domenica 31 luglio 2016

L'assassinio di un immortale

Molti papà dei commissari che affollano le librerie sentono di avere un linguaggio comune: il noir europeo è un gigantesco circolo dai tratti collettivi. E poi c'è Petros Markaris, ottant'anni il prossimo Capodanno, capace di far convivere dentro le stesse pagine un prete ortodosso, Adolf Hitler e la sua creatura più celebre, l'investigatore Kostas Charitos. L'ultimo libro pubblicato in Italia dallo scrittore turco di nascita, armeno per parte di padre e greco d'adozione — la raccolta di racconti L'assassinio di un immortale (La Nave di Teseo) — ne conferma l'unicità. Traduttore di Goethe e Brecht, Markaris è un collettore di frammenti, ma dentro le schegge di realtà che assembla c'è un'offerta di verità, un'ipotesi.


Qui gli otto racconti sono altrettanti pezzi di specchio con cui Markaris gioca per combinare i rimandi fra la vita e la finzione, a cominciare dalla prima vittima, uno del suo mondo, lo scrittore Lambros Spachìs, assassinato nel suo studio. Nessun autore di noir possiede la pluralità di toni di Markaris, che si muove fra leggerezza e ombrosità con la stessa credibilità e la stessa disinvoltura. Nella sua Atene ci sono caos e corruzione. La rassegnazione del popolo, l'inadeguatezza dei governi. Charitos non è geniale come Sherlock Holmes, non è un solitario come Montalbano. Non è colto, ha preoccupazioni banali, una vita che si trascina sul lavoro, una figlia che deve studiare.
Padre Ioannis Perdikis, il prete protagonista di L'arco di Pompei, guerreggia contro il populismo per dare accoglienza agli immigrati, spalleggiato da sua sorella Sotiria, una zitella colpevole del reato di non fare alcuna differenza tra bisognosi indigeni e stranieri. Ioannis li chiama evangelicamente "viandanti" e finirà faccia a terra con il cranio spaccato da un oggetto di ferro. È forse il racconto più indicativo del metodo Markaris. Qui l'indagine non comincia neppure. Non ci sono commissari che investigano. Non ci interessa conoscere la mano che ha fatto secca la pietas. Un noir che rinuncia al colpevole è dichiaratamente qualcosa che vuole andare oltre se stesso. Anche in racconti così brevi, Markaris scrive analisi e reportage sotto forma di finzione.

In Attentato in ritardo prende la vita quotidiana di Agnes e Hans Krull nella Germania dell'estate del '44 e la cuce all'attentato al Führer. Sempre in Germania spedisce il poliziotto turco Murat (il racconto si chiama In terre note) a indagare per un omicidio, nella Westfalia in cui suo padre Sedat ha scelto di vivere «perché mi ricorda Bodrum e Smirne» e dove un tempo lui stesso aveva abitato con sua moglie, la quale lo segue nella missione ricordandogli che «non hai mai perdonato i tuoi colleghi che ti guardavano storto perché io porto il velo». L'indagine sull'identità, alla fine, rimane il vero mistero nelle storie di Markaris, il solo ambito in cui valga davvero la pena di calarsi.

(uscito su Repubblica il 16 luglio 2016)

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