lunedì 24 dicembre 2012

Baglioni, ovvero di cosa sono fatti i cantautori


Certe volte si sta al mondo come dentro una rincorsa. «Avevamo una parente che lavorava a servizio ai Parioli, la domenica i signori uscivano, lei ci apriva la porta e ci mostrava com'erano le case dei ricchi». Claudio Baglioni adesso passeggia su una terrazza da cui s'ammira in modalità panorama una vita di successo. Dentro, un divano chiaro dà su una vetrata che squadra l'immortalità di Roma; nell'angolo destro un piano, due chitarre e un filo di note partito dai quartieri Montesacro e Centocelle a fine anni Sessanta. Quando la felicità aveva i colori del giorno di Natale e le canzoni in inglese erano per i bambini dei suoni sconosciuti. «La radio era la mia manopola sul mondo. Il lentissimo bollettino dei naviganti. Il listino della Borsa. E poi all'improvviso spuntavano dei ritornelli allegri in lingue che non capivo, da posti che non sapevo dove fossero. Domandavo a mio padre: ma che cantano, che significa? Eh, mi rispondeva, dicono buon Natale, buon Natale». 

venerdì 21 dicembre 2012

Lavezzi, il petrolio e il cinema

- Pa'.
- Mmm....
- Ma adesso riapre il calciomercato, vero?
- Sì. Tra un po'.
- E il Napoli non può riprendersi Lavezzi?
- Oddiosanto, piccolo: tu e Lavezzi.
- Eeeeeh, pa'...
- No, non può. Il Napoli non può.
- Perché?
- Cioè. Può. Potrebbe. Ma non può.
- Non ho capito.

giovedì 20 dicembre 2012

Rileggere Brera


Morì alle 3 di notte di un venerdì senza nebbia, sulla strada statale 234 fra Codogno e Casalpusterlengo, alla fine di una serata in allegria. Sono vent'anni oggi. Gianni Brera aveva cenato con due amici in un ristorante di Maleo, una macchina che veniva in senso opposto invase la carreggiata e travolse la loro Ford Sierra. Brera era sul sedile posteriore; accanto a lui il cappotto di cammello, un cappello scuro e un bloc-notes con gli anelli. Il giorno prima aveva dettato al giornale le sue ultime risposte ai lettori per l'Accademia di Brera, l'amatissima rubrica di lettere, il luogo in cui più che altrove toglieva il freno alla scrittura e si consegnava parole e corpo alle sue passioni. Il football, il ciclismo e l'atletica, l'enologia, la gastronomia, la vita. 

martedì 11 dicembre 2012

Dal titanic alla strada

C'erano le stelle e i capelli nella notte nera che Francesco De Gregori cantava trent'anni fa a bordo del suo Titanic: 1982, le parole più usate nel cd d'allora sono quelle nella figura in alto a sinistra. "Può" dava il senso di un'ultima drammatica speranza, "chissà" raccontava l'incertezza e lo smarrimento degli anni Ottanta.
Poi è venuto il sangue, dieci anni dopo, ed era il disco chiamato beffardamente Canzoni d'amore (le parole più usate sono quelle in alto a destra). Povero me, povero me: il lamento che dominava il tutto, in mezzo alla familiarissima pioggia e con l'accompagnamento di un'implorazione a un Bellamore.
Oggi, a vent'anni dal '92 e a trenta dal Titanic, nelle parole più usate da Francesco De Gregori per il suo nuovo disco (la nuvola in basso nella figura), è tornata la notte che già faceva paura nel 1982. Ma almeno c'è una strada, e la dobbiamo guardare.