. Trasportavo carbone e andavo a vedere le partite del Millspaugh, una squadra di dilettanti. Un giorno il loro portiere non si presenta al campo. Sparito. Vedo un tipo che mi chiama. Ehi tu, vieni qui. Era l'allenatore. Mi aveva intravisto tra gli spettatori. Se non ricordo male, mi fa, giocavi con la squadra studentesca di Sheffield. Era vero. Allora scendi, oggi ci servi. Ho cominciato così. E quando iniziò a girare la voce che fossi bravino, il Chesterfield (terza divisione) venne a offrirmi sei partite di prova e un contratto di 3 sterline a settimana. Avevo svoltato. L'anno dopo, ne guadagnarono settemila cedendomi al Leicester. Ero in prima divisione. Ho saputo che avrei giocato in nazionale intorno al piccolo tavolo da biliardo del centro sportivo. Era lì che ci si incontrava alla fine degli allenamenti. Giocavamo a carambola quando entrò Matt Gillies, il nostro allenatore, uno scozzese. Si avvicina, mi stringe la mano e dice, Congratulazioni, ti hanno chiamato. Chiamato dove, rispondo io. In nazionale: perfino gli inglesi hanno capito che sei bravo. Gira le spalle e se ne va. Non potevo crederci e ancora mi domando come facesse a saperlo. Forse Alf Ramsey dovette dirglielo. A me parve uno shock.

Quando vincemmo il Mondiale nel ’66, c’erano almeno altri cinque portieri inglesi bravi quanto me. E sapete perché? Perché ovunque ti girassi, in strada all'epoca c’erano bambini che giocavano a calcio. Oggi puoi guidare per miglia e miglia, in strada non vedresti neanche un pallone. Se entravi in tackle e non ti eri fatto niente, ti alzavi, toglievi l’erba dai pantaloncini e andavi avanti. Questa è la differenza con il calcio di ieri. Uno di quei ragazzi era Peter. Peter Shilton, voglio dire. Era proprio di Leicester, aveva frequentato le squadre giovanili da quando aveva 13 anni. Avvertii i dirigenti che ci sapeva fare e nell'estate del titolo mondiale gli proposero il primo contratto da professionista. Non aveva ancora compiuto 17 anni. Shilton ne fu felice. Felicissimo. Ma si dimenticò di ringraziarmi. Fece di più. Chiese di essere considerato titolare al posto mio, al posto dell'unico portiere inglese campione del mondo nella storia del calcio. Firmo se Banks va via: la mise così. Diede un'alternativa. Firmo se Banks mi fa da riserva. Roger Hunt, attaccante del Liverpool e mio compagno in nazionale, mi consigliò di aspettare e di non prendere decisioni. Bill sta pensando a te, mi sussurra. Bill Shankly, il loro manager. "Se il mio lavoro fosse strofinare pavimenti, io vorrei che il mio pavimento fosse più pulito del vostro". Bill Shankly diceva frasi come questa. Non c'era calciatore in quegli anni che non fosse affascinato da lui. Fantastico, dico io, da voi verrei di corsa. Aspetto. Ma le settimane passano e non succede niente, nessuno chiama da Liverpool, nessuno si fa vivo. Non ho mai più saputo cosa sia successo, al Liverpool non andai mai e io - campione del mondo - venni ceduto allo Stoke. Accontentarono Shilton. Dal '70 Shilton diventò il mio rivale anche per la maglia della nazionale. Abbiamo convissuto fino al '72, ho giocato altre 12 partite. Fino al 22 ottobre. Tornavo a casa da una seduta di fisioterapia, persi il controllo della macchina e finii in un fossato. I medici fecero miracoli, tranne che per l'occhio destro. Non vedevo più come prima. La mia carriera è finita lì. Lo Stoke prese un nuovo portiere. Shilton. Ma non dite che Peter mi ha portato via tutto. Non mi toglierà mai la Coppa del mondo. Non mi toglierà mai la parata del secolo.

(Come per l’intera serie, le parole liberamente attribuite a Gordon Banks  sono state ricostruite attraverso libri, interviste e altre fonti storiche, e sono tutte ispirate a fatti realmente accaduti)

Nessun commento: