domenica 31 luglio 2016

L'assassinio di un immortale

Molti papà dei commissari che affollano le librerie sentono di avere un linguaggio comune: il noir europeo è un gigantesco circolo dai tratti collettivi. E poi c'è Petros Markaris, ottant'anni il prossimo Capodanno, capace di far convivere dentro le stesse pagine un prete ortodosso, Adolf Hitler e la sua creatura più celebre, l'investigatore Kostas Charitos. L'ultimo libro pubblicato in Italia dallo scrittore turco di nascita, armeno per parte di padre e greco d'adozione — la raccolta di racconti L'assassinio di un immortale (La Nave di Teseo) — ne conferma l'unicità. Traduttore di Goethe e Brecht, Markaris è un collettore di frammenti, ma dentro le schegge di realtà che assembla c'è un'offerta di verità, un'ipotesi.

giovedì 14 luglio 2016

Il Ventoux e lo strano fuoco nel petto

IL TOUR de France aggredisce, oggi, il Ventoux, un Moloch, secondo la leggenda, che accompagna la più grande corsa ciclistica del mondo, a cui bisogna sacrificare. Il Ventoux è una montagna calva, affetta da seborrea secca. Lo vedi dalla bassa Provenza. Millenovecento metri di un verde che stinge, impallidisce, si spegne. Verso il culmine il Ventoux imbianca. Da lontano, un monte di sale. Il "mistral" batte il "ventoso". Il ricordo scolastico, arioso del Petrarca - che soggiornando ad Avignone sale sul Ventoux, a maggio quando le pietre restituiscono il tepore del sole del mezzodì - si liquefa, scompare, nella calura di luglio, nel corso del Tour. Il Ventoux è rimasto per il Tour il dio del male dell'antica Provenza. Il suo clima è assoluto. Gli uomini da classifica lo pedalano con il fiato che si rompe in gola, alle prese con un rapporto (la marcia ciclistica) che incarognisce la ruota dentata, che la trasforma in uno strumento di tortura [1]

giovedì 7 luglio 2016

Il calcio e l'omofobia: dov'è il "respect" Uefa?

scarpe
SEEDORF e Benzema si sfilano la maglia scoprendo volti e colori differenti, i bambini corrono, Collina sorride. Belli gli spot del calcio pulito. Ma nella Francia degli Europei è stato l’anno nero del rispetto, anche durante il torneo. Razzismo, sessismo, omofobia. Sotto il manto dello slogan Uefa (“Respect”), si sono nascoste ipocrisie e omissioni. Ha iniziato Christian Estrosi, sindaco di centrodestra a Nizza, minacciando di tagliare i sussidi ai club dei calciatori musulmani che fossero stati visti a pregare sui campi di calcio municipali: «Io difendo solo i principi del nostro secolarismo». A sua volta, il dirigente regionale della federcalcio Eric Borghini denunziava che alcuni arbitri di religione musulmana rifiutano di stringere la mano alle calciatrici. Pochi giorni prima, una partita del campionato Under 17 era finita in rissa a Jarnac, sud-ovest della Francia, la città natale di François Mitterand, per un pugno partito da un giocatore della Isle-d’Espagnac. Fuggi fuggi, spogliatoi assediati e la denuncia dei genitori dei ragazzi per razzismo (“neri” e “arabi”).

martedì 5 luglio 2016

La Treccani e l'irriducibile Stielike

LILLE. I baffi, il ghigno, il tackle. Uli Stielike era il Cattivo. Era il Lee Van Cleef del calcio. Brera lo chiamò "truculento" e "cinico". Noi avevamo l'eleganza di Scirea, i tedeschi il più duro dei liberi. La Treccani gli ha dedicato una voce in cui viene definito "tenace e irriducibile". Troppo poco. Trent'anni fa Uli Stielike era la nostra idea del Male, perché se vedeva un pallone e una gamba prendeva pallone e gamba, ma soprattutto perché giocava dall'altra parte. A 61 anni è il ct della Sud Corea. Ha più vinto che perso, ma quel che ha perso dice di non ricordarlo più. Ha rimosso. "Non ho mai avuto l'abitudine di collezionare cattivi ricordi. Cerco di cancellarli".


Ha cancellato pure quello che in Germania chiamano Italien-Trauma?
"Trauma? Quale trauma? Ho perso una finale mondiale con l'Italia ma non ho mai smesso di dormire bene. Una delle prime cose che mi hanno insegnato da ragazzino: nel calcio si vince e si perde. La digestione di un successo e di una sconfitta deve essere parte dell'educazione sportiva delle persone. Per noi poi fa parte del lavoro. I traumi sono un'altra cosa".

L'estate speciale di Mel e del gallese che doveva sposarsi

foto tratta dal sito di April Court Care

Melvyn detto Mel aveva messo in conto la solita estate, una frazione di vita incastrata fra la solita primavera e il solito autunno. Il pomeriggio che non passa mai, ogni tanto il rumore lontano di una macchina in parcheggio, il profumo della merenda che si avvicina: funziona meglio di un orologio, passa sempre alla stessa ora. Mezza frittella di domenica. La temperatura di 23 gradi nella stanza. Un po' d'aria in giardino. Le panchine fra i cespugli. I deambulatori, le microcar, le sedie a rotelle elettriche. La vita di un ottantunenne in una casa di riposo non prevede sorprese.
St. Helen's Road affaccia sulla baia di Swansea. È la strada dei ristoranti etnici. Al Garuda si mangia indonesiano, al Reyhan cucina mediorientale, all’Istanbul dice tutto il nome. Pizza Hut consegna a domicilio, Didier&Stephane servono piatti francesi. La April Court Care Home è piantata lì in mezzo, al civico 141. Dall'altra parte della strada c'è la vetrata del Viceroy, piatti indiani e del Bangladesh. È questo il mondo oltre la finestra di Melvyn detto Mel, l'uomo che un giorno ha acceso il televisore ed è finito dentro un'estate speciale.

