domenica 31 maggio 2015

Il calcio scanzonato del Petisso Pesaola


MA TU quanti gol hai segnato, Petisso, gli chiedevano i ragazzini. E lui sottile rispondeva: «Quanti Pelé». In realtà pochini, ma uno contro l'Inter, palla nell'angolo alto alla destra di Matteucci, era diventato la sigla della Domenica Sportiva per mille puntate. E dunque erano più di mille i gol, facile, nella logica stralunata dell'ultimo showman del calcio italiano. Da una quindicina d'anni Bruno Pesaola girava gli ospedali, cinquanta sigarette al giorno gli avevano avvelenato vene e polmoni, colorandogli le dita di giallo nicotina. Pensava a una festa per i novant'anni, a fine luglio, nella sua casa a Napoli, città in cui aveva scelto di restare per sempre non avendo potuto decidere di nascervi: 531 partite sotto quei colori da calciatore e allenatore. Ha vinto di più altrove, come lo scudetto del ‘69 a Firenze, l'ultimo viola. Ma la salvezza del 1983 a Napoli all'ultima giornata era «la gioia più grande della vita dopo il matrimonio con Ornella», ex miss Novara, la ragazza che lo aveva spinto al sud: «Ci lavora mio fratello, andiamo, si sta bene». Viaggio di nozze a Positano e poi in ritiro.

venerdì 29 maggio 2015

Heysel, il nome che i ragazzi non conoscono

h11 Guardatela questa foto che arriva dal passato. C’è un uomo giusto al centro, non so di quanti anni, forse quaranta, forse meno, stringe qualcosa fra le mani. Un gesto di protezione, dentro una scena in cui la protezione non c’è più. Porta con sé l'innocenza di un'espressione quotidiana, l'unica che resista dentro questo scatto. Si volta come si farebbe su un autobus affollato, dove ti spingono, si volta e sembra un istinto, come a chiedere attenzione, dentro una scena in cui l’attenzione non esiste più.

martedì 26 maggio 2015

Sei chiodi storti

La breve felicità del tennis italiano sta compiendo quarant’anni. Panatta che vince prima Roma e poi Parigi in primavera; la squadra di Davis che con Barazzutti Bertolucci e Zugarelli accanto ad Adriano conquista la Coppa nel dicembre, sempre del ’76. Non era mai successo prima, né dopo più accadrà. In una stagione di angoscia e lutti, in un Paese che si è consegnato alla Dc, quella giovane nazionale con le racchette finisce dentro un corridoio di gloria e fortuna. Dario Cresto-Dina è andato a cercare uno per uno i protagonisti di quella stagione, compreso l’uomo che li guidava dalla panchina, Nicola Pietrangeli, per catturare con loro umori e atmosfera di quei giorni. Il sesto protagonista, il maestro Mario Belardinelli, non c’è più dal ’98.

Toccò, a quella squadra, giocare l’ultima partita sui campi di Santiago del Cile, da tre anni e tre mesi piegata alla dittatura di Augusto Pinochet. Il libro “Sei chiodi storti” (66thand2nd, 147 pagine, 17 euro) ricostruisce l’avvicinamento alla finale e il feroce dibattito che s’accese in Italia sull’opportunità di presentarsi in scarpette e pantaloncini candidi in un Paese insanguinato. È il racconto di un’Italia sconvolta dal terrorismo, ventuno morti - sarebbero diventati 120 quattro anni dopo - e in ginocchio sotto i provvedimenti economici del terzo governo Andreotti.

La notte di Grobbelaar all'Heysel


ERA il clown. Così chiamavano Bruce Grobbelaar. Perché in campo rideva e perché una sera, l'anno prima, s'era messo a danzare sulla linea di porta per parare i rigori alla Roma, in finale di Coppa dei Campioni. «Joe Fagan, l'allenatore, mi mise un braccio sulla spalla e fece: tranquillo, nessuno s'aspetta niente da te, se ti fanno gol non te ne faremo una colpa. Mi tolse un peso. Allora inventai quel balletto con le gambe, gli "Spaghetti Legs", e Bruno Conti sbagliò. Funziona, mi dissi, lo rifaccio. E sbagliò pure Graziani. Gli italiani mi diedero del pagliaccio. Ma vincemmo la Coppa. Pagliaccio a chi?». Dodici mesi dopo, Grobbelaar era all'Heysel. Un'altra squadra italiana. «Prima di ogni partita facevo un giochino. Calciavo il pallone contro l'interruttore, per colpirlo e spegnere la luce. Pensavo che riuscendoci, avremmo vinto noi».

