domenica 3 maggio 2015

Senso e messaggio di Álvaro Morata. Dove va la Juve

morata
La speranza è una trappola, è una cosa infame inventata da chi comanda (Mario Monicelli)

Guardate questo ragazzo e mettetevi l'anima in pace. Guardatelo bene e se non siete juventini, be', allora scordatevi lo scudetto. Questo, il prossimo e l'altro ancora. A volerne cercare uno, Álvaro Morata è il giocatore che scoraggia chi sogna di contrapporsi al dominio della Juve, quattro scudetti di fila, il quinto come prossimo obiettivo. Una cosa che nel calcio italiano è riuscita solo all'Inter di Moratti figlio (ma uno a tavolino), al Grande Torino (una squadra e un aggettivo per sempre insieme) e alla Juve di ottant'anni fa. Rosetta, Monti, Orsi e Cesarini. Álvaro Morata è il vero fatto nuovo che ci ha proposto la Juve. Uno: ha 22 anni e fra campionato e Coppe ha segnato 11 gol.

Non sono tanti ma sono abbastanza da lasciar supporre che presto diventeranno tantissimi. Due: in mezzo agli slogan sul campionato poco allenante, poco attraente, sulla famosa "Lega di transito", lui per la Juve ha scelto di lasciare il Real Madrid. Il Real non è mai una squadra qualunque, a maggior ragione per un ragazzo che il Bernabeu voleva vedere in campo al punto da spingersi a fischiare Benzema. È uno di casa. Álvaro è madrileno di Mirasierra, quartiere residenziale, uno dei primi a Madrid in cui sono spuntate villette con giardino, piscina e campo da tennis. Andarono subito a viverci consoli, ambasciatori, diplomatici, nomi di spicco dell'Opus Dei. Molti stanno ancora lì. Abitavano a Mirasierra Raùl e Roberto Carlos. Ci ha preso un ufficio la federazione di golf spagnola. Il quadro è questo. Morata viene da Mirasierra perché papà Alfonso imbroccò la strada giusta negli anni '70. Cadena Ser, la prima radio spagnola a dare la notizia della morte di Kennedy e prima emittente privata dopo la caduta di Franco ad avere un notiziario, cercava due bravi agenti pubblicitari. Giovani, moderni, due ragazzi che sapessero interpretare il cambiamento della società spagnola. Uno era Rafael de Benito, padre di Arancha, in futuro madre di due dei tre figli di Guti. L'altro era Alfonso Morata.

Poiché i padri han mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati, ad Álvaro è toccato per un po' convivere con il sospetto che lui stesso fosse un prodotto da vendere: Alfonso ne era diventato il manager. Vuoi vedere che il ragazzo è un magnifico spot? Poi per fortuna, ma non di tutti, nel calcio ci sono i gol. E quelli fanno giustizia. Mentre Mirasierra veniva collegata con la metro al resto della città, mentre la Spagna calcistica si votava a numeri nove finti e fintissimi, Morata figlio diventava adulto da centravanti vero, anzi verissimo. Un attaccante, per intendersi, di quelli che il Del Bosque del ciclo de oro non ha avuto mai. Un nuovo Morientes, secondo la famiglia della Casa Blanca. Morata è ragazzo sensibile. Un giorno arriva al campo d'allenamento del Real e ha il cranio rasato. Spiega: "I bambini con il cancro vorrebbero farsi crescere i capelli come i miei. Però non possono. Allora ho tagliato io i capelli come loro". Alla Juve ha saputo fare gol come Llorente e come Tevez, vale a dire come due prototipi opposti fra loro. In Morata risiede la teoria secondo cui più lontano sei dall'area più hai possibilità di segnare, ma anche quella al suo estremo: fatti trovare là dove il pallone brucia e non te ne pentirai. Morata scoraggia il resto d'Italia perché per averlo la Juve ha poggiato sul tavolo 20 milioni. Se 20 milioni sembrano pochi, bisogna astrarsi e non pensare al resto del mondo. Morata è stato per la Juve l'acquisto più costoso degli ultimi cinque anni. Potevano tenersi Immobile, invece a Torino hanno fatto un'altra scelta, non l'hanno sbagliata.

La ricchezza della Juve ha seguito in questi anni il grafico delle fortune generali del calcio italiano. Secondo l'analisi della Deloitte, nel 2005/2006 era la terza società d'Europa per fatturato (251 milioni), dodicesima l'anno dopo per effetto della serie B, poi in risalita. Ora, per la seconda stagione di fila Deloitte ha certificato lo scavalcamento dei 251 milioni di dieci anni fa. Significa che gli effetti economici di Calciopoli sono stati superati. La Juve si è ripresa il suo ruolo. In campo sportivo e in campo economico. Oggi è la società italiana con il fatturato più alto e la decima d'Europa, con 279.4 milioni di euro. Morata scoraggia perché svuota l'illusione secondo la quale non sempre i più ricchi sono i più bravi. Uno può avere un mucchio di soldi e spenderli male. Durante gli anni della risalita, la Juve si è molto industriata a cercare delle occasioni e spesso ne ha trovate. Ha fatto delle scommesse e le ha vinte. Ha reinventato Pirlo, ha scoperto Pogba, ha rilanciato Llorente. Parametri zero. Ha però spesso sbagliato gli acquisti più cari. Più di una volta ha speso una cifra considerevole per un calciatore che quella cifra ha tradito. 13 milioni per Ogbonna, 14 per Isla, 15 per Matri, 17 per Quagliarella nell'estate in cui con la stessa cifra il Napoli prendeva Cavani. E ancora più indietro negli anni: 12 milioni per Martinez dal Cesena, 15 per Krasic, 52 per la coppia Diego-Felipe Melo. Morata scoraggia perché adesso che un acquisto da 20 milioni s'avvia a finire la stagione valendoli tutti, i più forti da quattro anni, nonostante un cambio d'allenatore organizzato in fretta, tornati ricchi come un decennio fa, mandano un messaggio che più chiaro non si può. Non aspettatevi che saremo noi a sbagliare. Una partita, forse. Non un campionato. Non più un mercato. Attrezzatevi. Oppure ciao.

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