lunedì 4 luglio 2016

Il paradiso del Galles


LILLE. DUE RAGAZZI che giocano in serie B hanno steso le stelle del Belgio che giocano la Champions, i numeri due del ranking Fifa, i favoriti in Francia. La media borghesia ha sfondato le porte del palazzo reale. Il calcio cambia. Aspettando l'Islanda domani, il timbro sulla sentenza lo mette il piccolo Galles, stessi abitanti di Roma e paese calcisticamente bizzarro. Ha un giocatore da 100 milioni e un campionato riconosciuto dall'Uefa solo da una ventina d'anni, ma sei delle sue squadre hanno rifiutato di prendervi parte, preferendo entrare nel sistema inglese, con lo Swansea di Guidolin in Premier e il Cardiff in serie B. Eppure il Galles porta la sua Nazionale fra le prime quattro d'Europa, alla prima partecipazione. S'era spinto solo una volta fra le prime otto al mondo, a fine anni Cinquanta, quando in attacco i gol li firmava John Charles, il gigante buono, seminatore di meraviglia anche con la maglia della Juventus in serie A. Quella squadra si era fermata ai quarti di finale in Svezia nel '58 davanti al Brasile perché prese il primo gol segnato sulla scena internazionale da un diciassettenne che al portiere Kelsey parve "un diavolo venuto dall'inferno". Stop di petto con le spalle alla porta, giravolta, dribbling volante e tocco di punta in porta. Si chiamava Pelé. Che stavolta dall'altra parte non c'era. Nemmeno in sedicesimo.

domenica 3 luglio 2016

La marcia su Lille

È MEZZ'ORA di viaggio. Arrivano treni da Bruxelles e scaricano mucchi di uomini e bandiere. Una ventina fermano alla nuova stazione Europe, nella parte post industriale della città – torri, gallerie, tutto di quel bianco così caro a certe archistar - un'altra decina di TGV alla stazione antica, la Flandres, ricostruita pezzo per pezzo con i mattoni metà ‘800 della Gare Nord di Parigi. È come se a Lille il Belgio giocasse in casa, sono qui in ventimila per la partita che può riportare la Nazionale dov'era una trentina d'anni fa, quando andava in finale agli Europei ('80) e in semifinale ai Mondiali ('86), e poiché le stazioni ferroviarie non sono controllate quanto gli aeroporti, un po' di apprensione in prefettura non riescono a nasconderla, dopo gli allarmi anti-terrorismo per le ultime partite a Bruxelles. Altra ansia s'aggiunge perché i tifosi andranno in marcia allo stadio da rue de Cambrai, il quartiere della vita universitaria. La polizia non sa dire quanti saranno.

sabato 2 luglio 2016

Briegel e il pericoloso contropiede


HANS-PETER Briegel parla ancora un magnifico italiano. Le erre al telefono vibrano. «I riccioli biondi sono diventati bianchi». È stato negli anni '80 l'incarnazione del prototipo del calciatore tedesco. Potenza, esplosività, resistenza. Da ragazzo aveva lanciato il giavellotto e saltato 7 metri e 50 in lungo. È tornato a vivere a 61 anni nella sua Kaiserslautern dopo essere stato trascinato dal calcio in Turchia, in Albania, in Bahrein. «Ho appena incontrato i dirigenti del club per capire se posso dare una mano a riportare la squadra in Bundesliga. Non è da noi la serie B». In B come il Verona, a cui nel 1984 s'aggregò per farne una squadra da scudetto. Due anni prima aveva perso la finale mondiale con gli azzurri in Spagna, a Roma era stato campione d'Europa nel 1980. «Era il campionato più bello del mondo. Solo due stranieri per squadra ma c'erano i migliori. Maradona, Zico, Rummenigge. È cambiato tutto. Solo Italia-Germania non cambia mai».

Italia-Germania fa diventare adulti

LILLE. Avevano vinto dal divano Italia-Germania del '70 mentre sognavano un paese migliore, e vent'anni dopo si sentivano sconfitti. La partita del Messico divenne nel '90 il pretesto per la trama di un film con la regia di Andrea Barzini: un gruppo di amici si ritrova per vedere in tv la replica della semifinale; la rimpatriata diventerà un confronto amaro. Quel 4-3 raccontava i sogni bruciati di una generazione. Giuseppe Cederna, scrittore di viaggio, attore per Bellocchio, Scola e i Taviani, Oscar per "Mediterraneo" con Salvatores, era nel cast insieme a Fabrizio Bentivoglio, Nancy Brilli e Massimo Ghini. "Quella partita", dice, "aveva in sé la forza per raccontare un percorso di iniziazione. In molti dei miei film, il calcio è parte di un rito d'amicizia. Interviene nelle storie personali della gente".

venerdì 1 luglio 2016

Netzer, il tedesco diverso

È STATO il primo tedesco oltre gli schemi, fuori e dentro il campo. Girava in Ferrari, era proprietario di una discoteca, concedeva ai compagni l'onore di correre al posto suo. Portava i capelli lunghi come un olandese e il 10 dietro la maglia quando la Germania vinse il primo Europeo nel ‘72. Guenter Netzer era il raggio di Moenchengladbach dentro il blocco del Bayern. «Ma in Nazionale scoprii che Beckenbauer guadagnava più di me». Così diverso da diventare il primo tedesco nella storia del Real. «Italia- Germania», dice ora a 72 anni, «è una partita che il calcio non si stancherà mai di guardare».