giovedì 21 maggio 2015

L'erotismo della bicicletta

La bicicletta è stata subito un'insidia. L'Italia clericale lo intuì immediatamente. Ventiquattro anni dopo Porta Pia, il 1° gennaio 1894 la Gazzetta di Venezia scrive: “Le signore dunque andranno in tandem ma voi, mariti gelosi, guardatevi da queste ruote di metallo, sostituite la naturale locomozione della vostra metà: il velocipedismo è un’invenzione infernale che, in un attimo, pone una grande distanza tra il marito e la moglie come il pattinaggio, altro genere di sport, non è che la legalizzazione dell’abbracciamento. E poi, col tandem è facile cadere, e sono cadute pericolose quelle, perché la donna torna in piedi sì, ma molto spesso casca, come suol dirsi, dalla padella nella brace, anzi nelle braccia".



Solo sei anni prima Edoardo Bianchi aveva applicato alla bici l'invenzione di Dunlop, le ruote pneumatiche. Rivoluzione. Ma non immaginava certo di poter mandare in crisi i matrimoni. Succede che poco dopo l'allarme epocale della Gazzetta di Venezia, Bianchi viene chiamato a Palazzo reale da Margherita di Savoia. La regina vuol capire come funziona quell'aggeggio. L'invenzione infernale. Cos'è. Come va. Solo che di mezzo c'è quel pericolo lì. Le cadute. La brace. Le braccia. Nella sua storia delle buone maniere, "Signore e signori d'Italia" (Feltrinelli, 2011), Gabriella Turnaturi scrive che le donne italiane assumeranno proprio la regina Margherita come modello di galateo borghese. “Dalla regina Margherita le signore impareranno ad andare in bicicletta senza perdere pudore e signorilità. Pare infatti che a insegnare a pedalare alla sovrana fosse lo stesso signor Bianchi, sì, il re della bicicletta italiana. Il quale, per non toccare la regina durante questi esercizi, aveva fatto costruire speciali manopole con cui poterla guidare senza toccare il suo corpo”.

La bici ha imboccato quella strada. Accende pruriti. Si potrebbe persino dire (poi però vediamo) che diventa il primo strumento di emancipazione sessuale della donna, con grande anticipo sulla rivoluzione dei costumi degli anni '60 del Novecento. Nel 1897 Argia Sbolenfi, nubile, pubblica un volume di poesie, all'interno del quale spicca "In bicicletta". Nelle ultime due quartine Argia Sbolenfi tutto è fuorché vaga:

Mi avvolge un'onda di piacer sovrano
Quando vengo stringendo il trionfale
Manubrio in mano
Io son beata allor che fra le gambe
Sento il rigido ordigno e in quegli istanti
Tendo le coscie e l'agitar d'entrambe
Lo spinge avanti

Per intendersi. Quando scrive la signorina Argia, la Lady Chatterley di Lawrence è lontana ancora una trentina d'anni. Restano da aggiungere però un paio di cose non trascurabili. La prima. Argia Sbolenfi è un uomo. E' lo pseudonimo femminile di Olindo Guerrini, scrittore e poeta della scapigliatura emiliana. La seconda cosa. Le rime di Argia vengono presentate quasi come pornografia dal firmatario della prefazione, Lorenzo Stecchetti. Ce n'è una terza. Anche Lorenzo Stecchetti è uno pseudonimo, anche Lorenzo Stecchetti è Olindo Guerrini, il quale sulla sensualità del ciclismo non arretra neppure quando firma le sue opere al maschile.

L'aria odora di donna e di mughetti /
ed io rimo per te queste parole / 
in bicicletta, respirando il sole.