giovedì 21 maggio 2015

L'erotismo della bicicletta

La bicicletta è stata subito un'insidia. L'Italia clericale lo intuì immediatamente. Ventiquattro anni dopo Porta Pia, il 1° gennaio 1894 la Gazzetta di Venezia scrive: “Le signore dunque andranno in tandem ma voi, mariti gelosi, guardatevi da queste ruote di metallo, sostituite la naturale locomozione della vostra metà: il velocipedismo è un’invenzione infernale che, in un attimo, pone una grande distanza tra il marito e la moglie come il pattinaggio, altro genere di sport, non è che la legalizzazione dell’abbracciamento. E poi, col tandem è facile cadere, e sono cadute pericolose quelle, perché la donna torna in piedi sì, ma molto spesso casca, come suol dirsi, dalla padella nella brace, anzi nelle braccia".

mercoledì 20 maggio 2015

Berardi e il perfido mestiere della bestia nera


ANCORA poche cose non hanno una risposta certa. Uno. Come ha fatto il Real Madrid a perdere il campionato per due anni di fila all’ultima giornata sul campo del Tenerife. Due. Come fanno gli italiani a fregare sempre i tedeschi. Ma soprattutto. Perché Berardi ce l’ha tanto con il Milan. Ci sono persone che lavorano all’uncinetto, alcune collezionano francobolli, Berardi fa gol a quella maglia là. Ci passa il tempo. Magari può restare per un mese a guardarsi intorno, come del resto ha fatto da metà aprile, senza vedere la porta, se proprio va bene piazzando un paio d’assist. Ma poi arriva un giorno durante l’anno in cui si scopre crudele. Sempre lo stesso giorno. Contro quelli. Gliene fece quattro già a gennaio del 2014, aveva diciannove anni, come Piola quando ci riuscì ai suoi tempi, e al Sassuolo si affrettarono a dargli un consiglio: «Meglio se stasera non parli». Berardi domenica ne ha fatti di nuovo tre, e va bene, uno non era entrato, ma la vera differenza è che stavolta non sono riusciti a trattenerlo. Stavolta parla. «Il Milan? Vorrei giocarci sempre contro».

giovedì 14 maggio 2015

Tutta l'Italia che c'è nella vita di Messi

messibugg Ci sono due modi per fermare Messi. Mettergli mezza squadra intorno oppure "facendosi la croce" (© Thiago Silva 2011). Allegri sa come si circonda Messi, Messi sa come si vive circondato da italiani. E' da una vita che gli succede.
Le origini. Insospettito dal cognome, un giovane falegname di Recanati, Leandro Messi, laboratorio artigianale a Spaccio Fuselli, si mette a fare delle ricerche. Scopre così che Giovanni Messi, nonno di suo nonno, era fratello di Angelo Messi, che lasciò Recanati, o meglio Valle Cantalupo, nel 1893 a ventotto anni per andarsene a Rosario, in Argentina, con sua moglie Maria Latini. Angelo Messi è il nonno del papà di Leo, Jorge Horacio, operaio in un'acciaieria.

mercoledì 13 maggio 2015

Il dio del calcio che ama le vendette

ERA marzo quando Garcia capì. Il vantaggio di avere tre greci in squadra è questo. Impari a maneggiare il concetto di hýbris e di punizione degli dei con una certa naturalezza. Era sicuro di averne suscitato la vendetta quattro mesi prima, con quel pugno di parole che profumavano d'ottimismo: «Stasera ho capito che vinceremo lo scudetto». Ecco. Punito. Perciò Garcia lo chiamò un peccato di superbia. Lotito, che invece frequenta i classici latini, sempre a marzo stava andando a sbattere senza saperlo ancora. Sale in cattedra all'Università europea di Roma per una lezione su diritto ed economia dello sport e commette l'imperdonabile errore di inimicarsi il cielo. «Ho venduto Hernanes a 20 milioni: un vero capolavoro». Nella versione non accreditata, la frase ha una variabile. Un pacco.

martedì 12 maggio 2015

Lo scudetto di Elkjaer

Elkjaer rimette la scarpa dopo il gol scalzo alla Juventus
AVEVA due cognomi, qualche definizione gliel'aggiunse Brera: atleta bufalino, un incrociatore, sfondatore impetuoso. Per chi l'ha visto e per chi non c'era, va aggiunto che Preben Elkjaer Larsen arriva a Verona nell'estate del 1984 dopo aver trascinato una meravigliosa Danimarca alla semifinale degli Europei. Sarà terzo e poi secondo al Pallone d'oro.
«Avevo già 28 anni. Giocavo in Belgio, al Lokeren, da quando ne avevo 21. Tranne un secondo posto, eravamo una squadra che arrivava quarta, ottava, decima. Non è che io all'epoca sapessi molto dell'Italia, e nemmeno di Verona. Fu mia moglie a spingere. Disse: andiamo subito. Credo che tanta convinzione avesse a che fare con Giulietta e Romeo».
Eravate sposati da poco?
«Macché. Da sei anni. E sei anni di matrimonio mi parevano già tantissimi. Presi informazioni da Miki Laudrup. Giocava nella Lazio. Era certo che mi sarei trovato bene, disse che il Verona aveva buoni giocatori e che con me ci saremmo piazzati quarti o quinti».

