SEEDORF e Benzema si sfilano la maglia scoprendo volti e colori differenti, i bambini corrono, Collina sorride. Belli gli spot del calcio pulito. Ma nella Francia degli Europei è stato l’anno nero del rispetto, anche durante il torneo. Razzismo, sessismo, omofobia. Sotto il manto dello slogan Uefa (“Respect”), si sono nascoste ipocrisie e omissioni. Ha iniziato Christian Estrosi, sindaco di centrodestra a Nizza, minacciando di tagliare i sussidi ai club dei calciatori musulmani che fossero stati visti a pregare sui campi di calcio municipali: «Io difendo solo i principi del nostro secolarismo». A sua volta, il dirigente regionale della federcalcio Eric Borghini denunziava che alcuni arbitri di religione musulmana rifiutano di stringere la mano alle calciatrici. Pochi giorni prima, una partita del campionato Under 17 era finita in rissa a Jarnac, sud-ovest della Francia, la città natale di François Mitterand, per un pugno partito da un giocatore della Isle-d’Espagnac. Fuggi fuggi, spogliatoi assediati e la denuncia dei genitori dei ragazzi per razzismo (“neri” e “arabi”).
A febbraio, in casa Psg, l’ivoriano Serge Aurier in diretta su Periscope si è lasciato andare a frasi omofobe verso l’allenatore Blanc prendendo di mira pure Ibrahimovic. La bufera Benzema è stato il picco. Il ricatto a Valbuena per un video a luci rosse, l’esclusione dalla nazionale, le accuse di Cantona e Dhorasoo a Deschamps di reazione razzista. Poi gli Europei: con l’Uefa criticata per aver negato il minuto di silenzio dopo la strage gay a Orlando, autorizzandolo invece per le altre vittime del terrorismo (Parigi, Istanbul, Dacca). Il calcio non sa sfidare l’omofobia. Se ne disinteressa. Pochi mesi fa ha chiuso la sua attività di contrasto l’associazione Paris Foot Gay. Al tavolo di un caffé in place Blum, Julien Pontes, il presidente, racconta: «Le relazioni con le istituzioni che ci sostenevano sono diventate difficili. Nel calcio certe affermazioni omofobe che si ascoltano in campo e intorno al campo paiono normali, finanche i giornalisti le sostengono. Pochi paesi fanno eccezione. In Norvegia viene fermato il gioco in caso di insulti. Al Gay Pride di Amsterdam la federcalcio olandese sfila con un suo carro. Uno studio della nostra associazione rivelava che il 41% dei calciatori professionisti francesi è ostile ai gay, così come addirittura il 50% dei ragazzi delle giovanili. Il governo francese ha un dossier con cifre allarmanti assai simili a queste dal 2013, ma non ha fatto nulla, né nel campo dell’educazione, né nella repressione. Che potevamo fare? L'associazione s'è arresa. Non c'erano i presupposti per andare avanti. Abbiamo gettato la spugna. Il calcio è omofobo. L’Uefa cosa fa?».
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YOANN Lemaire è tornato a vivere a Vireux-Wallerand, nelle Ardenne. Sette anni fa davanti a una camera di France3 fu il primo calciatore francese a fare coming out. È rimasto il solo. Giocava fra i dilettanti del Chooz, dovette cercarsi un’altra squadra. Rapporto concluso, disse il club, «per proteggere entrambe le parti». Nel frattempo Lemaire ha scritto un libro, forse ne faranno un film, ogni tanto viene squalificato perché reagisce agli insulti in campo. «Ho 34 anni e ho già subito troppo». Gli Europei per Lemaire sono lontani.
Ha mai avuto rimpianti?
«Sportivamente sì. Avrei voluto giocare a livelli più alti. Per farcela avrei dovuto mentire su me stesso. Umanamente nessun rimpianto. Mi sono reso conto della stupidità di compagni che stimavo. Sono stato sincero, volevo quello».
Come si protegge un segreto nel calcio?