E qui, come si vede, il discorso si ingarbuglia. Quella che poteva sembrare una proto-emancipazione, o comunque una piena rivendicazione femminile del piacere sessuale, sfuma in un differente sguardo dell'uomo sulla donna attraverso la bici. Scrive Matteo Pedroni in "Poesia ciclistica delle origini" che la comunità scientifica comincia a preoccuparsi di eventuali danni provocati dalla sella agli organi riproduttori, mentre lo sguardo maschile diventa a volte pudibondo, altre volte illecito, compiaciuto, ammantato spesso di moralismo. In questo senso, Argia sarebbe la proiezione de "i mostri e i fantasmi della società" di fine Ottocento. Aldo Palazzeschi in "Finestra terrena" intravede

una giovine donna in bicicletta. / Ve come mostra il tondo / Ella s'infischia del mondo

mentre Giorgio Caproni descriverà una passeggiata di sua madre

Annina sbucata all'angolo / ha alimentato lo scandalo. / Ma quando mai s'era vista, / in giro, una ciclista.

In ogni caso, il ciclismo diventa sensuale assai prima del tennis.


Negli anni del fascismo, tra le ragazze formose e dai vestitini attillati disegnate da Gino Boccasile ne spunta anche una in bicicletta.
Ma la guerra spoglierà la bici. Le toglie un bel pezzo d'eros di dosso. La bici scopre altre priorità. E' il cavallo dei partigiani. I vecchi appetiti restano sul terreno. Dopo il '45 diventa oggetto chiave dell'immaginario del neorealismo per merito di De Sica e Zavattini ("La bicicletta ha da noi qualche cosa del cane, continua compagna che si porta con sé magari senza montarla") e poi il principale mezzo di trasporto per gli italiani, un oggetto di massa nella nuova società dei consumi, tanto che la diffusione delle auto sorpasserà il numero delle bici soltanto nel 1971. E' così che la bici perde il suo connotato trasgressivo.

I vecchi cercano di usare la bicicletta fino all'estremo,
vanno a comperare il pane per le nuore 
con l'illusione di una velocità propria
(Cesare Zavattini)

Guardate cosa succede nel '51. Partite inizialmente per unirsi alla compagnia di Totò e per diventare ballerine, Silvana e Delia, le due ragazze del film Bellezze in bicicletta si iscrivono a una gara, vincono in modo truffaldino un po' di soldi e a cosa ambiscono? A sistemarsi. Si sposano. In coda alle avventure, dopo tanta bicicletta, alle gambe snelle tornite e belle il cinema italiano offre il più borghese tra i finali possibili. La carica di libertà sessuale della bici è stata annientata, neutralizzata, riportata dentro le istituzioni. Vince la pruderie. Sessant'anni dopo l'allarme della Gazzetta di Venezia, Silvana e Delia arrivano in bicicletta laddove le biciclette potevano portare scompiglio. Al matrimonio. Il testo della canzone addirittura le de-femminilizza. Le chiama "maschiette". Le donne italiane avevano vista garantita un anno prima dalla legge la conservazione del posto di lavoro durante la maternità e proprio nell'estate del '51 andavano per la prima volta al governo con il sottosegretario Angela Maria Guidi.

La bici insomma ha cambiato segno. Per ritrovarla di nuovo sensuale e provocante, si deve aspettare la liberazione del '68,

Liza viene verso di me, a gambe larghe, senza pedalare
(Ennio Flaiano, Il gioco e il massacro, Adelphi, 1970)

e soprattutto l'edonismo degli anni '80, durante i quali spicca il manifesto del film di Tinto Brass.

Le ragazze ferraresi girano in bicicletta con quella grazia che lascia stupito chi le guarda, novelle sirene che invitano a seguirle quando passano, come se il loro lento incedere fosse una specie d’ammicco.
(Il grande fiume Po, Guido Conti, Mondadori, 2012)

Due anni fa, un'azienda inglese ha brevettato l'Happy Ride, che consiste in un coprisellino vibrante. Quaranta euro. “Era solo una questione di tempo, ma era chiaro che prima o poi poi le due strade si sarebbero incontrate” disse proprio così la portavoce dell’azienda. Ma Argia in effetti lo sapeva un secolo fa.

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