domenica 10 maggio 2015

Fede e piaggeria, le biciclette di Genova

Se nasci a Genova, ti fai le gambe. "Per arrivare a casa mia, al Righi, c'erano tre chilometri tutti in salita", raccontava Luigi Zimbro, uno dei gregari di Fausto Coppi. Per questo quando la strada strappava lui andava più forte di tanti altri. Nasci in una città in salita e hai davanti due ipotesi. O lasci perdere la bici o con la bici ti metti a domare la strada.
Lungo la circonvallazione a Monte, dopo il tratto fra il castello D'Albertis e piazza Manin, la pendenza diventa più vera. Ti lasci alle spalle i parchi di villa Gruber e punti lo sguardo verso la Genova bene, le villette della borghesia.

venerdì 8 maggio 2015

Il viaggio e l'attesa, il fascino del ciclismo

Il poeta Alfonso Gatto, inviato per l'Unità
al Giro d'Italia nel 1947 e nel 1948
Sarà per via del fatto che una corsa in bici è pur sempre un viaggio, si va da qua a là, e un viaggio – si tratti di Enea, di Ulisse o dei tanti venuti dopo – il suo fascino ce l’ha. Sarà perché una corsa in bici si riempie soprattutto d’attesa: ce ne stiamo per delle ore e dei chilometri ad aspettare che capiti qualcosa, che il gruppo passi sotto casa, o che arrivi una montagna, che parta una fuga; e l’attesa – da Leopardi in poi – ha sempre avuto una sua grazia. Sarà per questo insomma che non esiste sport con più cantori del ciclismo. La strada è già da sola una metafora. E mentre Enzo Ferrari dall'alto dei suoi motori lo guardava al massimo come “uno sport che produce sudore”, il ciclismo per i nostri padri e per i nostri nonni stava accanto al calcio e alla boxe. Era quella la trinità della passione popolare. Valentino Mazzola, Coppi o Bartali, Joe Louis. 

mercoledì 6 maggio 2015

Il calcio dei piccoli segreti

EPPURE sappiamo tutto di tutti. Conosciamo le sovrapposizioni dei terzini del Crystal Palace, come difende sui calci d'angolo il Paderborn e possiamo guardare in streaming le qualificazioni mondiali del Bhutan. Ma al settimo minuto del secondo tempo di Inter-Chievo, in mezzo a questo scambio globale di informazioni sui mille modi in cui un pallone rotola, Mancini sente di avere ancora un segreto da nascondere all'altra panchina. Entra Podolski, e con lui in campo entra pure un bigliettino. Come dalle cartucciere dei diciottenni all'esame di maturità, sbuca il foglietto salvi-tutti. Arriva tra le mani di Medel che legge il messaggio, fa due segni ai compagni e poi appallottola le istruzioni. Va detto: con sprezzo del pericolo. Che ne sai se qualcuno lo recupera e risale alle preziose informazioni. Meglio ingoiarlo, la prossima volta.

martedì 5 maggio 2015

Natale a Gomorra è un trattato sull'idea di Napoli

All'inizio non ci credevo. Pensavo fosse un gioco di prestigio dello scrittore Marco Ciriello, una di quelle finzioni in stile borgesiano che illuminano il suo blog (leggetevi per esempio la recensione al finto film di Alan Parker su Maradona). Invece davvero a dicembre avremo al cinema "Natale a Gomorra" e prima ancora di sapere qualcosa di più sul film e sulla sua natura, l'annuncio già dice alcune cose illuminanti su Napoli e sull'idea di Napoli. Le dice meglio di un trattato.

domenica 3 maggio 2015

Senso e messaggio di Álvaro Morata. Dove va la Juve

morata
La speranza è una trappola, è una cosa infame inventata da chi comanda (Mario Monicelli)

Guardate questo ragazzo e mettetevi l'anima in pace. Guardatelo bene e se non siete juventini, be', allora scordatevi lo scudetto. Questo, il prossimo e l'altro ancora. A volerne cercare uno, Álvaro Morata è il giocatore che scoraggia chi sogna di contrapporsi al dominio della Juve, quattro scudetti di fila, il quinto come prossimo obiettivo. Una cosa che nel calcio italiano è riuscita solo all'Inter di Moratti figlio (ma uno a tavolino), al Grande Torino (una squadra e un aggettivo per sempre insieme) e alla Juve di ottant'anni fa. Rosetta, Monti, Orsi e Cesarini. Álvaro Morata è il vero fatto nuovo che ci ha proposto la Juve. Uno: ha 22 anni e fra campionato e Coppe ha segnato 11 gol.