«Male. A 22 anni stavo con un calciatore avversario. Ci siamo lasciati, anzi lui mi ha lasciato dicendo che voleva “tornare normale”. Etero. Mio padre stava morendo di cancro. Soffrivo, ero felice solo in campo. Ma diventavo pazzo se qualcuno in partita gridava: frocio. Sentii il bisogno di parlarne. I miei compagni avevano tutti delle ragazze, quando si usciva insieme dovevo mentire sulle mie relazioni. Non riuscivo più a fargli credere che fossi etero e sempre solo. Pensai che la verità mi avrebbe fatto stare meglio».
A chi ne parlò?
«All'allenatore, poi ai compagni. All'inizio scherzando. Certi si vantavano, raccontavano i loro exploit sessuali, chiedevano: e tu? Cominciai a dire che era possibile ch’io avessi passato la notte con un amico, con un avversario, e così via. La mia famiglia l’ha saputo dalla stampa».
Reazioni?
«Il club mi allontanò dopo 14 anni insieme. Un omosessuale in uno spogliatoio è complicato da gestire. Alcuni compagni erano diventati intolleranti perfino nel guardarmi. Anche la risonanza mediatica li infastidì. L’omosessualità ripugna. Un calciatore razzista può passare dei guai, di un calciatore omofobo non importa a nessuno».
Chi reagisce peggio: tifosi, compagni, avversari?
«Per i tifosi di un’altra squadra è più facile urlare il loro odio e chiamarti pédé. Vengono allo stadio per sfogarsi anche se non sanno dare un calcio a un pallone. Un calciatore avversario sa che può destabilizzarti con l’insulto. Così si sentono superiori, macho, potenti. Ma più di tutti i compagni possono essere crudeli. Per prendere il tuo posto farebbero di tutto. Ce n’erano alcuni disposti a umiliare. Uno mi disse che s’imbarazzava a fare la doccia con me. Altri, mescolando la mia omosessualità con la loro fede, mi chiesero di non dividere più lo stesso spogliatoio».
Le istituzioni cosa fanno?
«Nulla, la cosa non li riguarda. Gli omosessuali sovvertono il gioco, portano problemi. Perciò non mi permetto di consigliare a un calciatore gay di fare coming out. Dipende dal carattere, dalla personalità, dal rapporto con i compagni, i dirigenti, l’allenatore. È deludente che l’Uefa non abbia concesso agli Europei il minuto di silenzio per le vittime della strage gay di Orlando».
È per questo che i calciatori professionisti preferiscono il segreto?
«Gli agenti e gli allenatori consigliano di non parlarne. È rischioso. La stampa, gli sponsor, la folla: devi affrontare critiche e disprezzo. Spesso da solo. Già tanti tifosi insultano, figurarsi se si sapesse che sei gay… Così si preferisce la carriera. Girano tanti di quei soldi intorno al calcio… ».
Cos’è cambiato per lei da allora?
«Gioco in una piccola squadra della mia città e con il Varietes Club de France, vecchie star che si esibiscono per beneficenza. Karembeu, Blanc, Deschamps, qualche volta Zidane. Sono cambiate molte cose per me. Un calciatore felice sta meglio di testa, sul campo si libera. Ma nel calcio non è cambiato nulla. Troppa intolleranza, troppi cliché. Il calciatore deve essere virile. Basta un omosessuale per condizionare un gruppo».
La insultano spesso?
«Un avversario proprio di recente. È entrato duro per colpirmi, gridando: ora mi faccio il frocio. Mi sono rialzato e l’ho picchiato. L’arbitro mi ha espulso, è stato inutile parlargli alla fine: non ha riconosciuto gli insulti come omofobi. È vergognoso colpire un avversario, non è da me, ma ho provato sollievo. Ho 34 anni e ho subito troppe cose per la mia omosessualità. Lui ha avuto la sua lezione. Voleva fare l’uomo e ha perso. Lo so, è bestiale. Ma mi consola».
(da Repubblica del 6 luglio 2016)
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